Punisher Phoebe Bridgers 18 giugno 2020
9.0

La cantautrice californiana Phoebe Bridgers si è imposta sulle scene nel 2017, con la pubblicazione di Stranger in the Alps e nel corso dei tre anni che ci separano dal suo debutto discografico, non è stata certo con le mani in mano. Innanzitutto ha partecipato a dei side project che hanno dato vita a due dei dischi migliori usciti rispettivamente nel 2018 e nel 2019. Stiamo parlando di Boygenius, il cosiddetto supergruppo formato con Lucy Dacus e Julien Baker, due delle più promettenti e apprezzate cantautrici del panorama alternative e indie folk e Better Oblivion Community Center, band in cui è confluito il sodalizio artistico con Conor Oberst dei Bright Eyes, considerato una vera e propria leggenda del folk contemporaneo e con cui aveva già duettato in Would You Rather.

The Better Oblivion record was such a learning experience for me, and I ended up getting so comfortable halfway through writing and recording it. By the time we finished a whole fucking record, I felt like I could show him a terrible idea and not be embarrassed — I knew that he would just help me. Same with Boygenius: It’s like you’re so nervous going in to collaborating with new people and then by the time you’re done, you’re like, “Damn, it’d be easy to do that again.”

E anche nell'ultimo anno è stata tutt'altro che tranquilla e ha prestato la propria voce a ben tre collaborazioni di tutto rispetto. A fine 2019 ha duettato con Matt Berninger, frontman dei National nel singolo Walking on a String, mentre i primi mesi del 2020 l'hanno vista partecipe in Jesus Christ 2005 God Bless America tratta da Notes on a Conditional Form, quarto album dei 1975,  Roses/Lotus/Violet/Iris, terzo singolo estratto da Petals for Amor, il debutto di Hayley Williams (già voce dei Paramore), insieme alle Boygenius. Tutti progetti che hanno ricevuto il plauso quasi unanime della critica.

Il suo secondo lavoro da solista, Punisher, è stato scritto tra l’estate del 2018 e l’inverno del 2019, registrato presso gli studi Sound City di Los Angeles e prodotto dalla stessa artista con Tony Berg e Ethan Gruska che hanno lavorato anche alla produzione del precedente album. Il disco sarebbe dovuto originariamente essere rilasciato per Dead Oceans il 19 giugno, ma l'artista ha scelto di pubblicarlo a sorpresa con un giorno di anticipo, invitando il suo pubblico a fare una donazione prima di procedere all'ascolto.

Qui il sound essenziale che caratterizzava Stranger In The Alps, composto prevalentemente da voce e chitarra, viene non solo arricchito dall'aggiunta di batteria, tastiere, archi e fiati, ma anche impreziosito dalle numerose e notevoli collaborazioni che sono disseminate lungo le undici tracce che lo compongono. Non si tratta tanto di una forte sperimentazione o di un cambiamento radicale, quanto più di un'espansione sonora che da vita a un album coerente e armonioso ma, al contempo, ricco di momenti di splendide dissonanze, che prende tutti i punti più forti di dell'artista, li amplifica e li migliora.

Il disco si apre nulle cupe note dell'intro strumentale DVD Menu, che confluisce direttamente nel primo singolo estratto, la delicata e nostalgica Garden Song, ispirata dai ricorrenti incubi che hanno popolato le notti dell'artista mentre si trovava in tour. Il brano, che come suggerito dalla stessa Phoebe, riguarda in particolar modo sogni e la vera faccia di LA, raggiunge il suo climax lirico ed emotivo nel ritornello finale, in cui si susseguono una serie di immagini ironiche e allo stesso tempo malinconiche, che evocano e mescolano passato e presente, sogno e realtà.

I don't know how, but I'm taller
It must be something in the water
Everything's growing in our garden
You don't have to know that it's haunted
The doctor put her hands over my liver
She told me my resentment's getting smaller
No, I'm not afraid of hard work
I get everything I want
I have everything I wanted

Il video ufficiale è stato diretto dal fratello della cantautrice, Jackson Bridgers, e girato nella sua camera da letto. Al centro della scena vede l'artista che, dopo aver fumato un bong, viene circondata da una serie di giganteschi mostri colorati.

I don’t smoke weed because I’m already afraid of everything but I told my brother to get me stoned in his bedroom and scare me for this video. Everyone let me do this for some reason. 

