Gigi's Recovery The Murder Capital
8.6

«Come dovrei continuare a vivere con me stesso quando continuo a commettere errori che feriscono le persone che amo? Ho cercato di essere migliore e lavorare su me stesso, ma niente migliora».

Cam è di Canberra ed è probabilmente un grande fan dei Murder Capital. La sua è la seconda lettera pubblicata nella sezione Capital Letters nel sito della band, dove chiunque può fare una domanda. Un’iniziativa molto simile a quella intrapresa da Nick Cave con The Red Hand Files (non è un caso che la prima domanda rivolta al frontman James McGovern sia stata proprio quale fosse la sua canzone preferita del cantautore australiano. Per la cronaca è O’ Children), un modo per condividere il proprio dolore con gli altri e cercare di dare un senso al lutto.
La risposta di James somiglia molto a quella che potrebbe darti un amico, il cantante irlandese cita anche i versi tratti dal Marmion di Walter Scott che suo padre ama ripetere: «Oh what a tangled web we weave when first we practise to deceive». Quanto più ci esercitiamo a ingannare, tanto più intricata si fa la rete che tessiamo. Soprattutto quando i principali destinatari dell’inganno siamo noi stessi.

Recovery è la parola chiave per comprendere il secondo album dei Murder Capital. Gigi’s Recovery arriva dopo tre anni di attesa: descritto dal quintetto di Dublino come una casa di cui ormai conoscono tutte le stanze, è il frutto di un percorso introspettivo iniziato subito dopo la pubblicazione dell'esordio.

(C) Jennifer McCord

When I Have Fears era un’esplorazione del dolore. Temi come il suicidio (On Twisted Ground) e la perdita erano esorcizzati dalla voce baritonale e dall’atmosfera cupa di basso e batteria in una continua ricerca della luce (Don’t Cling To Life). Gigi’s Recovery riparte da quel rumore assordante che sembra trafiggerci la testa dopo aver bevuto troppo, o semplicemente quando i pensieri sono talmente profondi che non ci stanno più.

«Strange feeling I'm dealing with / I can't admit it I lose my grip» sono i versi di Existence che fanno da preludio alla vera opening del disco. Crying è la descrizione di una notte, la presa di coscienza e la rottura della barriera emotiva. Gli occhi e le stelle sono i due estremi, in mezzo un fiume sonoro di synth e lacrime, circondati dalla ritmica incalzante della batteria. Il ritornello si apre con le chitarre, i suoni si mescolano e lo spazio si allarga. Echi del passato, questa è la Planet Telex dei Murder Capital. L’inizio di un nuovo capitolo.

Al pianto liberatorio fa seguito una preghiera punk. Return My Head è un pezzo più classico, ammesso che abbia senso un aggettivo del genere, nel quale fanno incursione le interferenze elettroniche del brano precedente. Riappropriarsi della propria salute mentale, è con questo intento che McGovern ha scritto la canzone uscita come quarto singolo. Il video è stato girato nella scuola media del bassista Gabriel Paschal Blake, un modo per riacquistare la spensieratezza e l’equilibrio di un tempo.

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Era bastato un album per etichettare la band di Dublino come una delle tante del panorama post-punk: un ottimo esordio offuscato dall’esplosione dei Fontaines D.C. di Dogrel e forse da un mood troppo cupo per essere ascoltato a cuor leggero. Eppure, i Murder Capital hanno dalla loro un vissuto di cui si percepisce l’onestà, senza che esso sia esplicitamente messo in mostra. Sono i piccoli dettagli a renderlo vivo e reale, come nella storia di Ethel. Decisioni, incroci, domande e tutte le infinite possibilità da cogliere per non sentirsi più incatenati. L’evoluzione passa anche dalla musica, dalle chitarre rarefatte, dai suoni distanti e dal ritmo basilare di batteria che dà l’illusione del controllo.

Gigi’s Recovery è un album ambientato di notte, non solo per via dell’artwork del disco e dei continui riferimenti testuali: lo si percepisce dai suoni e dall’atmosfera. The Stars Will Leave Their Stage è una serenata malinconica senza destinatario, recitata in riva al mare. Non c’è movimento, la staticità e la ripetitività della ritmica dominano la traccia. Il viaggio avviene nella testa, grazie alle frasi di chitarra che compaiono nel ritornello andando a sostituire le stelle.

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Il secondo album dei Murder Capital ha avuto una gestazione lunga. Alla riflessione introspettiva si è affiancata una ricerca sonora. Il cambio di produttore, da Flood a John Congleton - due monumenti nel loro ambito - ha permesso ai cinque ragazzi irlandesi di esplorare nuovi territori. Nulla di trascendentale, ma un sound personale e riconoscibile che li fa spiccare nel denso panorama di gruppi che ormai amiamo definire post-punk. Belonging e The Lie Becomes the Self sono le due canzoni che più rappresentano questa trasformazione, i brani che spaccano il disco a metà. Nel primo caso tornano le atmosfere nebbiose di Slowdance, ma questa volta il dramma chitarristico non si compie, si tratta di una canzone d’amore a base di synth, tastiere e la voce stupenda di James. Rimane sempre la luce il fine ultimo, la stessa che mette in mostra le debolezze.

