La recensione di "Big Swimmer", il nuovo album dei King Hannah
Non sempre chi nasce indie rock muore tale. Hannah Merrick e Craig Whittle, in arte King Hannah, ne sono la dimostrazione lampante. Il duo di Liverpool, di cui potete recuperare l'intervista qui, formatosi tra i banchi universitari e dopo aver condiviso gran parte della propria vita, ha di nuovo stupito il pubblico con la pubblicazione del loro sophomore album Big Swimmer per City Slang.
Erano già apparsi sotto i riflettori musicali di tutta Europa per il loro primo lavoro I'm Not Sorry, I Was Just Being Me del 2022. Questo secondo disco è stato concepito durante il loro lungo tour negli Stati Uniti, un'occasione da once in a lifetime, che ha offerto numerosi spunti nel magico cilindro delle stelle e strisce: songwriting, composizione e stile.

La title track Big Swimmer inizia come una ballad lieve accompagnata da un accenno di chitarra acustica e con la presenza straordinaria di Sharon Van Etten, grande estimatrice dei King Hannah. Il cruccio della band per il paese dello Zio Sam prende il sopravvento con New York, Let's Do Nothing. Brano dalle note decisamente più rockeggianti che si apre durante il ritornello grazie alla chitarra distorta di Craig mentre la storia ci viene quasi raccontata da Hannah e la sua voce sensuale, uno spoken word che ricorda molto Florence Shaw, cantante dei Dry Cleaning.
Le atmosfere diventano più sognanti accompagnati dalle tastiere in The Mattress e Milk Boy (I Love You), le chitarre sempre più fuzzy, la batteria tendente ad una marcia quasi sonnolente che accompagna fino ad esplodere durante i ritornelli con distorsioni dal sapore grunge e shoegaze. Da questi brani salta fuori una delle caratteristiche fondamentali di Big Swimmer: la struttura delle canzoni che lo compongono è minuziosa, a partire dalla durata delle tracce, quasi tutte sopra la media che permettono all'ascoltare di cogliere tutti i dettagli. Delle composizioni a dir poco impeccabili, le chitarre al posto giusto al momento giusto, il tutto amalgamato da una scrittura notevole e trasposta da una voce a dir poco stupenda.
Il "momento soft" dell'album culmina con la ballad Suddenly, Your Hand. Un pezzo struggente, poco più di sette minuti, che sale e cresce costantemente con il passare del tempo con il suo sound pieno, quasi memorabile, per un racconto che lascia l'amaro in bocca.
Si torna sull'asfalto di una qualunque strada americana, i paesaggi scorrono veloci fuori dal finestrino del van che porta Hannah e Craig verso la loro prossima data, mentre veniamo accompagnati dalle note di Somewhere Near El Paso. Un vero e proprio racconto di loro stessi che vivono i classici scenari a cui ci hanno abituato le serie tv americane: pompe di benzina, distributori di bibite, motel luridi e qualche spiccio in tasca. I generi si mischiano: dal country al folk, dal rock allo stoner, si sale e si scende, come le più classiche delle montagne russe. Le poche parole del testo, con il verso "that was a bad decision" ripetuto più volte, lasciano subito spazio alla musica con un outro importante dalle tinte decisamente aride e desertiche: il rimpianto di aver preso una decisione sbagliata è costante.

Da brani come questi ci si rende conto del gran lavoro della band in questo album, la capacità di riuscire a scrollarsi di dosso l'importanza e la risonanza che ha avuto il loro disco d'esordio, cimentandosi in qualcosa di nuovo, ma senza perdere le proprie radici, accompagnati dalle mani esperte di Ali Chant, noto produttore di artisti del calibro di PJ Harvey, Perfume Genius, Youth Lagoon e Soccer Mommy.
Basta un attimo per tornare nella comfort zone, nell'indie rock che li ha portati alla ribalta. Particolare la scelta di comporre una canzone, Lily Pad, che ci serve come manuale per spiegarci la copertina del disco, una fotografia davvero ben riuscita che vede la cantante nel mare. Hannah racconta che sta semplicemente galleggiando come nella cover di Spiderland, capolavoro musicale degli anni 90 degli Slint, nella quale le teste dei quattro membri della band emergono da una lago di una cava ad Utica Township in Indiana. Questo citazionismo musicale risalta ancora di più nel riff di chiusura del brano, che richiama alla mente le tonalità del ritornello di Breadcrumb Trail sempre degli Slint.
Possiamo considerare questa parte di Big Swimmer come il parco giochi del duo, la partita di ritorno quando giochi in casa, un terreno già esplorato e conquistato dai King Hannah. Ce lo confermano con Davey Says, nel quale sentiamo anche la voce di Craig, e l'interludio Scully prima di arrivare alle battute finali.
Il duo diventa per la seconda volta un trio, accompagnati dalla magnifica Sharon Van Etten, le sonorità country della chitarra di This Wasn't Intentional fanno da sfondo all'intreccio di queste due meravigliose voci perfettamente amalgamate tra loro. C'è molto dei Mazzy Star e dei Black Box Recorder, le chitarre sempre un filo sporche, l'atmosfera ipnotizzante e con un'estetica assolutamente all'altezza.
La conclusiva John Prine on the Radio segue lo stile del brano che lo ha preceduto e ci porta verso la chiusura di questo lungo viaggio. Macinare chilometri in un van dall'altra parte del mondo mentre sei in tour con la tua band ti permette di concentrarti su tutti i dettagli che riesci a cogliere fuori dal finestrino. Magari banalmente ti fa rendere conto che ascoltare alla radio John Prine, musicista country americano, ti fa stare bene. Queste sono le piccole cose che hanno reso grande Big Swimmer, un racconto di tutto ciò che succedeva tra una data della tournée e l'altra. Un album semplice, ma al tempo stesso molto sincero che è stato accompagnato da una sperimentazione musicale e dalla paura di non riuscire a convincere una volta per tutte, i loro (scandalosamente) non molti fan in terra inglese. La maturazione definitiva dei King Hannah è avvenuta e l'asticella è stata alzata ulteriormente.