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Kyoto, secondo singolo estratto, è stato scritto dopo il primo viaggio di Phoebe in Giappone e vede la partecipazione ai corni di Nathaniel Walcott dei Bright Eyes. Nonostante il sound veloce e frenetico richiami una gioiosa fanfara e sembri perfetto da cantare mentre si sta guidando con i finestrini abbassati, il testo è audace, schietto e pregno di sottile ironia e velato risentimento. Affronta sia la sindrome dell'impostore, sperimentata mentre si trovava in un posto che ha sempre desiderato visitare per suonare la propria musica e provando la sensazione di star vivendo la vita di qualcun altro, sia  la complessa e problematica relazione che ha con il padre.

Day off in Kyoto
Got bored at the temple
Looked around at the 7-Eleven
The band took the speed train
Went to the arcade
I wanted to go, but I didn't

You called me from a payphone
They still got payphones
It costs a dollar a minute
To tell me you're getting sober
And you wrote me a letter
But I don't have to read it

Il video del brano inizialmente sarebbe dovuto essere girato proprio in Giappone, ma a causa della pandemia in corso è stato impossibile. Si è quindi scelto di registrare in green screen a Los Angeles una serie di clip che vedono Phoebe che sorvolare la città e l'oceano indossando una tuta da scheletro e sparando raggi laser dagli occhi mentre lei e i suoi compagni di band appaiono circondati da fiamme e vengono attaccati da un mini Godzilla.

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La titletrack Punisher è una dedica e una lettera aperta a Elliot Smith ed esplora il rapporto fra artista e fan.

It’s kind of about the neighborhood (Silver Lake in Los Angeles), kind of about depression, but mostly about stalking Elliott Smith and being afraid that I’m a punisher.

La stessa Phoebe che, tra l'altro, attualmente vive nello stesso quartiere in cui risiedeva il cantautore americano («I go to the store for nothing and walk right by the house where you lived with Snow White»), ha dichiarato che per lei rappresenta esattamente ciò che per moltissime altre persone sono i Beatles («everyone knows you're the way to my heart»). Il termine punisher descrive quel tipo di fan che, davanti al proprio idolo inizia a parlare a ruota libera, spesso in maniera sconclusionata, mentre l'artista in questione lo sta osservando con lo sguardo perso nel vuoto.

Phoebe ha pensato soprattutto a quando lei stessa si trova davanti dei fan molto dolci e gentili, che spesso hanno le mani che tremano per l'emozione e le parlano per un tempo indefinito, senza rendersi conto di essere in piedi fuori dal tourbus mentre lei vorrebbe solo andare a dormire. Al tempo stesso, però, è consapevole che la sua reazione significa davvero molto per loro what if I told you I feel like I know you? But we never met»e quindi si sforza di rimanere concentrata e di prestar loro attenzione I swear I'm not angry, that's just my face»). E, in particolare, si immagina come lei stessa non sarebbe stata in grado di controllarsi se le fosse capitato di incontrare Elliot Smith.

I can't open my mouth and forget how to talk
'Cause even if I could
Wouldn't know where to start
Wouldn't know when to stop

Chinese Satellite parla, dalla prospettiva di una donna priva di fede, di quei momenti in cui non si sa a cosa aggrapparsi per rimanere a galla e si sente un desiderio irrefrenabile di credere fortemente in qualcosa («I want to believe, instead I look at the sky and I feel nothing»). La malinconica Halloween, cantata in coppia con Conor Oberst, è stata scritta con la collazione di Christian Lee Hutson e racconta tutto ciò che si cerca di fare per tenere in piedi una relazione che ormai sta esalando gli ultimi respiri («always surprised by what I do for love, some things I never expect»). Il cantautore vive a pochi metri da un ospedale pediatrico e il processo di scrittura è stato accompagnato da un costante  e piuttosto deprimente sottofondo di ambulanze.

I hate living by the hospital
The sirens go all night
I used to joke that if they woke you up
Somebody better be dying

Moon Song è probabilmente uno dei brani più intimi e personali di Punisher. Su uno scarno e onirico sottofondo di chitarra acustica e batteria Phoebe racconta di come ci si sente ad amare qualcuno così tanto e preoccuparsi della sua felicità a tal punto da non rendersi conto che si sta solo sprecando tempo ed energie.

So I will wait for the next time you want me
Like a dog with a bird at your door

Il suo naturale seguito è Savior Complex, un'angelica ninna nanna lungo la quale scorrono una serie di istantanee di diversi momenti e sentimenti sperimentati nel corso di una relazione che ti risucchia al punto tale da finire per prosciugarti.

