Quando si parla dei Mogwai è importante tenere a mente una cosa importantissima: non si sta parlando di una band qualsiasi, ma di un gruppo pilastro della musica degli ultimi trenta anni. È proprio questo il numero degli anni passati da quando il frontman Stuart Braithwaite e Dominic Aitchison decisero di formare i Mogwai assieme ad un loro vecchio compagno di scuola, il batterista Martin Bulloch.

In quel periodo la scena musicale di Glasgow era decisamente in fermento: i Simple Minds erano un punto di riferimento per tutti coloro che ruotavano attorno al mondo della musica e di lì a poco si sarebbero formati i Belle & Sebastian e i Franz Ferdinand. Come un fulmine a ciel sereno i Mogwai, con la loro musica densa di chitarre distorte e ricche di effetti, fecero improvvisamente sbandare la scena scozzese, anche grazie al marchio di fabbrica: i testi ridotti all'osso o spesso assenti nei loro brani. In un mondo abituato ai grandi sing along e nel pieno del periodo britpop della vicina Inghilterra, il loro post-rock suonava diametralmente opposto.
Con il passare degli anni gli album in studio sono diventati undici, contornati da numerosi EP e anche nove colonne sonore. L'ultimo capitolo di questo lungo viaggio è The Bad Fire pubblicato il 24 gennaio per Rock Action Records, etichetta discografica indipendente creata dalla band stessa nel 1995. Il titolo è un termine usato speso della working-class di Glasgow per riferirsi all'inferno.

Il disco si apre con God Gets you Back e con il suo synth solenne che gira su se stesso in un loop quasi ipnotico, mentre accompagna le sonorità robotiche a cui i Mogwai ci hanno abituato durante la loro carriera. È l'unico dei tre brani con una parte cantata, che in questo caso è ristretta ai minimi termini e ripetuta all'ossessione:
"Count The Roads
Dallas Eyes
Don't Breathe Rare Air"
Questa apertura è strettamente legata alla successiva Hi Chaos. Dio, l'inferno e il caos sono temi che ci accompagneranno per tutto l'ascolto, in qualche modo rappresentano il mood in cui questo album è stato registrato. Post lockdown la band si è ritrovata in una spinta di positività notevole, il loro lavoro precedente As The Love Continues era nato in un periodo buio per tutto il pianeta per poi finire in prima posizione nelle classifiche inaspettatamente. Poi quando le porte degli studi di registrazione si stavano per aprire per il nuovo album, Barry Burns (chitarra, synth, voci) scopre la rara malattia che ha colpito la figlia. Le montagne russe dei due anni che seguiranno, tra ospedali, operazioni e tempo da dedicare alla registrazione termineranno la loro corsa con The Bad Fire.

Il terzo singolo pubblicato, Fanzine Made of Flesh, ci ricorda che ancora una volta i titoli delle canzoni dei Mogwai sono volutamente privi di significato. Impediscono che i brani siano gravati da associazioni esterne, permettendo al pubblico di vivere la musica nella sua forma più pura. È un altro esempio della capacità della band di prendere decisioni contro-intuitive che, in qualche modo, migliorano l'esperienza dell'ascolto. Stuart si chiede se c'è veramente un modo per sentirsi vivi magari cancellando il passato, attraversando l'oceano oppure osservando le stelle e sapendo che le luci che vediamo nel cielo siano di astri che si sono spenti da milioni di anni. Il sound spaziale, quasi sci-fi, accompagna il brano che scorre velocemente mentre synth e vocoder ci fanno sentire come se fossimo dentro una navicella che vola verso galassie sconosciute. Il marchio di fabbrica di John Congleton, produttore statunitense di fama mondiale (Explosion In the Sky, Sigur Rós, John Grant), è chiaramente udibile in tutti e tre i singoli.
Per ritrovare un po' di Mogwai old school, quelli che tanto piacciono ai fan più sfegatati, bisogna arrivare a If You Find This World Bad, You Should See Some Of The Others. Brano che segue alla lettera il pattern delle canzoni più famose della band, partendo lentamente e mettendo il focus sulle chitarre. I primi minuti sono accompagnati da un'aura pesante, cadenzata e molto malinconica, forse uno dei rari casi in cui il titolo si accosta al brano. Poi, col passare del tempo ci si avvicina al momento catartico in cui il brano esplode con le sue distorsioni e la batteria si mescola perfettamente ai synth in questa escalation che riesce ad emozionare senza l'uso di una singola parola.

The Bad Fire non è comunque un disco esente da pecche, tutt'altro. Gli arrangiamenti non sono dei migliori, in gran parte dei brani si percepisce una certa piattezza che cresce con il numero di ascolti, nonostante ci siano due canzoni che spiccano in maniera netta sul resto. Il "problema" probabilmente nasce dopo il successo avuto con As The Love Continues: fino a quel momento infatti la storia dei Mogwai era quasi perfetta. Era il racconto degli outsider che rimangono fedeli a sé stessi fino a trionfare nell'atto finale. Quando una storia ha un lieto fine del genere, istintivamente verrebbe da pensare che la scelta migliore sarebbe quella di fermarsi senza andare oltre. Eppure, pensare ai Mogwai in questi termini significa commettere un errore. La loro musica non riguarda la costruzione di una carriera, ma l'evasione dalla trappola del tempo, rimanendo sempre ben saldi e schierati alle loro idee, anche politiche. I fan della band scozzese lo sanno benissimo che basta ascoltare la loro musica con sufficiente attenzione e volume per far sì che il passato e il futuro cessino di esistere.
Quindi, tutto sommato, ci sta che un gruppo del genere possa pubblicare un album imperfetto, perché quando si riesce a percorrere trent'anni di carriera con la stessa determinazione riuscendo ad emozionare anche solo per un attimo con la propria arte, la missione del musicista è compiuta.
