È arrivato in punta di piedi il quinto album dei Protomartyr, band di Detroit. Lentamente, perché il bombardamento di notizie sul Covid-19 ne ha posticipato l’uscita, in una maniera ancora più sorda del solito, perché a primo acchito Ultimate Success Today sembra la copia esatta dell’album precedente. Ma non è una drammatica sorpresa, è invece la conferma di uno stile ormai consolidato: un post-punk confuso, una massa indistinta riprodotta da chitarre stridule, un richiamo alla crudezza disarmante dei testi, declamati dalla calda voce nasale di Joe Casey. Il loro è uno stile che si è arricchito nel tempo, è maturato. Una ripetitività che rassicura.
E in questo coerente percorso di aggiunte, in Ultimate Success Today entrano in scena delle nuove comparse: un sax che si diverte solitario lungo le 10 tracce, un basso che si azzarda fino al groove in I Am You Now, il violoncello nella maggior parte dei pezzi, già sperimentato nell’ Ep del 2018 Consolation, la voce onirica di Nandi Rose Plunkett alias Half Waif in June 21. Registrato nel suggestivo studio Dreamland a Hurley nello Stato di New York, una chiesa sconsacrata del XIX secolo, Ultimate Success Today ha avuto come produttore David Tolomei, già occhio vigile dei Dirty Projectors e dei Beach House.
Musica come un ciclo in divenire, quella dei Protomartyr. Lo si nota sin dal primo brano, Day Without End, che riprende l’ultima traccia di Relatives in Descendent, il quarto album uscito nel 2017. Anche qui, la verità è personificata in una donna, ma la novità è che non è più essa a inseguire l’uomo, è quest’ultimo che la rincorre allo stremo delle forze, come se fosse l’obiettivo principale della sua vita. La morte, la parola fine a questo vano inseguimento, accompagnata da dolori sempre più lancinanti, apre paradossalmente l’album e arricchisce con la sua mestizia le restanti tracce. La ritroviamo in tutta la sua cupezza nel lato B del disco, nella martellante Tranquilizer e nella lenta nenia Bridge & Crown, dove viene spiegato flebilmente il senso della vita: «Tutti sanno che ci stiamo aggrappando a dei piccoli sogni, per guidare i nostri corpi lungo la linea, fino a quando non rimane più nulla».
Torniamo agli strumenti new entry di Ultimate Success Today. Entrano in soccorso in un caos apocalittico, profetico, quasi come se già nel 2019 –anno della composizione dell’album – la band avesse preannunciato il 2020, colpito dalla pandemia e dalle rivolte statunitensi sulle grida di «Black Lives Matter». E se il Coronavirus era impensabile negli Usa a marzo, quando delle mascherine e del distanziamento interpersonale si faceva burla persino il capo dello Stato Donald Trump, altri sintomi, quelli del malcontento nero, erano già stati accusati da una popolazione storicamente discriminata, che continua a piangere morti innocenti per mano della polizia. È questa la materia discussa in Processed By The Boys, il singolo più fresco e scoppiettante dell’album.
Non mancano quindi i riferimenti all’attualità, la ragion d’essere dei Protomartyr. Il gruppo si identifica negli invisibili di Zio Sam, evidenzia lo sfruttamento dei lavoratori, la mancanza di cibo e di cure, cerca di dar loro un volto e una voce. È una massa che, se unita, può scatenare una rivoluzione, la sola via d’uscita dall’oblio. La band li accompagna nella lotta contro l’avidità dei signori del capitalismo, che progressivamente accrescono il gigantesco divario tra i benestanti e gli indigenti. «Ultimate Success Today» è il motto dei privilegiati, esclamato come in uno slogan pubblicitario: ecco spiegato il titolo dell’album.
Altri nemici della nazione sono l’ipocrisia delle promesse annunciate dagli arrampicatori sociali, specchietti per le allodole così attraenti che sembrano aforismi, e la cecità di certi ambienti della società statunitense, in particolare del Michigan, Stato della band, qui esposte in The Aphorist e in Michigan Hammers, che donano un tocco nostalgico e da vecchia scuola alla tracklist.
Torna la morte nell’ultimo brano, il dolce canto funebre di Worm in Heaven, che racchiude tutto ciò di cui la band ha raccontato nel corso dell’album. Siamo esseri di scarso valore – spiegano i Protomartyr – arranchiamo verso il benessere, strisciando su un tortuoso percorso ad ostacoli da affrontare con unghie e lame affilate. E anche quando siamo giunti nel paradiso, il luogo ultraterreno più quieto, siamo ad un passo dalla grazia. «Ricordami come ho vissuto – continua Casey – ero spaventato, sempre spaventato».
I Protomartyr scattano una fotografia nitida di un Paese allo sbando. Un’America vecchia, ancora nutrita di falsi miti e speranze, precaria, sulla via del declino. Lo fanno con un suono ricostituente, con un free jazz energico e incalzante, mai improprio. Sono forse queste tracce l’«Ultimate success» della band? Probabilmente sì, siamo di fronte a disco quieto che sa fare la differenza, che segna come una pietra miliare la loro discografia. Uno stimolo per il futuro: non si accetterà un sesto album ammuffito.