Inseguire di continuo fantasmi non dev’essere proprio un lavoro tanto semplice, specialmente se lo spettro sfuggente è considerato uno dei capolavori all’interno della propria discografia. Il tutto si trasforma in un delicato mordi e fuggi psicologico, una sorta di terra di mezzo, in cui ogni band prima o poi sarà costretta a passare alla ricerca di quella sonorità che non sappia di minestra riscaldata o di mancanza d’idee: il seguito, spirituale che sia o meno, dell’album con la reputazione di non plus ultra. In questo contesto statico arrivano a mescolare le carte del banco i Queens Of The Stone Age, proponendo, dopo circa quattro anni di silenzio, il sequel a quello spettacolo oscuro che fu ...Like Clockwork (Matador Records, 2013): nasce così Villains (Matador Records, 2017), ultima opera della band e vero cacciatore di fantasmi, il parente casinista dal piede sciolto che nemmeno ...Like Clockwork sapeva di avere, ma a cui non può fare a meno; la correlazione tra i due album infatti aleggia in qualche strano livello metafisico di presenza/assenza materialmente intangibile.
Cosa serve dunque per diventare effettivamente dei Villains?
Innanzitutto cambiare radicalmente filosofia di vita rispetto ai predecessori, abbracciando l’idea di urgenza senza emergenza che tanto piace al leader dei QOTSA, Josh Homme, un carpe diem riveduto e corretto tra i cactus e il sole della California; in secondo luogo avere l’album firmato da Mark Ronson, dj e produttore discografico, il cui nome scatenò le più profonde paure dei fan della band terrorizzati all’idea di un possibile album pop dance, timori praticamente infondati visto il risultato finale. Infine inaugurare una pista da ballo per demoni, spettri, zombie e qualsiasi altra simpatica presenza quel mago di Boneface sappia delineare (la cover art e tutti gli altri artwork presenti sono magistralmente disegnati dall’artista, già in collaborazione con il gruppo per il precedente album) perché Villains è un’autentica collezione di tracce su cui scatenarsi ed esorcizzare ansie o incubi.
Ci si ritrova quindi davanti alla più infestata centrale elettrica del Rock’n’Roll che abbatte ogni timore sulla vena creativa di Josh Homme e soci: Villains è il più degno erede di ...Like Clockwork al punto da continuare quel processo evolutivo tanto ricercato dal gruppo, affermando così la propria identità all'interno di una solida discografia con la stessa sfacciataggine che ha accompagnato la band nel corso degli anni. È un album che non accetta compromessi o tantomeno regole nel presentare il classico sound dei QOTSA riportato al 2017 con sintetizzatori di sottofondo che farebbero impallidire la colonna sonora di Blade Runner: ne è un esempio il primo brano Feet Don't Fail Me, con la sua intro in stile varco inter dimensionale tra i due album, o realtà, citati prima di sfociare nella traccia d’apertura più potente mai realizzata dal gruppo con un riff fuorilegge che vi costringerà a mettere la canzone stessa in loop più volte.
Ma il fattore “catchy” dell’album non finisce di certo qui, dato che l’opening track viene subito seguita da The Way You Used To Do, primo singolo pubblicato che non convinse del tutto i fan, anche se, lasciando perdere i nostalgici dei suoni di Song For The Deaf (Interscope Records, 2002), è un brano dall’elevato tasso di rock’n’roll con un certo sentore di rétro tipico dei simpaticoni sotto esame: menzione d’onore infatti per l’attuale ed ormai consolidata formazione dei QOTSA, nella quale ogni componente del super gruppo riesce ad esternalizzare le proprie abilità al meglio (mi ci vorrebbe un articolo a parte per parlarne, ma questo non è il momento).
Ora, per la terza traccia, Domesticated Animals, bisogna fare almeno due passi indietro. Ricordate quando Homme aiutò gli Arctic Monkeys nella produzione di Humbug (Domino, 2009)? Più specificatamente, avete presente Dangerous Animals? Ecco, Domesticated Animals è principalmente ispirata da quest’ultima per quanto riguarda la sonorità un po’ dark, allo stesso tempo però è pure influenzata dai lavori di Iggy Pop con il quale due dei QOTSA hanno lavorato l’anno scorso (insieme allo stesso Helders dei Monkeys). Quindi? L’ennesimo centro dell’album, c’è poco da fare: testo degno di La Fattoria Degli Animali di Orwell (senza riferimenti politici ovviamente, dato che i QOTSA non hanno mai voluto immischiarsi in tal argomento) e base segnata dall’ottimo basso di Micheal Shuman collimano alla perfezione.
