I Viagra Boys hanno realizzato un album politico.
Dubitate? Fate bene perché non è così, almeno nelle loro intenzioni.
A un anno di distanza la band più istrionica e delirante della Svezia torna con il suo terzo lavoro, un disco che racchiude tutte le sue innumerevoli essenze. Abbandonata la nostalgia per il jazz che aveva di fatto ispirato gran parte del secondo album, si torna ai ritmi deliranti degli esordi, senza però tralasciare le influenze acquisite lungo il percorso. Tra la miriade di strumenti e generi che da sempre contraddistinguono i Viagra Boys, il cantante e autore dei testi Sebastian Murphy porta per mano l’ascoltatore in un mondo privo di contraddizioni e dubbi, in un universo dove prevalgono le certezze dei cavernicoli. Qualcosa che non è poi così distante da una parte della realtà che ci circonda.
Cave World si apre con uno storytelling inedito per la band, segno di una svolta a livello lirico. I testi non sono mai stati così a fuoco come in questo disco. Baby Criminal racconta la storia di Jimmy che nasce bambino e si scopre criminale tutto ad un tratto. Ispirata alla vicenda reale di un ragazzo che tentò di costruire un reattore nucleare nel suo appartamento, la canzone riprende il tempo incalzante dei brani più movimentati dei precedenti lavori, la voce di Murphy è rude e sempre al limite come il suo vissuto, perfetta nell’integrarsi col sassofono.
Welfare Jazz era un album pieno di autobiografismo attraverso il quale la band si era riavvicinata al proprio mondo musicale originario, come suggerito dal titolo. Il ritmo era forse la mancanza che più si faceva sentire, oltre ai riempitivi e agli intermezzi non sempre pertinenti. Cave Hole, rimando non troppo implicito alla Ketamina e ai suoi effetti distruttivi (K-Hole), avrebbe dovuto essere il nome dell’album ed invece è solo la seconda traccia, o meglio il primo interludio. La raffinatezza del suono elettronico curato da DJ HAYDEN, che rievoca l’eco dell’acqua in una grotta, rende evidente la concretezza di un pensiero, cosa che in passato non emergeva. Una metafora che la musica riesce a rendere immediata. Così vale per gli altri due intermezzi strumentali, sempre ideati da HAYDEN.
Troglodyte punta dritto al cuore del problema con una rinnovata spinta rock, per certi versi inedita: la chitarra si sente in maniera nitida e non si limita a giocare col basso cercando di innalzare quel muro sonoro, tipico dell’esordio. Vengono sperimentati nuovi suoni e distorsioni tipiche di un certo gusto post-punk britannico. Vedere alla voce IDLES. A contribuire all’alleggerimento ci pensano le tastiere e i fiati che rendono il ritornello danzereccio e si accoppiano in maniera perfetta con l’ironia del testo: i trogloditi non sono i primati, ma coloro che diffondono odio e falsità da un computer, quelli che acquistano armi e progettano sparatorie. Torna in mente Caparezza e la sua Bonobo Power: la scimmia è l’evoluzione dell’uomo.
But if it was a million years ago
And we were still living in caves
You would not be welcomed by the other apes
'Coz you evolved a bit too late
L’eccentricità della band di Stoccolma si manifesta anche nella voce di Sebastian Murphy. Nel secondo album il lavoro sul canto era stato enorme, era stato abbandonato il parlato in favore di un modo di cantare vicino al blues. In Cave World si alternano tutti i registri vocali fin qui già sperimentati, dalla voce gutturale fino allo spoken, e si tenta persino qualcosa di nuovo. Il falsetto che si erge nel ritornello elettronico di The Cognitive Trade-Off Hypothesis è una delle cose più belle da ascoltare dell’intero album. La sesta traccia sembra suonata da una versione più scanzonata e de-metallizzata degli Shaka Ponk: il basso distorto detta il ritmo, il sax fa delle incursioni insieme con la chitarra elettrica. Il lavoro su ogni singolo strumento è certosino come poche altre volte, i Viagra Boys di colpo suonano raffinati. Con un mood a metà strada tra la spensieratezza e una velata malinconia, si fa ancora riferimento all’evoluzione: lo sviluppo cognitivo e linguistico non ha reso le scimmie più evolute, ma solo capaci di pianificare azioni terribili.
I destinatari delle metafore e delle invettive non troppo velate dei Viagra Boys sono i complottisti impersonati in Creepy Crawlers: una traccia parlata con una base apocalittica che rende il tutto ancora più parodistico. C'è chi crede ai rettiliani e chi sostiene che con i vaccini vengano iniettati dei microchip. La rosa dei personaggi dell’album si allarga e tra questi c’è anche un ladro che si giustifica dalle accuse continuando a ripetere «He’s got the same stuff». Ain’t Thief è un brano movimentato che mescola il punk con la dance: è lo specchio della musica della band svedese e della sua evoluzione dal 2018 ad oggi. È facile sentirci dentro il canto sconcertato e graffiante di Ain’t Nice e la spensieratezza elettronica di Just Like You.
