«I spend most of my days alone now. […] I don’t like to leave my house too much. It’s a gift and a curse but it helps me give undivided attention to my work… It distracts from the loneliness, I guess.»
The Weeknd
È stata una manna dal cielo ricordarmi che il 20 marzo sarebbe uscito After Hours, il nuovo album di The Weeknd. Mi ha salvato da questa quarantena. Quando in realtà - leggendo la sua dichiarazione qua sopra - lui si è recluso di sua spontanea volontà per mesi per dare vita a questo gioiellino. Non lo nego, le aspettative erano altissime. Anche perché lo seguo da molto molto tempo e ho consumato i suoi dischi con quel sapore vincente: quel misto di elettronica dal tocco sensuale senza far mancare nulla a chi è innamorato del RnB.
L'hype era veramente altissimo tanto che l'album è stato streammato da un milione di persone nelle varie piattaforme solamente il primo giorno. E si dice che nella prima settimana venderà 400 mila dischi. L'hype è stato generato anche dall'uscita di tre singoli veramente potenti – vedi Bliding Lights a 8,5 milioni di stream -. Corredati da short film ancora più evocativi interpretati da lui stesso che, dopo aver recitato in uno stralcio di Diamanti Grezzi con Adam Sandler, ha risvegliato l'attore che era in lui. A questa trilogia di video presentati si aggiunge quello di In Your Eyes pubblicato il pomeriggio del 23 marzo. Infatti, Abel su Twitter aveva già anticipato l'uscita di altri short-film scrivendo «a lot of videos for this album!». Quindi non ci resta che aspettare per il seguito di quella che sembra una storia di un'omicida strafatto di rane.
Nota: potete trovare qui nel nuovo merchandising due lollipop a forma di rana. Richiamo, anche troppo poco velato, alla sua esperienza nel video di Heartless.
Tutta questa voglia di The Weeknd è stata colmata dai suoi fan con fan-art davvero incredibili che io non smetto di ammirare. Ispirati anche dal suo nuovo look: è passato da dreadlock scomposti e lunghi ad una testa afro che rimanda anche al cambiamento musicale dell'artista stesso. Che dopo una stretta collaborazione con i Daft Punk ha rispolverato i vecchi e bellissimi anni 80 con un tocco di glam – per i quali, personalmente, vado pazza. Forse questo ha influito e influirà sulla mia recensione positivissima, ma non è solo questo il punto.
Il rosso, insieme alle tinte scure, è il colore predominante in tutti i suoi video e della copertina stessa. Questo stile rimanda al passato, al vintage e si sposa alla perfezione con la tipologia di brani presentati all'interno dell'album. È un incrocio tra la trap e gli 80s che si mischia, rinasce da cambi repentini e addolciti dalle linee vocali sussurrate da Abel. Una produzione di Max Martin, – già produttore di I Can't Feel My Face – insieme ad altri, che pompa i bassi e te li fa sentire nelle ginocchia e nel petto, donando e delineando così uno stile cupo e denso all'interno di tutto il lavoro. Uno stile che si fa notare, così come si rende riconoscibile attraverso la sua nuova divisa: abito rosso, mocassini, guanti di pelle nera, occhialoni scuri che nascondono il sangue e le bende.
«She never need a man / She what a man need» - Snowchild
«Never need a bitch / I'm what a bitch need» - Heartless
Che io voglia leggere in questo nuovo lavoro tutte le dichiarazioni di una relazione finita è visibile. La storia tra Abel Tesfaye e Bella Hadid è ciò che mi tormenta la notte ed è forse la ship che nutro da più tempo in assoluto. Tanto che ho passato settimane a leggermi i riassunti riguardo la loro travagliata relazione. Però non farò la fangirl perché qui si parla di musica.
E allora parliamo di come il primo singolo estratto si intitoli Heartless e di come Alone Again apra il disco. Così seguono Too Late, Hardest to Love. Che siano tutti messaggi non troppo velati riguardo ciò che tratta l'album? Quindi capite bene che per me è inevitabile pensare a lui e a Bella. Ed è sotto gli occhi di tutti come quest'album parli effettivamente di una relazione finita. E di come sia un lungo processo che passa per tutti gli stadi di quella che è una perdita, di un lutto. Che sia quello dell'amore della sua vita come persona o quell'amore tossico per la droga a cui ha dato un taglio. In ordine sparso tra questi brani si legge la fase della negazione, della rabbia, della contrattazione, depressione e, alla fine, dell'accettazione. E tanto, tanto ego.