Tuttavia, questa trilogia iniziale di ottimi pezzi, viene interrotta da Fortress, la canzone relativamente più debole di tutto l’album: non è terribile, sia chiaro. Il sottofondo musicale non è male, il synth nel ritornello è valido e guadagna senso se si leggono determinate interviste al gruppo, nonostante questo però, non ha dei versi molto originali, che anzi ricadono nel “già sentito”, così da stonare all’interno di Villains come un floppy disk nell’era delle pendrive da 128 GB.
Fortunatamente la band, quasi dopo aver apparentemente bluffato, cala di colpo la mano vincente con Head Like A Haunted House, un brano reduce dal punk tra apparizioni oniriche dei Misfits dopo il primo ritornello ed una pungentissima combo basso-batteria al centro dell’attenzione. Qui lo dico, qui lo sottoscrivo: questo è, a parer mio, il pezzo che (insieme a Feet Don’t Fail Me) meglio rappresenta l’album per iconicità ed inventiva della band, ponendosi sulle solide basi dell’intera discografia per presentare qualcosa di nuovo e memorabile.
Cos’altro potrebbero proporre i QOTSA per stupire a questo punto? Facile. Un brano che ricorda in tutto e per tutto i concept di David Bowie; vi presento quindi Un-reborn Again, il brano più particolare (in positivo) di tutto l’album, ascoltare per credere: sono pure riusciti a piazzare un azzeccato sassofono tra quei synth.
Giusto per cambiare i miei toni di lode verso quest’album, perché sembra quasi che sia al soldo dei QOTSA (hey non è colpa mia se l’album spacca), parliamo di Hideaway, settima nella tracklist e ottava nella mia classifica personale: sono del tutto convinto che sia uno di quei brani che si apprezzano maggiormente col tempo e/o con l’occasione giusta, dato che, nel momento in cui scrivo questa recensione, non mi dice molto, malgrado il testo convinca, sembra quasi azzardare un cosplay sonoro di uno dei brani “minori” di AM (Domino, 2013), ma senza comunque possedere quella forte sensazione crepuscolare che tanto permeava il cd appena citato.
Paradossalmente però, Hideaway brilla del merito di essere una sorta di ponte musicalmente narrativo tra gli atti dell’album: l’ultimo “atto” di Villains infatti non si risparmia di incalzare nuovamente l’ascoltatore. The Evil Has Landed appare come un vero e proprio poema epico, discendente dei Them Crooked Vultures e anche trasversalmente dei Led Zeppelin per certi riff; non è di certo un brano davanti al quale si può restare impassibili, o come recita il testo: “Play the fool or playing God / Just for God's sake play along”, molti secondi prima di rivelare un signor Outro che, oltre a meritarsi l’iniziale maiuscola, riesce anche in pochi versi a riassumere stilisticamente i QOTSA da ogni immaginabile punto di vista in un tripudio di suoni degni del loro percorso evolutivo.
Infine, come epilogo, i QOTSA chiudono il sipario e le danze con Villains Of Circumstance, la controparte di The Vampyre Of Time And Memory dal precedente album. Un po’ l’outsider del branco grazie ad una melodia inizialmente pacata e tranquilla come può esserlo il crepitio di un falò nel bel mezzo della più dimenticata tra le caverne, questo malvagio di circostanza si risveglia per il ritornello al suono dei suoi stessi passi nella notte per consegnare una delle migliori canzoni scritte da Homme, chiudendo così l’album in maniera ragionata e precisa.
Villains, malgrado si mascheri da testa calda imprudente che vive l’attimo, nasconde molto di più: si vede che è un album studiato al millimetro alla ricerca di quelle sonorità che confermino i Queens Of The Stone Age come padroni di ogni loro azione, i tocchi magici e gli aggeggi di Mark Ronson si sentono e conferiscono al tutto una nuova e luccicante cornice d’insieme.
Ma è “il miglior album di sempre”, così come veniva presentato, scherzando, nel video reveal dello scorso giugno? Oltre a sembrare ogni tanto il finale alternativo di ...Like Clockwork, lo supera in termini qualitativi?
Domande molto soggettive a cui rispondere; perciò mi limiterò a questo: malgrado ...Like Clockwork rimanga il miglior album dei Queens Of The Stone Age sotto il profilo tecnico ed abbia alcuni dei loro brani maggiormente ispirati, Villains ha più carattere e grinta, agitando con meticolosa tenacia il panorama attuale incurante delle opinioni altrui perché convinto di ciò che davvero è. D’altronde come dargli torto quando presenta pezzi come The Evil Has Landed, Head Like A Haunted House e Feet Don’t Fail Me?
I Queens Of The Stone Age sono tornati.