Emotional affair
Overly sincere
Smoking in the car, windows up
Crocodile tears, run the tap 'til it's clear
Drift off on the floor
I drag you to the shore
Sweating through the sheets

Call me when you land
I'll drive around again
One hand on the wheel, one in your mouth
Turn me on and turn me down
Baby, you're a vampire
You want blood and I promised
I'm a bad liar
With a savior complex

I See You è stata scritta insieme al suo batterista Marshall Vore e vede la partecipazione nei cori di presenta anche voci di accompagnamento di Jenny Lee Lindberg delle Warpaint. Si tratta di un mix ardente di affetto, rabbia e nostalgia guidato da chitarra e percussioni. Phoebe e Marshall hanno avuto una relazione durata qualche anno e durante questo periodo hanno fatto musica insieme ogni giorno, diventando estremamente dipendenti l'uno dall'altra. Nonostante ora i due siamo ancora molto legati, la rottura è stata particolarmente dura.

I used to light you up
Now I can't even get you to play the drums
'Cause I don't know what I want
Until I fuck it up

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Graceland Too è, a mio parere, il punto più alto del disco, nonché una delle sue migliori canzoni in assoluto. Accompagnata dalle voci delle sue Boygenius e da un delicato sottofondo di banjo e violino canta di una giovane donna che  cerca di rimettere in piedi la propria vita dopo aver toccato il fondo («no longer a danger to herself or others»). Non è poi così comune trovare canzoni che parlino di amicizia e ancora più raro è che ne parlino in maniera così sincera e cristallina. E' un brano dolorosissimo che riesce a trasmettere un amore immenso e nel momento in cui si scopre che la donna a cui è dedicato è proprio la sua amica e collega Julien Baker, quel «whatever she wants, I would do anything» diventa ancora più speciale.

La perfetta conclusione è affidata ai quasi 6 minuti di I Know the End, che parte come ballad folk e culmina in un’epica e catastrofica costruzione punk orchestrale, in cui confluiscono le voci di Conor Oberst, Julien Baker, Lucy Dacus, Christian Lee Hutson e Tomberlin, mentre Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs sta alla chitarra elettrica e Jenny Lee Lindberg  suona il basso.

This is a bunch of things I had on my to-do list: I wanted to scream; I wanted to have a metal song; I wanted to write about driving up the coast to Northern California, which I’ve done a lot in my life. It’s like a super specific feeling.

Descrive una visione desolata e apocalittica del mondo e, in particolar modo, degli Stati Uniti dell'era Trump visti dal finestrino del tourbus, fatti razzismo, mattatoi, centri commerciali e slot machine.

No, I'm not afraid to disappear
The billboard said "The End Is Near"
I turned around, there was nothing there
Yeah, I guess the end is here

La musica di Phoebe Bridgers è entrata nella mia vita circa due anni quando, un po' in ritardo rispetto ai tempi dell'uscita, ho scoperto quasi per caso il suo debut album. Da quel momento è stata una costante, un porto sicuro a cui fare sempre ritorno. Poche volte mi è capitato di riuscire a specchiarmi in una canzone e vedere riflessa me stessa come mi è successo con lei. Proprio per questo ho ripensato spesso a che voto dare a questo disco, temendo di esprimere un giudizio basato prevalentemente su considerazioni soggettive. Punisher è un vero e proprio viaggio emotivo. Un disco così vivo, vulnerabile e viscerale da essere in grado di spezzarti il cuore, ricomporne i cocci e poi spezzarlo ancora un po' prima che si arrivi alla fine. Inoltre ha un dono raro, ovvero quello di fare malissimo, come un coltello che scava all'interno di una ferita e, contemporaneamente, infondere un senso di pace e tranquillità assoluta. Probabilmente è vero ciò che hanno scritto in molti in questi giorni, ovvero che la sua musica non è nulla di nuovo o rivoluzionario, ma forse dovremmo smetterla di pensare che un album abbia valore solo nel momento in cui suona come qualcosa di mai sentito prima.

A volte è bello anche constatare che si riesce ancora a farsi stupire dalle cose più semplici. Phoebe è un talento unico, riconoscibile tra mille grazie alla voce sottile, asciutta e tagliente e a uno stile compositivo in grado di far sembrare meravigliosa e piena di vita anche la più semplice delle canzoni. Inoltre, nonostante a volte i versi richiamino pensieri e aneddoti così personali che si ha quasi la sensazione di essere spettatori invadenti che si stanno intromettendo nella sua testa, dall'altra parte ci sono emozioni, situazioni e sentimenti così umani che chiunque ascolta riesce a vederci dentro un po' di sé. Ma, sopratutto, riesce a creare brani che senza fare troppo rumore ti prendono per mano, ti permettono di riconoscere la tua fragilità e guardarla in faccia e ti insegnano a farti forza delle tue debolezze.

C'è così tanta bellezza in questo disco, mi auguro che tutti prima o poi riescano a riconoscerla.