Ricordo molto bene la prima volta che sentii i Nothing But Thieves: era la primavera del 2015, stavo facendo colazione e mi ero imbattuto per caso nella loro Ban All The Music su MTV Rocks (rete in Italia, ahimè, ormai defunta da qualche mese). Era stata da subito una sorta di folgorazione: una band di sbarbatelli il cui cantante aveva una voce fuori dal comune, con un’estensione vocale degna di Matt Bellamy e di Jeff Buckley (!).
Qualche mese dopo sarebbero stati annunciati in apertura al Rock In Roma in supporto proprio ai Muse, cosa che da un lato gli ha permesso di farsi conoscere subito da almeno 35.000 potenziali fan, dall’altro ha distrutto il mio sogno hipster di riuscire a vedermeli per più date in locali minuscoli senza che nessuno se li filasse. Ma, d’altronde, il loro successo era inevitabile e più che meritato.
Ed eccoci qua, nel 2020, di fronte al terzo disco di questo quintetto dell’Essex.
In cinque anni ne sono cambiate di cose: sono passati da venues da band liceali alla O2 Arena di Londra. Hanno fatto svariati tour mondiali - hanno aperto concerti di band come Muse, Foo Fighters, Arcade Fire e altri. Inevitabilmente è cambiato anche il mondo, basti pensare che nel 2015 eravamo liberi da belle cose come Trump e la Brexit. Questi temi sono inevitabilmente entrati all’interno di questo album, che per la prima volta assume dei connotati politici: Can You Afford To Be an Individual? - una delle tracce più riuscite del disco - ne è un esempio lampante.
Si dice che il terzo album di un gruppo sia il più difficile, la prova del nove che un gruppo fa sul serio: se il disco di debutto è libero da pressioni esterne e il secondo è quello con il quale bisogna sapersi riconfermare, il terzo è quello che deve dimostrare che ormai la band in questione ha una sua identità ed è abbastanza matura dal riuscire a sperimentare senza farsi troppe seghe mentali. Ovviamente questa è una di quelle leggi non scritte che vogliono dire tutto e niente. Moral Panic si dimostra un album valido, con la band che ormai ha un suo sound distintivo e si sente a suo agio nel fare un tipo di brani che finora non erano appartenute al loro immaginario, come ad esempio There Was Sun. Tendenzialmente il disco alterna canzoni che sarebbero decisamente potute essere contenute nei loro precedenti lavori ad altre che, invece, sono aliene alle loro atmosfere tipiche. In generale, la sensazione che si ha è di trovarsi di fronte a un disco che non ha paura di approcciarsi ad altri generi ed influenze, ma che sul piano sperimentale non è niente di particolarmente innovativo. Non che questa sia necessariamente una colpa, per carità.
L'album si apre con due singoli già usciti da diversi mesi: Unperson e Is Everybody Going Crazy?. La prima, con il verso «This is not what you think it is. It’s worse» potrebbe riassumere benissimo questo 2020. Il testo prende liberamente spunto dall’iper abusato 1984 di Orwell: ormai la lista di band che scrive canzoni ispirandosi a quel libro è tendente all’infinito. Dal punto di vista musicale, invece, si potrebbe dire che segue il filone tracciato da Broken Machine.
Is Everybody Going Crazy?, d’altro canto, ha un verso caratterizzato da basso e chitarre alla Queens Of The Stone Age (influenza che si sentirà in diversi brani del disco) e un ritornello tipicamente NBT. Vocalmente Conor Mason fa quello che gli pare, che siano i falsetti alla Bellamy, quelli un po' più incazzati alla Jack White, o parti sussurrate alla Billie Eilish come in Phobia. Un talento che trova la sua massima espressione dal vivo, anche se il concerto in questione è solo in streaming, come nel caso dei tre mini-live della settimana scorsa. Chi ha assistito un loro live sa di cosa parlo. D’altronde è proprio il cantante ad essere il valore aggiunto, quello che separa i NBT dalla categorie di «band brave ma come tante altre». Non che i suoi comprimari siano scarsi, per carità. Anche perché nei NBT compongono praticamente tutti, con la produzione spesso affidata a Dom Craik e alcuni testi scritti dal chitarrista Joe Langridge-Brown. Nel caso di Moral Panic poi, il gruppo si e affidato per gran parte della produzione alle mani sapienti di Mike Crossey (The 1975, Arctic Monkeys, Wolf Alice e altri).
Nella traccia che dà il titolo all’album, troviamo subito un cambio ritmo alla fine del primo ritornello, che praticamente raddoppia i BPM cambiando completamente volto al pezzo. Caratteristica che verrà poi ripresa anche nella sopra citata Phobia.
