Welfare Jazz Viagra Boys
7.9

C’era una volta, nei pressi di Stoccolma, una band che suonava il punk con il sax, composta da sei investitori della Shrimptech Enterprises, una corporation fittizia sui gamberi. C’era una volta, sempre nei pressi della capitale della Svezia, un gruppo di sei ragazzi amanti dei cani e dei polli che mescolava il jazz ed il blues con un basso distorto, una chitarra elettrica ed un synth.

Tutto questo "erano" e sono i Viagra Boys, band indipendente non categorizzabile nata nel 2015.

Dopo il sorprendente successo dell'esordio Street Worms (2018), la band svedese pubblica il suo secondo album a distanza di quasi tre anni ed aggiunge un nuovo tassello al suo variegato mosaico stilistico e musicale. Welfare Jazz dalla prima traccia mette subito in chiaro all’ascoltatore come anche questa volta, forse più della precedente, non avrà appigli di alcun tipo e dovrà completamente abbandonarsi al susseguirsi di suoni e strumenti discordanti. Solo così potrà sperare di farsi trascinare, dal ritmo, nello strano mondo di Sebastian Murphy e Co.

Ain’t Nice ricalca il segno tracciato nel primo lavoro. A partire dalla dissolvenza iniziale si fa strada un pezzo punk urlato, con le ripetitive ed irresistibili note del synth e un bridge con protagonista sua maestà il sassofono. Una canzone che potrebbe benissimo appartenere all’album precedente.

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Nonostante l'opening track, Welfare Jazz è un disco molto diverso dal suo predecessore e questo diventa evidente a mano a mano che si prosegue nell’ascolto, sia per quanto riguarda lo stile musicale che i testi. Gran parte delle canzoni, infatti, ha come tematica centrale il rapporto di coppia e le sue difficoltà, andando a pescare dalle esperienze personali del frontman Sebastian Murphy. Si alternano pezzi in cui traspare la disillusione e la ribellione nei confronti di una vita regolare e regolata dai bisogni altrui, ed altri fatti di promesse e dichiarazioni d’amore e d’intenti.

Toad appartiene al primo gruppo. Una lunga conversazione dai toni via via più polemici con una fidanzata che sembra più una ex. Il genere si avvicina di molto al Rhythm and Blues e l’introduzione parlata ricorda l’inizio della celebre Everybody Needs Somebody to Love dei The Blues Brothers, soprattutto per il tono di voce alla John Belushi. Se lì si predicava il bisogno d’amore con un ripetitivo «I Need You», qua avviene l’esatto opposto: «I don’t need no woman / I don’t need no man».

Into The Sun invece rientra nella seconda categoria sopracitata ed anche in questo caso il ritmo è cadenzato. Dominano un basso prepotente e distorto e il synth che crea un’atmosfera blues rilassata e malinconica.

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Tutto il disco è caratterizzato da continui saliscendi ritmici ed emotivi che rispecchiano la volubilità e l’instabilità di chi soffre di dipendenza. Creatures è una canzone che unisce il suono elettronico ed il ritmo danzereccio ad un testo forte, dove sembra scomparsa la vena ironica che ha reso celebre la band svedese. Le creature che vivono sottacqua, nel sottoscala del mondo, hanno tuttavia insperati moti di vitalità. I Feel Alive, con protagonisti il sax e la tastiera, è un inno di speranza e di rinascita che mette in mostra le influenze derivanti dalla black music e dal soul.

Jesus Christ, I feel alive
Just last week I thought that I was gonna curl up and die
I tell you what, I feel alive
Oh, Jesus Christ, I wanna cry
I no longer wanna die
I tell you what, I feel so clean
I think you know just what I mean

Non solo le droghe portano alla dipendenza ed all’autodistruzione, ma possono farlo anche l’amore, l’amicizia e tutto quanto viene ribadito nell’ironica e scanzonata Girl & Boys: l’elencazione di cause ed effetti si accompagna al rumore massiccio di tutti gli strumenti. Un po’ Sports, un po’ Shrimp Shack, una delle canzoni nata durante una jam session, che non vediamo l’ora di ascoltare live.

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Una delle proprietà imprescindibili del jazz è l’improvvisazione e, come avrete potuto intuire, è una pratica che ha sempre caratterizzato i Viagra Boys, soprattutto nei loro live dove spesso si lasciano prendere la mano e si lanciano in lunghe e spassose sessioni strumentali. Nei loro dischi questa attitudine non è per nulla nascosta, si pensi a Shrimp Shack o Amphetanarchy dell’album precedente, i loro lavori suonano come fossero il prodotto di un evento live. In questo secondo disco troviamo un breve intermezzo di sax (Cold Play) e la quasi strumentale 6 Shooter che, al centro del disco, sembra rassicurare e consigliare l’ascoltatore spaesato a causa dello stile meno rabbioso e più lento dei nuovi brani. Inizia come un pezzo punk e finisce con un assolo di sassofono che nelle note alte sembra imitare la voce urlata di Sebastian Murphy.

