Andiamo. Puoi rimettere insieme i punti delle tue ferite, esorcizzare demoni ed inseguire fantasmi fino ad una certa. A lungo andare, anche un solo anello della catena prima o poi si spezza: salta una sutura, gli spiriti prima domati riprendono il sopravvento e quegli stessi spettri tornano ad infestare le sinapsi al pari di sanguisughe.
Il castello di carte eretto su una vita di eccessi scolasticamente rock’n’roll crolla verso il fondo come tessere del domino in una spirale elicoidale. Beffa genetica? Sorte avversa? Meticolosa maledizione? Forse l’una, forse l’altra; non che conti davvero alla fin fine.
Fatto sta che è un attimo ritrovarsi persi in un vicolo buio, trascinati da un turbinio di sabbie mobili, tenebre e angosce.
Proprio qui, circa sei anni fa (cinque se consideriamo un tour a dir poco rocambolesco) si era calato il sipario su Josh Homme e i suoi Villains, i Queens of The Stone Age: quello che doveva essere il trionfo della nuova vita scanzonata del frontman e soci, dopo gli incubi maturati in …Like Clockwork, si era trasformato in un mezzo delirio di onnipotenza e sregolatezza, abbattuto in volo dalle crisi globali da un lato e familiari per Homme dall’altro, culminate pure nel polverone di un tragico divorzio e quanto ne potesse conseguire.
Après nous, le déluge.
Chi o cosa mai sarebbe potuto sgattaiolare da quella tetra viuzza e dall’assillante silenzio che ne infestava i lamenti? Molti puntarono senza mezzi termini che il frutto di un simile esilio non potesse che essere parte del filone sensibile, umano, ma allo stesso tempo tosto di …Like Clockwork, dimenticati quindi i modi da carpe diem di Villains. La scommessa più sicura dopotutto, no? Eppure, non potevano essere più lontani dal giro conclusivo di questa roulette.
Il vampiro del tempo e della memoria era stato infatti solennemente sepolto anni prima sotto un asso di cuori, così come il tanto osannato carpe diem, che era invece ormai risorto in carpe demon: il mondo di Homme stava dunque implodendo su sé stesso, perse le certezze e gli amici di una vita, mentre lui orbitava ai limiti di un DEFCON 1.
Nessuno si sarebbe però mai immaginato che il capobranco del deserto avrebbe riaperto le danze a guardia alzata, pugni chiusi e a centodieci ottani, proclamandosi despota di un’isola perduta, al cui interno quelle ansie, spiriti che tanto lo angosciavano, gli fossero qui complici, funzionali e fedeli compagni d’arme.
Che il tempo sia davvero galantuomo? In Times New Roman…
Un nome, un presagio. Un disco, una sportellata continua a un torbido passato, fatto di esagerazioni, pugnalate alle spalle, bugie, e tanti altri argomenti da tabloid che non affronteremo, malgrado diano sì slancio ai versi delle dieci tracce qui presenti.
Da scordare i mordi e fuggi di Villains o i profondi sospiri di ...Like Clockwork, In Times New Roman… è una brutale scalata ai vertici della discografia del gruppo, un portarne avanti gli stendardi con la rinnovata disillusione che la vita sia effettivamente un combattimento nel fango per un coltello, forse sì di plastica, ma comunque abbastanza per aggrapparsi disperatamente alla luce in fondo al tunnel, senza perdere un battito, senza mollare un secondo.
Non ci sono pause, intermezzi, filler. Ascoltarlo tutto d’un fiato si dimostra una prova di resistenza e di fede nei confronti del gruppo, in premio l’ammutinamento dalla ciurma dello status quo ed una vestale rinascita dalle fiamme.
Quest’album graffia.
La ferocia che lo contraddistingue è lampante sin dalle prime battute. Densi riff ovattati, colpi di batteria chirurgici, il tipico falsetto nei ritornelli. Obscenery è infatti uno zombie, resuscitato direttamente dell’originale self-titled del ’98, conscio di essere dannatamente in ritardo, ma in grado di dipingere le volontà del gruppo: non è necessario riscrivere le regole della partita nel bagnasciuga del tempo, quando queste le hai scritte in prima persona secoli prima e per amor fati è giunto di nuovo il tuo momento di calare una mano vincente.