Real Love Song, presentata come prima vera canzone d’amore mai scritta dalla band, potrebbe essere la loro equivalente di Mercy dei Muse. Vedo già orde di adolescenti in lacrime allo stadio a cantarla a squarciagola, con il sottoscritto che aspetta e spera solo di sentire al più presto la traccia successiva: Phobia. A mani basse il pezzo migliore del disco (anche se se la gioca con Can You Afford To Be an Individual?). È un brano che ha tutto: la calma del primo verso, che come già detto ricorda molto Billie Eilish, fino al punto di rottura dopo circa un minuto e mezzo: chitarre prepotenti si fanno strada, con il tono di Mason che cambia. Dopo un altro minuto e mezzo circa, un altro cambio di ritmo: è come se di secondo in secondo l’inquietudine crescesse ed esplodesse trascinandoti a fondo, con dei riff degni di Josh Homme. Il testo poi è una critica ai social media e all’ansia che generano.
La successiva This Feels Like the End porta il livello di angoscia su un piano ancora più ampio: il mondo sta andando a rotoli, diventiamo sempre più insensibili agli orrori che ci circondano e niente sembra migliorare - come d’altronde evidenziano i versi «Now we're getting numb to the numbers on the screen / But there's still more upturned dinghies in the sea». Con Free If We Want It, invece, sembra di essere tornati al loro debut album: le atmosfere e i suoni sono quelli, senza girarci troppo attorno. La seguente Impossibile è l’instant anthem del disco, quel momento con il pubblico a cantare a squarciagola con le mani in alto e gli accendini accesi (sì, sono vecchio dentro, preferisco gli accendini alle luci degli smartphones). È una ballad romantica, una ventata di speranza e di ottimismo: l’altra faccia di un disco che tratta principalmente di ansia derivata dallo stato preoccupante in cui versa il mondo.
Una voglia di ottimismo che viene ripresa dalla seguente There Was Sun, brano che spiazza parecchio chi è abituato al classico sound della band: è un pezzo smaccatamente pop che ti aspetteresti più da Harry Styles che da loro.
Ma con Can you Afford to be an Individual? tutto questo viene ribaltato: si viene catapultati violentemente in un brano fortemente influenzato dai Rage Against The Machine. È una delle migliori sorprese dall’album: un gigantesco dito medio e una feroce critica sia a Trump («But how can you hate something you don't even understand? /Oh, you're a MAGA») che alle frange estremiste dei Dems «But now the liberals aren't liberal, they're just as venomous / And you can't have an opinion unless you're one of us».
Il brano è un climax di basi hip hop sommate a riff sempre più prepotenti, con la voce di Mason che si fa sempre più incazzata, proprio come nello stile del miglior Zach De La Rocha. È un grido di rabbia nei confronti delle polarizzazioni, e riesce ad essere perfettamente credibile senza risultare paraculo: non è solo insultare Trump - fare quello tutto sommato è semplice. È la consapevolezza che le fazioni si stanno estremizzando, che siano Repubblicani o Democratici, di destra o di sinistra. Il dibattito democratico è sempre più a rischio, avere una discussione educata e aperta fra due persone di schieramenti diversi è quasi impossibile, la cancel culture sta prendendo il sopravvento. La retorica molto pericolosa del «se non sei uno di noi, allora sei contro di noi» viene perfettamente riassunta nei versi finali:
So have I gotta kill myself to be original?
And if I fucking hate you all, am I a criminal?
Can you afford to be an individual?
Arriviamo così alla traccia conclusiva Before We Drift Away, la chiusura del cerchio. Atmosfere decisamente più calme e malinconiche, un crescendo pacato che vede anche l’uso di archi com’era già stato per Impossible. È la voglia e la necessità di crearsi una bolla protettiva dagli orrori che ci circondano: «The world's at war again / But in this very moment / Oh, it couldn't matter less».
Moral Panic è sicuramente un bel disco, c’è una notevole dose di sonorità nuove per la band, anche se a parte un paio di tracce l’innovazione si mantiene limitata. D’altronde fare canzoni che potrebbero essere state scritte da un'altra band è solo sintomo di ampiezza di vedute più che la ricerca di elementi innovativi. Chi pensava di trovare un sound completamente simile ai precedenti album rimarrà deluso, così come chi sperava di rimanere totalmente spiazzato. Questo album è la fotografia del presente, valida oggi. Non prova ad essere visionario e anticipare le tendenze, sia nei testi che nella musica: cerca solo di fotografare la realtà di oggi. Sperando che tutto questo sia solo passeggero.