A proposito di divertissement, Big Boy è una delle perle non troppo nascoste della tracklist. Registrata per gioco imitando un sound anni 70, vede la collaborazione di Jason Williamson degli Sleaford Mods. Il suo ingresso nella traccia è annunciato da un beat che a poco a poco prende il sopravvento su basso e batteria. Il testo, come prevedibile dal titolo, soprattutto per chi conosce i Viagra Boys, è l’ennesima parodia dello stereotipo maschilista dell’uomo alfa. Di colpo sembra di essere tornati negli anni 90 ed è un viaggio nel tempo piacevolissimo. Una delle principali differenze rispetto al passato è proprio questa: quelle canzoni che nei primi due lavori apparivano come riempitivi non esistono più, non c’è brano che smorzi il ritmo.
L’abilità della band nello scrivere i testi era stata esaltata in termini di ironia in Street Worms (2018), mentre risultava efficace nei suoi riferimenti autobiografici ma molto meno incisiva nel secondo album. In questo terzo lavoro c’è un mix perfetto tra irriverenza e vita personale. In Punk Rock Loser una voce alla Nick Cave sciorina un elenco di caratteristiche e attitudini da perdente, mentre sassofono e chitarra dialogano tra loro. Molto interessante l’ultimo bridge con i sintetizzatori: dal rischio di una possibile versione rielaborata di Sports, si passa di colpo alla convinzione di star ascoltando una delle canzoni più belle dell’album.
Il pezzo in cui più di ogni altro Murphy parla di sé è ADD. In realtà al deficit dell’attenzione si fa menzione anche nel ritornello di The Cognitive Trade-Off Hypothesis con un verso che in maniera geniale mina l’impianto umoristico del testo.
We climbed down from the trees
And we learned to speak
We lost our detailed short-term memories
But what's all of this got to do with me?
Is there some sort of connection to my ADD
Ma mai prendersi sul serio. ADD è un brano elettronico, lontano dai generi che i Viagra Boys hanno toccato nella loro carriera finora, che prende respiro con gli accordi di chitarra del ritornello dove «Attention Deficit Disorder» diventa un mantra che entra in testa dalla prima volta che lo si ascolta. Esorcizzare col ritmo e con la musica.
La danza sulla disgregazione sociale non si ferma, anzi raggiunge il suo livello di trasgressione massima nella traccia conclusiva. Return To Monke è un rumoroso invito a perdere le staffe: la volontà di ricreare un’atmosfera alla Rage Against the Machine è palpabile dal ruolo delle chitarre, della batteria e degli scratch appena accennati. Se non fosse per il sassofono, non sembrerebbe neppure una canzone dei Viagra Boys. Ancora una volta le armi vincenti sono le parole ripetute nel ritornello, ci si trova nel mezzo di un rito tribale: «Leave society, be a monkey».
Cave World è uno specchio dell’evoluzione della band e allo stesso tempo un giudizio sprezzante nei confronti dell’evoluzione della società di oggi. O meglio, di una parte di essa che a detta di Murphy e co. non sarebbe stata in grado di sopravvivere nelle caverne preistoriche. Questo terzo album è quello che consacra i Viagra Boys e ne costituisce forse la prova migliore per ritmo e consistenza. Emergono anche dei possibili sbocchi futuri, la band si confronta per la prima volta col mondo dell’elettronica e i risultati sono più che divertenti, anzi ne alimentano l’aura dissacrante. Scongiurato per il momento quindi il pericolo di uno stagnamento nei cliché stilistici dai quali diventa difficile schiodarsi una volta appurato il loro funzionamento.
I Viagra Boys registrano le canzoni con un criterio ben preciso: quello del live. L’ordine delle tracce è un’ipotetica scaletta, un ballo interminabile dove punk e jazz vengono saldati insieme da un sentimento di strafottente leggerezza. La stessa che traspare dai testi che, abbandonati cani e gamberetti, stavolta si soffermano sulle scimmie. Un album che volendosi mostrare il più distaccato e semiserio possibile, a partire dall’artwork fumettistico dai colori acidi, sortisce l’effetto opposto, denunciando la deriva culturale e sociale del nostro tempo. L’intento di offrire una visione poco lucida della realtà è talmente riuscito che l’ironia diventa satira. Cave World è a tratti un album politico pur non volendo risultare tale, e questo è uno dei suoi pregi migliori accanto alla musica.
L’album sull’evoluzione distorta dell’uomo dei nostri tempi, è anche quello dell’evoluzione definitiva dei Viagra Boys. Non è questo un bellissimo paradosso?