Sometimes I Might Be Introvert Little Simz
8.1

Avete presente quando vi svegliate da quello che, almeno da lontano, sembrava essere un sogno piacevole e mentre cercate di riaddormentarvi impegnate ogni singolo neurone del vostro cervello per far sì che il sogno possa avere un continuo? Ecco, è proprio questo il frangente in cui si colloca Sometimes I Might Be Introvert, ovvero l’ultimo lavoro di Little Simz. L’album si sviluppa sulle tracce del precedente GREY Area, nel quale abbiamo visto una Lil’ decisamente al centro della sua personalità artistica. Identità che tutt’ora è immersa all’interno di un’estetica e di un flow che hanno reso la giovane rapper britannica sempre più vicina alle parole suo più grande sostenitore, nonché collega Kendrick Lamar: «She might be the illest doing it right now».

Il legame tra i due lavori si può toccare con mano, soprattutto da un punto di vista concettuale. L’intensa volontà di affermare la propria presenza nel panorama musicale si fonde nuovamente con la sua inconfondibile penna, anche se con dei tratti leggermente diversi per quanto riguarda la scia del sound. Infatti, se nel 2019 abbiamo avuto modo di ascoltare un disco caratterizzato da un ritmo dinamico e senza freni, oggi siamo davanti ad una travolgente impennata di continui sali e scendi. Più o meno, le vibes sono quelle dello psicanalista, o giù di lì. Composta da una mescolanza di vari stili musicali, sembra di essere nel bel mezzo di un vero e proprio flusso di coscienza scaturito dalla stessa Simbi. Le sue parole, con fare rigorosamente introspettivo e a tratti analitico, non possono fare a meno di investire chi le orecchie di chi l’ascolta.

Fattori come il timore di una società sempre più spietata, la lotta femminista – della quale la rapper si è fatta portavoce in numerose occasioni mediante la sua musica –, eventuali pregiudizi nei confronti delle sue origini nigeriane, hanno condotto l’artista all’interno di una spirale costituita da dubbi ed incertezze. Ed è in questo ultimo lavoro, prodotto ancora una volta dal suo fedele amico Inflo, che il tutto si ritrova ad esplodere una volta per tutte.

La miccia viene subito accesa con la fanfara di Introvert, il brano che funge da introduzione all’intero album. Si tratta di un solenne inno alla propria personalità, ormai non più abbandonata a sé stessa, bensì consapevole dei propri punti deboli (“I sabotage what we are trying to build / ‘Cause of feelings I keep inside, but it’s time to reveal”). Trovando finalmente un centro, un equilibrio nella sua introversione, l’elogio non sembra arrestarsi, sfociando nella fierezza di Woman. Accompagnata dalla soave voce di Cleo Sol, vengono incorniciate allusioni e rime dedicate a donne di diverse nazionalità (“Miss Ethiopia can play so jazzy / Then sit you down and school you on Selassie”). Il pezzo si conclude con un monologo dedicato proprio a Simzy, dove una voce dallo stampo noise si lascia andare ad uno sguardo al passato, legandosi pienamente alla precoce, ma brillante, carriera dell’artista (“And all the hard work that you’ve done / To get yourself great things in life”). Altrettanto di interesse è notare come da un momento all’altro, l’album sfuma improvvisamente in sonorità dall’indole più decadente con Two Worlds Apart, del quale si fa protagonista la celebre The Agony and the Ecstasy di Smokey Robinson, riuscendo a creare una chimica impeccabile tra jazz rap e soul.

Blood, tears, how it stains, can't rid it with ease
What we have in common is our pain, we're given the keys
To unlock what it takes to fight for what we believe in

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Vengono aperte così le porte ad uno dei brani più importanti dell’intero disco, I Love You I Hate You, il quale più che narrare il conflittuale rapporto della cantante con il padre, sembra più voler essere una sorta di urlo liberatorio. Una voce che scivola lentamente verso le due parti di Little Q, entrambe dedicate a dei ricordi legati a sua cugina. Preceduta da un interludio quasi interamente in spoken word, la seconda parte del pezzo brilla di uno smooth e un funky entrambi pregni di speranza e nostalgia (“We eat from a tree full of forbidden fruits / We all know we real criminals live in the suit”).