La successiva The Lie Becomes the Self si apre con il basso, poi subentrano il pianoforte e la batteria. Le chitarre elettriche intervengono solo quando è necessario, come a creare straniamento, poco prima che la traccia si apra per qualche secondo diventando orchestrale. Poi c’è quella chitarra acustica nella seconda strofa che, ancora una volta, insieme con la melodia, ricorda i Radiohead di fine anni Novanta. La settima traccia è il manifesto poetico di Gigi’s Recovery. Non lasciarti sopraffare dal dolore canta nel ritornello James, anche se la perdita è talmente grande che ti sembra che solo guardando il cielo stellato ti possa sentire completo.

 

I’d like to remind you of this
Beside you I die to exist

La ricerca incessante di un senso, già in Don’t Cling to Life i Murder Capital ci avevano provato. La morte come deterrente alla resa e, allo stesso tempo, il troppo attaccamento alla vita come causa della paura. La liberazione può avvenire solo abbandonandosi al fluire dell’esistenza, accettando il dolore e la fine. Morire per esistere, magari accanto a qualcuno che si ama. A Thousand Lives mescola i Fontaines D.C. con una ritmica danzante dando vita a uno dei singoli più rilevanti della band. Non fatevi ingannare dalla frase precedente, la derivazione dura il tempo di arrivare al ritornello, cantato quasi a cappella. La traccia prosegue in un crescendo continuo, mille vite in soli quattro minuti.

We Had to Disappear è uno degli esperimenti più arditi compiuti dalla band. Una canzone che cambia nel corso dei minuti, ciò che resta costante è il canto drammatico di James che, unito al basso, amalgama tutto il resto. Il testo è tra i più belli mai scritti finora dal frontman: le onde del mare, attirate dalla luna, sono la metafora delle onde emotive che smuovono l’esistenza di chiunque. Non resta che abbandonarsi alla marea, cercando di restare a galla.

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Il primo singolo estratto dal secondo album, quello con cui la band ha rotto il silenzio, ha spiazzato un po’ tutti. Una canzone che, già solo per il titolo, nessuno avrebbe mai osato associare a quei musoni dei Murder Capital. Only Good Things è la canzone, l’apparente soluzione a quel male di vivere che ha caratterizzato il passato. La musica è qualcosa di già sentito, ma non per questo meno incisiva. L’arpeggio ripetitivo di chitarra, che poco prima del ritornello si lancia verso l’alto con delle note aperte, rimanda agli U2 più ispirati e trasmette quel misto di leggerezza e nostalgia di cui non sapevamo di aver bisogno. Il crescendo finale, inutile dirlo, è una botta incredibile.

Il disco si chiude con la title track e lo sguardo rivolto verso il cielo. Non poteva mancare neppure qui il pianoforte, vera new entry e colonna portante della rivoluzione apportata dal quintetto al proprio suono. La drammaticità è smorzata dal finale acustico Exist, la tappa finale del viaggio interiore. Subentra quella strana sensazione di vuoto, lo stomaco sembra che sia diventato il doppio più largo: sintomo che è finito qualcosa di grande.

Existence changing
Existence, exist

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The moment when you bear yourself honestly in front of the mirror. No bullshit. This can be the beginning of real change. […] All I can dare to say, for now, is try to be kind to yourself along the unpredictable process of change. With that kindness in your pocket, you will find and cultivate honesty with yourself.

Sincerità, il recupero passa dalla sincerità. Guardarsi allo specchio senza ingannare se stessi è il primo passo verso un nuovo inizio, scrive James a Cam.
Cambiamento, l’esistenza è continuo cambiamento e adattamento. Trovare ogni volta le giuste misure al dolore, assumere la posizione adeguata per proseguire e andare avanti, anche arrancando. Meglio le onde di un’esistenza in perpetuo mutamento, che un cielo piatto e orfano delle stelle che hanno abbandonato il loro palco.

Gigi’s Recovery è un percorso introspettivo sincero e il racconto di un cambiamento. L’evoluzione avviene in tutti i sensi, il cambio di prospettiva nei confronti dell’esistenza si traduce nella sperimentazione di nuove soluzioni sonore che prediligono spazi larghi e una profondità tale da togliere il fiato. Dal pianoforte all’elettronica densa e opaca dei synth, fino al canto non più ancorato all’altezza baritonale di “Ian Curtisiana” memoria, la band irlandese ha compiuto un ulteriore passo. Come canta James «The lie becomes the self / Outruns the self», i Murder Capital hanno superato se stessi. Sono molto di più di "una delle tante band post-punk", lo sono sempre stati, ma adesso non ci sono più scuse per continuare a ignorarli. Non di soli Fontaines D.C. vive Dublino.

(C) James Kelly