Che sia geniale o ridicolo, arrogante o solo molto esplicito, Kanye West sa perfettamente come promuovere un album. E The Life Of Pablo (Def Jam/G.O.O.D. Music; 2016), rientra – perfettamente – nel canone. Correva l’anno 2015, mese di febbraio, quando il canale ufficiale dell’Adidas pubblicava il video della presentazione della Yeezy Season 1, collezione autunno/inverno disegnata da Kanye. Al minuto 8 circa dei 12 complessivi, dopo un discorso di West ricco di massime, il rapper, produttore, stilista e futuro politico ha piazzato la traccia «#1» del suo «nuovo album», Wolves.
Tuttavia, Wolves non è il brano di apertura di The Life Of Pablo, e sembrava non sarebbe stata nemmeno inserita nella tracklist (c'è, in una versione diversa), ma non è l’unica cosa ad essere cambiata dal febbraio 2015 al febbraio 2016. The Life Of Pablo ha avuto molti nomi – So Help Me God, Swish, Waves – ma sempre lo stesso padre, che sapeva già dall’inizio come avrebbe chiamato la sua settima creatura studio, ben prima di lasciare la scelta del titolo ai seguaci di Kim Kardashian. Perché a Kanye non importa che si parli bene o male di lui, gli basta che si parli di lui. E proprio durante il 2015 aveva estremamente bisogno si parlasse di lui e del suo nuovo disco. Il 2015 è stato l’anno di Kendrick Lamar.
Questo spiega i numerosi cambi di nome, pur essendo solo una piccola parte del progetto alla base di The Life Of Pablo. Incredibilmente piccola, basti pensare ai numerosi cambi di tracklist e, come se fosse irrilevante, al suo annuncio di candidarsi alle presidenziali statunitensi del 2020. D’altronde, cos’altro può fare un uomo che si vede rubare la scena – e non solo quello – da qualcuno che lui stesso ha contribuito a creare? Un’altra cosa ci sarebbe, ad esempio postare foto di sua moglie nuda il giorno dell’uscita (anticipata) di To Pimp A Butterfly (il disco di Lamar, ndr). Non che i nudi della Kardashian facciano notizia –la rete ne è piena –, ma possono aiutare. E si potrebbe dire ancora molto di The Life Of Pablo, senza parlare di musica.
«Il mio ultimo album (Yeezus, ndr) è una protesta contro la musica, […], questo (allora, febbraio 2015, il titolo era So Help Me God) la abbraccia.», spiegava lo stesso Kanye in un’intervista. E se Yeezus veniva percepito a tratti come rumore, con il prezioso contributo dei Daft Punk, il nuovo disco la musica l’abbraccia per davvero e gente come Mike Dean (quello che, «even though you white you one of the realest niggas alive») e Madlib in cabina di produzione non avrebbero potuto fare altrimenti.
Si potrebbe parlare per ore di quanto sia magnifico il beat dello stesso Madlib in No More Parties in LA, che, come se non bastasse, ha finalmente donato al mondo la collaborazione che il mondo attendeva da anni: quella con Kendrick Lamar. Un Lamar, ovviamente, perfetto, come sempre, su una traccia che forse si perde troppo nelle lunghissime strofe di Kanye. Ma: «I know some fans who thought I wouldn’t rap like this again, but the writer’s block is over, emcees cancel your plans», ed è tutto più chiaro.
E con Mike Dean quasi onnipresente su tutto il disco, tracce come 30 Hours non possono non essere citate, anche solo per il lavoro pregevole di un certo Karriem Riggins. Pregevole è anche il lavoro di Charlie Heat su Facts, che ha reso il brano insipido messo in rete da Kanye una delle tracce migliori del disco, se non altro perché riassume esattamente il Kanye West di oggi. Invettive contro la Nike: «treats employees just like slaves» – lui è team adidas, ingresso nel mondo della politica: «2020 I’ma run the whole election», e roba controversa: «does anybody feel bad for Bill Cosby?».
Di controverso, nel disco, c’è molto poco, a livello di bars, ma quel che c’è basta e avanza: «I feel like me and Taylor might still have sex/ I made that bitch famous (God damn)» (da Famous). In ogni disco post-2009 Kanye fa almeno un riferimento a quell’incidente con la Swift, però è difficile dire chi dei due abbia reso famoso l’altro. Certo è che queste parole sono bastate perché Kanye finisse su mezzi d’informazione di ogni tipo e non solo per la scarsa qualità degli stessi, ma anche perché quello che dice West ha in qualche modo, che lo si apprezzi o disprezzi, una rilevanza. In questo senso Kanye West non è un musicista, non fa musica, tanto meno hip-hop, Kanye West è un personaggio pubblico.
Kanye è un personaggio pubblico perché se scrive su Twitter «BILL COSBY INNOCENT», tutti impazziscono, anche se, a livello giuridico e, se vogliamo, giornalistico, non ha scritto nulla di illegale, ma questo non toglie che scriva e dica anche tantissime stronzate. La stessa reazione c’è stata per la richiesta di aiuto ed investimenti a Mark Zuckerberg, sempre su Twitter, e la “confessione” di avere un debito di 53 milioni di dollari. E nel travaglio Kanye West-Twitter è passato pure Martin Shkreli, con la sua offerta per The Life Of Pablo.
Elementi, questi, posti tutti sotto la direzione di West (ho qualche dubbio su Shkreli), per generare quello che per comodità potremmo chiamare hype, attorno al disco ed attorno alla sua nuova collezione, presentata insieme all’album. In realtà, ogni album di Kanye West deve essere considerato nel contesto della sua vita, pubblica e privata, non solo per quel che riguarda dichiarazioni ed eventi correlati, ma anche e soprattutto per la musica. Senza la perdita di sua madre e la rottura con la ragazza del tempo non ci sarebbe stato nessun 808s Heartbreak, ad esempio.
Ma, come ogni disco, in The Life Of Pablo non mancano riferimenti al passato, con il synth ruvido di Feedback che non avrebbe stonato in Yeezus ed Highlights, perfetta per Graduation.
Questo è il disco del momento di massima popolarità di Kanye West, sia come musicista, sia come stilista e, presto, anche come personaggio politico, per il quale ogni azione, parola o pensiero è notizia, disprezzo o ammirazione. Come ogni altro lavoro di West lascerà una traccia indelebile, perché quando qualcuno è o amato o odiato, ma pur sempre celebre - un anti-eroe incompreso - influenza sia chi lo adora e sia chi lo disprezza e lo tiene a distanza, à la D’Annunzio, insomma.