Ma i dettami di un album assolutamente poco propenso all’essere omogeneo non potevano non proseguire con Gems (Interlude). Si tratta di un pezzo impossessato da una royal orchestra che ben presto, grazie al suo fare etereo e dall’impronta meditativa (“Follow the arrow, Simz / Look for the messages / Follow your intuition”) arriva ad essere il picco di una luce alla quale aggrapparsi in vista dell’elettronico beat di Speed o dello strepitoso flow di Standing Ovation. È così che giunge a chiudersi la metà dell’album insieme alla più lenta e assai sdolcinata I See You.

Perché sì, la chiave per comprendere Sometimes I Might Be Introvert è contenuta proprio all’interno dei numerosi interludi, con i quali la rapper decide di giocarsi la carta vincente di fusioni ed esperimenti ben riusciti. I testi risultano essere spesso uniti a dei veri e propri mantra, i quali si accingono a contenere una vasta gamma di sonorità e strumenti diversi nei brani che intercorrono in successione. Così avviene anche in The Rapper Came To Tea (Interlude), facendo emergere il concetto di stimolo alla fantasia che immediatamente viene sbigottita dal cinico dualismo di Rollin Stone, dove anche la evil twin della cantante ha modo di esprimere la sua opinione (“Well, fuck that bitch for now, you dindn’t know she had a twin, yeah / I’ve been in my zone, movin’ lowkey in Berlin, ah”).  Anche se, subito dopo, quest’ultima verrà messa a tacere dalle delicate voci di Protect My Energy.

I don't need your sympathy
Internal guidance, is all that I seek
Don't disturb my inner peace

'Cause I'd rather be alone with my only ones that care for me solely

La corale gospel dell’interludio Never Make Promises lascia spazio alle due tracce musicalmente meglio riuscite del disco: Point and Kill – ultimo singolo dell’album, e che marca la prima collaborazione tra la giovane rapper e Obongjayar – e la successiva Fear No Man. Entrambe sono accompagnate da percussioni e atmosfere afrobeat tanto care a Little Simz, permettendole ancora una volta di superare un’eccellente prova di versatilità.

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Quello stesso eclettismo è riconoscibile anche nella splendida sinfonia di The Garden (Interlude), inaugurando le battute finali dell’album. Incominciando dalla commovente How Did You Get There, che rappresenta l’ennesimo sguardo all’indietro (“Back when it was serious, handin’ mixtapes out in my school”). Nonostante l’enorme quantità di controversie e avversità che solo un percorso come quello dell’artista è in grado di comportare, ella sembra voler celebrare i suoi traguardi (“I’m the version of me I always imagined when I was younger / All the doubt I had thrown at me, all the time I invested /
I sit and read my own lyric books like, ‘Damn, it must’ve been destined’
”). Ma qual è la perfetta conclusione per un simile LP se non Miss Understood un brano la cui forma e i cui versi sono pieni di contraddizioni e pensieri sparsi in merito ad una mente che non sembra smettere di viaggiare. Fino alla voce della coscienza, contenuta nel bridge, la quale risuona costantemente con le medesime parole (“Don’t stop / I can feel your pain / I can see your tears / So misunderstood / You’re Miss Understood”).

Con un LP del genere, Little Simz non solo sceglie – nel migliore dei modi, oltretutto – di far udire la sua voce nel bel mezzo della scena rap e hip hop contemporanea, ma decide di farlo attraversando in pieno il mondo della musica. L’unione del rap con le percussioni dell’afrobeat, del raggae e l’elettronica si uniscono ad un’orchestra cinematica che rendono Sometimes I Might Be Introvert uno degli apici della sua carriera. Notiamo una Simbi che tenta di scavare a fondo nelle pieghe più intime e profonde della sua mente, ammettendo a sé stessa che l’introversione è uno dei suoi punti di forza, non solo da una prospettiva umana, ma anche artistica e professionale. La timidezza di un’artista che si concentra prevalentemente sulla propria identità, ma che allo stesso tempo non lascia spazio ad osservazioni e resoconti in merito a ciò che la circonda. Il passato di un’ordinaria ragazza inglese che si incrocia con un presente non sempre roseo e lineare, e che quando arrivano a scontrarsi, sfornano una bomba dietro l’altra per un’ora e cinque minuti. Ma noi questo lo sapevamo già, perché d’altronde, "don’t you know you’re dealing with a boss?"

Little Simz sarà live a Milano nel gennaio 2022, biglietti disponibili su ticketone.it.

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