Eventuali rimpianti da comfort zone? Da soffocare subito nell’assolo molto Lullabies di Paper Machete: “Leonessa o damigella in pericolo?” accusa un Homme stremato, calato nella parte di quel qualcuno che nel 2005 era finito nel lupo: una catarsi elegiaca che lo perseguiterà in Negative Space e nel suo Time & Place.
Galeotta fu dunque la clausola incisa con le lacrime cementificate nei termini del contratto dei Queens: accettare il guanto della sfida ed in qualunque modo uscirne dall’altro lato. Andare stoicamente avanti, malgrado l’esito dei dadi. Così, alla fatidica soglia dei cinquant’anni, il frontman se ne ricorda solo quando “i pesi delle catene gli vengono strappati di dosso” e realizza di avere davanti una nuova pagina bianca, nel sole del mattino, in Made To Parade, una traccia che non stonerebbe se ad accompagnare la band fossero Dave Grohl e John Paul Johnes, riferimenti poco casuali.
In fondo poi, se in caduta libera si ha anche una zampa stretta nella morsa di una tenaglia, non resta che “accettare la vista e di essere un avvoltoio che sente gli addii” distanti e incessanti nella desertica, ma di chiara ispirazione à la Bowie, Carnavoyeur. Tant’è che sdoganata questa ritrovata libertà, la migliore difesa è l’attacco: le chitarre tornano ad essere veloci, i versi animati da foga e smisurata voglia di rivalsa, ora ardente nelle sbandate del bridge. Pare una vacanza punk in Cambogia, ma vissuta solo sotto il benestare delle tenebre ed in punta di piedi su vetri e cuori infranti.
What The Peephole Say non potrà più metterti i bastoni tra le ruote, lanciato contro il muro del suono e ormai complice di questi Villains. Alla domanda “Sarai allora una tigre o un bidone dell’umido?”, avremo già comunque preso una decisione, rispettando in religioso silenzio il mantra del quisque faber suae fortunae, almeno cinque accordi prima, forse anche ventisette anni fa.
A tirare infine le somme del discorso saranno quindi le sinistre, ampie e ballabili atmosfere di Sicily, dove il buon Josh per un’ultima volta deciderà di guardarsi allo specchio dritto negli occhi e di fare i conti col passato, tra epigrammi in continuo scorrimento.
Da qui, il cigolio di una porta che si chiude marcherà l’epifania di resurrezione, adesso consapevoli che la dilaniante febbre tanto ricercata nello scorso disco (The Way You Used To Do, in fabula) si sia spezzata e che l’unica soluzione per riprendersi da crisi di sentimenti usa&getta ed eventuali Emotion Sickness sia lasciare andare, rispedire al mittente il tutto incorniciato dalle chitarre di Era Vulgaris in scontro con le vocalizzazioni stile anni Settanta dei ritornelli.
E così, nel mentre l’impero crolla sotto i nostri occhi e ne abbracciamo l’eterno ritorno tra le squame di un urobòro, la nave da guerra dei QOTSA prende il largo ancora una volta con l’epicità di Straight Jacket Fitting. Probabilmente uno dei brani più lunghi nel repertorio del gruppo post Rated R, questa traccia dai caratteri titanici ricalca come sintesi conclusiva i temi, sia stilistici che musicali, visti finora, con un Homme tuttavia più critico di quanto intorno a lui e al contempo distaccato. Finalmente è libero, ma a che prezzo?
Hold me close, I’m confused,
I don’t wanna go out
Told myself “you can do this”, but I’m having doubts
The old world melts like a candle a flickering out
La notte e l’incubo sono stati lunghi. Il rito(rno) dei Queens Of The Stone Age è stato portato a termine: In Times New Roman… sembra dunque destinato ad essere l’ultimo tassello di un responso lanciato nel vento una decade fa ed in parallelo la firma che sancisce una neonata alba.
Allontanare i demoni dalle mura e riscriverne i contorni non sarà stato di certo il suo intento in origine, ma nei cocci di un sound storico e ferocemente ostracizzato ne fa caposaldo un'identità catartica, di cui tutti noi avevamo bisogno, in primis Homme, per un domani.
La vivida prosa rock e il sound massiccio, trascinatore, storico, brillano tanto più forti quanto le tenebre che li avvolgono.
E se anche non fosse mai possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, questo sarà pur sempre parte del fascino dato dal pericoloso naufragare nelle anse del deserto di dominio dei QOTSA.
In Times New Roman… ha vaticinato: andrai, ritornerai, a testa alta, oltre la notte, seconda curva a gomito dopo l’oblio.
Balliamo.