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Se c’è una cosa che contraddistingue i Viagra Boys oltre al sassofono, è sicuramente l’utilizzo di un altro strumento, quello dell’ironia. Il loro stesso nome minimizza ed irride lo stereotipo della mascolinità. L’ironia della band svedese è ravvisabile sia a livello musicale, con la mescolanza di generi totalmente opposti, sia, e soprattutto, nei testi talvolta surreali. È qui che entrano in gioco i cani, già protagonisti in Street Worms con la traccia parlata Best in Show, nella quale si parodiavano i discorsi tipici di un’esposizione canina. In questo secondo album sono presenti tre intermezzi a tema: una filastrocca in rima (The Old Dog), Best in Show II e la breve Secret Canine Agent, canzone più punk del disco in cui si ritiene che il cane protagonista del testo sia una spia.

La più interessante delle tre è la seconda, che prosegue l’opera di personificazione canina iniziata nel 2018: se nella prima parte l’esposizione metteva in mostra diverse tipologie di cani facilmente assimilabili ai vari stereotipi di uomo (toy dogs, workin’ dogs, sports dogs), in “Campioni di Razza parte seconda” c’è un elogio della diversità e della stranezza, metaforicamente rappresentate dai latrati stonati di un cane che emergono  da un coro di voci umane.

No wolf seems to wanna end up on the same note as any other in the choir
This is why a dog howling along with a group of singing humans is instantaneously noticeable
He is deliberately not in the same register as the other voices
And seems to revel in the discordant sound he is making
He thrives in his own decadence
He bathes in his own dirt […]

He is unique, he is an individual, he is alone
(He is alone)

Le ultime due tracce dell’album sono legate tanto per la tematica trattata, quanto per lo stile musicale che deve molto al country, genere che Sebastian Murphy ha affermato di aver ascoltato a profusione da bambino. To the Country parla del desiderio di trasferirsi in campagna con la dolce metà, coltivando l’illusoria convinzione che vivere lontano dal caos cittadino rappresenti la soluzione a tutte le difficoltà che ogni relazione comporta. Il testo di questa dodicesima traccia presenta la stessa struttura di quella che segue, in particolare nella descrizione appassionata, e allo stesso tempo dissacrante, della persona amata.

In Spite of Ourselves è una canzone di John Prine pubblicata nel 1999 e qui coverizzata in una stupenda versione slow-punk. L’omaggio al grande interprete del folk americano deceduto di Covid lo scorso aprile è una delle prove più sorprendenti e riuscite dell’album. Il testo si addice in maniera incredibile allo stilema tipico dei Viagra Boys così come la voce femminile fortemente sintetizzata di Amy Taylor che canta le stesse strofe che nella versione originale erano eseguite da Iris Dement, moglie di Prine.

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In conclusione, è quasi impossibile definire Welfare Jazz, l’unico modo per descriverlo è farlo per negazione. Il secondo album dei Viagra Boys non è un disco post-punk, non è un disco jazz, non è un disco blues, ma è allo stesso tempo tutte e tre le cose appena citate. Rispetto al suo predecessore è meno aggressivo, per certi versi più semplice nella fruizione ad un primo ascolto, ma non per questo meno sperimentale, ironico e sconvolgente.

Chi si aspettava qualcosa di più punk, sulla falsariga di Street Worms, all’inizio rimarrà certamente spiazzato, ma poi si ricrederà. Verrà rinvigorito dal ritmo al quale è difficile resistere, nonostante i tempi più lenti, e non riuscirà a tenere fermi i piedi o la testa. Verrà rassicurato dalla voce cruda di Murphy, sempre al limite dell’intonazione e con delle nuove sfumature alla Tom Waits. Ritroverà la sagace compagnia dell’ironia, in questo caso tenuta un po’ più al guinzaglio, a differenza dei cani lasciati ancora più liberi di scorrazzare tra le tracce.

Welfare Jazz non è una conferma, perché diverso dal suo predecessore e ancora più vicino al mondo del rhythm and blues di quanto lo sia rispetto al post-punk, ma è contemporaneamente anche la continuazione ideale del sentiero tutto nuovo tracciato in passato. I Viagra Boys rimangono sempre riconoscibili, pur abbracciando ancora di più le loro innumerevoli influenze. Qualsiasi cosa suonino non mancheranno mai le note da tormentone del synth e gli scratch dissonanti del sax. L’importante è lasciarsi trascinare come suggerito in 6 Shooter e non comportarsi da middle aged man fighting in comments on which band this sounds like:

Get up there and sing with the band
Where are you goin'?

Il 2021 inizia all’insegna del post-punk, o del jazz, o forse più del blues e dei gamberetti... ecco, ci sono cascato ancora!