Ego che si riflette nelle sue lyrics, quando sembra che stia piangendo per la perdita della sua amata in realtà continua a pensare solo a sé. «Dove sei ora, quando ho più bisogno di te?» canta in After Hours. Oppure «Non so se posso essere solo ancora / Non so se posso dormire solo ancora» di Alone Again. Mentre in altri si legge sempre la solita superiorità e caparbietà di un uomo a cui piacciono le donne e che non si accontenta mai. E che fa uso di droghe come se non ci fosse domani. Ma questo è il cliché alla base di quello che ha reso famoso Abel, insieme alle frasi strappalacrime da uomo innamorato che, ogni tanto, spuntano anche in quest'album.
Le lyrics, nonostante colpiscano, non sono l'essenziale e ciò che rende speciale quest'album. Perché, come già detto, parlano d'amore e di droga e di sesso, ma non lasciano trasparire nulla di più del solito - se non per alcune eccezioni che vedremo più avanti. Quello su cui bisogna concentrarsi ascoltando questi 56 minuti è assolutamente l'evoluzione e la ricerca musicale di un'artista che aveva già dalla sua parte grandi successi che lo hanno incoronato con milioni di stream e prime posizioni su qualsiasi classifica. E che non si è accontentato regalandoci qualcosa di nuovo. Ancora.
Ogni traccia del disco grazie a dei fade in e dei fade out ben studiati, si lega l'una all'altra creando un album che in realtà è un racconto unico, ma ben delineato da una spezzatura a livello di Heartless, la settimana traccia. Questo brano è la linea che separa la prima parte più pop e dai suoni leggermente trap alla parte 80s. Infatti, partendo dalla prima traccia Alone Again, l'ambiente chill, dopo alcuni cambi di atmosfera cupi ma ben distribuiti, attacca con i suoni tipici della trap. Resi più interessanti dall'influenza dell'elettronica e così succede anche in Snowchild e in Escape From LA, rispettivamente quinta e sesta traccia.
Altra cosa che si collega ai video e a ciò che ci vuole comunicare The Weeknd è quel clima e quella sensazione di trovarsi in un film horror. Infatti la tastiera e i synth di Too Late, di Escape From LA – ancora – e di After Hours richiamano alle scene che potrebbero concatenarsi con la fine del video del terzo singolo nel quale si trasforma in omicida all'interno di un ascensore.
E poi, magicamente, si arriva alle due ballad pop del disco: Hardest To Love e Scared To Live. La prima viene arricchita una spruzzata di drum-'n'-bass che dona quel tocco in più e che la fa rientrare e ricollegare al concetto e al racconto del disco. Mentre la seconda – e quarta traccia dell'album – è una vera e propria serenata con tanto di gorgheggi tipici di Abel. E che sarei curiosa di sentire live mentre fa a pezzi il suo cuore ancora una volta cantando «Il tempo che abbiamo perduto non potrà essere recuperato / Io sono la ragione per cui hai dimenticato come amare».
In Snowchild tra il beat trap Abel canta «L'unica cosa di cui sono fobico è il fallimento» e sembra sincero raccontando di sé stesso per la prima volta. Non di The Weeknd ma di Abel, mentre davanti a lui e a noi si staglia l'altra metà dell'album. Quella più 80s e coinvolgente. Infatti alla settima traccia troviamo Heartless, già abbastanza osannata da me, dalla critica e dai fan che l'hanno fatta schizzare alla numero uno nella Billboard Hot 100. Faith è l'ultima traccia pop arrivando poi a Blinding Lights e In Your Eyes. LE tracce del disco che regalano al pop quelle inconfondibili sonorità anni 80 glam. Tanto che nella seconda il sax e i fiati hanno ricordato a mia madre di quando a 20 anni andava in discoteca. Perché quegli assoli erano esattamente così, con quell'inconfondibile timbro che magicamente ti riporta indietro nel tempo. Grazie Abel per avermi fatto vivere gli anni che non mi sono potuta godere.
Save Your Tears è un'altra ballad che improvvisamente, a metà, cambia grazie alle tastiere e ai synth regalando sempre quel look vintage da capelli afro e colori sgargianti. Chicca del disco sono i cori, oltre alla collaborazione intrinseca durante la lavorazione dell'album di Kevin Parker nell'undicesima traccia. Infatti il frontman dei Tame Impala ha regalato qualcosa in più a Repeat After Me (Interlude) già stracolmo di groove con la sua voce distorta in sottofondo. Finiscono il disco la già citatissima e omonima After Hours che, molto probabilmente, grazie a quelle voci e a quel tappeto elettronico e onirico la rendono la mia preferita, ogni volta di più. Il tutto finisce con Until I Bleed Out che chiude il cerchio con la dipendenza di Abel che dice basta.
L'unica domanda che rimane ora è una sola: 'a Abel, ma concerti in Italia no?