Back To The Water Below Royal Blood
6.8

Albo delle scelte sbagliate, secondo capitolo, comma 7: il primo passo per risolvere un problema è riconoscere di avere tra le mani, appunto, un problema. Così, due autunni fa, i Royal Blood avevano sancito con il mastodontico Typhoons la decisione di ritirarsi dalle scene limitandosi a guardare la partita dalla panchina, consci di aver raggiunto il punto di non ritorno, stremati sull’orlo di un prossimo precipizio riflesso nel loro ultimo giro di boilermaker. Con un savoir faire à la Pimp-My-Ride avevano portato all’estremo il loro sound, lanciando allo stesso tempo un grido di silente presa di coscienza che permeava tutto il disco: era ora di muovere il campo da quella tempesta che circa una decade prima ne era stata la loro genesi. La sbandata non più controllata rendeva un rehab spirituale la backdoor mentale più vicina.

Il duo britannico ne approfittò quindi per ripulirsi un attimo, dare una pettinata al proprio buon nome e sostituire gli spiriti nella cantinetta del frigo con una quantità industriale di Alka-Seltzer. La sobria rinascita era così un’alba più vicina e l’ultimo tassello dell’ovidiana metamorfosi non poteva che essere un disco che marcasse questa volontà di stare a galla piuttosto che annegare tra le amarezze: Back To The Water Below.

Royal Blood promo photo 2023
Ph. Tom Beard

Muoviti con la corrente finché questa non si muoverà con te.
Fatti i conti con la notte loca, ecco un appuntamento al buio con il mattino dopo in marziale segreto. Nessun testimone, nessun collaboratore dal nome altisonante a fare da ingombrante gregario. Le quattro mura della città natale di Brighton, lo studio dove tutto ebbe inizio. Il thé delle cinque e quattro Digestive. I Royal Blood, due di due di De Carlo ispirazione, l’uno contro l’altro e mai così tanto uniti. Niente giocattoli scintillanti o influenze dancefloor: il basso tirato al limite con la solita sfacciataggine di una lead guitar e i colpi secchi di batteria, nel mezzo un ritrovato pianoforte, qui nuovo e terzo elemento della band ad incorniciare il tutto. Resettare il sistema dalle proprie radici.

L’ouverture? Un revival dei motivi per cui da anni i Royal Blood ci trascinano nei loro turbinii: Mountains At Midnight è lo scatto che sigilla la suspense del trailer, reo di ingaggiare la folla con quel retrogusto classico, proprio da moshpit, che ci si aspetta ascoltando i primi lavori del gruppo. Sicuramente una presenza fissa nelle prossime setlist.

Da qui è anche possibile intravedere già la sagoma di una tripletta degna di nota che prosegue con Shiner in the Dark, brano meno piacione, più ritmato, più ululato e che sfocia a conti fatti nella (non) titletrack, Pull Me Through: la punta di diamante del disco e allo stesso tempo il simbolo della nuova prosa del duo. La scrittura brillante e gli arrangiamenti con il pianoforte di sfondo dimostrano finalmente quanto il gruppo sia cresciuto dai pesanti presupposti garage degli arbori. È un suono maturo, mirato, incisivo, che non disdegna valenze cinematografiche e che ricorda sicuramente i Radiohead.

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Un grave peccato quindi che il resto dell’album non segua questa falsariga né gli spunti tracciati appunto dai tre primi atti. O meglio, ci provano ma senza l’ardore, inventiva e scintilla appena sfiorata.
Si susseguiranno così ampie ballate più cadenzate, praticamente dei prototipi per la band post All We Have Is Now, in cui la voce di Mike Kerr riecheggia come un reduce dal fronte del mestiere di vivere, pronto ad incassare tanti altri colpi come uno scoglio in mare aperto. Accade in brani come The Firing Line, There Goes My Cool e la conclusiva Waves: “Viva Valhalla, baby” afferma il cantante, determinato e malinconico  con una sintesi e calma glaciale, scendendo a patti con la realtà su quanto il sogno di Vegas sia ormai una chimera, sepolta dalle sabbie di istinti più nobili.

In queste scene dove gli strumenti cadono a ruolo di contorno, a farla da padrona saranno i versi animati da un senso di decadentismo ottimista, in contrasto con le rimanenti tracce: Tell Me When It’s Too Late, How Many More Times non stonerebbero in How Did We Get So Dark?, così come High Waters pare un b-side di Typhoons che non ce l’ha fatta. Tutte e tre sono a corto difatti di una scintilla, un po’ dannata, che le elevi con un quid in più ad un gradino superiore nel catalogo del duo; il che è per altro un sentimento ben percepibile in quasi due terzi di quest’ultima raccolta di brani. Manca qualcosa: due pizzichi di sale sulle portate; le bollicine di accompagnamento; le quindici Mentos nella bottiglia da due litri di Coca-Cola.
Ragazzi, dov’è la miccia?

Così, sempre parlando di b-side e pezzi scartati per questa raccolta, rimarrà il mistero sul perché Supermodel Avalanches non sia stata inclusa, ma relegata a bonus truck sul vinile “deluxe” (a.k.a. ascoltarsela in pessima qualità da Youtube per la massa…). Ergo, non c’è bisogno di ringraziarci per la dritta.

Ce l’hanno messa tutta dunque i Royal Blood nel tentativo di essere (mediamente) dei bravi ragazzi e di ricalibrarsi un attimo su una maturità consona ormai alla loro figura. Nonostante ciò, il risultato lascia a tratti l’amaro in bocca e la sensazione che si potesse fare di più, molto di più. Buoni pensieri, buone parole, buone azioni. Sulle azioni sono stati un tantino troppo timidi.
Back To The Water Below ha comunque i suoi momenti e sarà sicuramente un album transitorio, di mezzo, nella discografia del duo, su cui forse vorranno costruire facendone leva dei punti di maggior rilievo.

Cari Royal Blood, cosa sarebbero i poeti maledetti senza la maledizione? Rimarrebbero sì comunque poeti in un banco di mediocri grigi schermi piatti tascabili, ma si dimenticherebbero del perché hanno iniziato a scrivere in primo luogo. Potrete anche dipingere l’incendio che divampa, ma cavalcare l’onda fino in fondo non sarà la stessa cosa senza la carezza delle fiamme sul collo.

Royal Blood live at Stadio San Siro, 2023, Milan, Italy
Royal Blood @ Stadio San Siro, 2023 - Credits Maria Laura Arturi