Send A Prayer My Way Julien Baker & TORRES
8.5

Parola d’ordine: identità. Che da un po’ di tempo tutti vogliano fare il country l’abbiamo capito, non tutti però hanno le basi, la storia o le capacità per mettere in piedi un’incursione nel genere che risulti più di un maldestro tentativo. Julien Baker – la terza boygenius, per le quali, vi abbiamo raccontato, è tempo di avanzare autonomamente - e TORRES, con il loro joint album non rientrano decisamente in questa categoria.

Julien Baker & TORRES
Julien Baker and TORRES | Credits: Ebru Yildiz

Lontane anni luce dal mondo patinato del mainstream, degli Awards e pure dalle sale concerto, TORRES e Baker, ci trasportano in una jam session tra amiche nel mezzo del far west, dove c’è spazio per confidarsi, divertirsi e sperimentare. La biografia di entrambe, realmente radicata nel profondo sud degli Stati Uniti, rende loro facile consegnarci questa sorta di corrispettivo musicale di una di quelle coperte fatte dalla nonna con gli scampoli di tessuto, dove il valore non sta tanto nel materiale ma nell’irripetibilità del manufatto. Che alla fine è ciò che dovrebbe essere il country fatto bene.

L’input creativo e vocale preponderante è quello di TORRES, Mackenzie Ruth Scott, veterana del genere e delle sue divagazioni, nonché detentrice del timbro più marcato, ma la vera chicca dell’album sono gli interventi di Julien Baker, che impreziosisce e alleggerisce la collega con la sua voce sottile. Send A Prayer My Way non scimmiotta mai, anzi, rivitalizza il country contemporaneo, dopo essere stato in lavorazione per ben 5 anni. Da un lato ne esalta la tradizione scegliendo di lasciare uno spazio importante agli strumenti tipici, come il banjo (Downhill Both Ways) o l’ukulele (Goodbye Baby), dall’altro innova e sperimenta aggiungendo alla miscela inserti rock (Tape Runs Out), pop (Desert Flower) e grunge (Tuesday, Sylvia).

Julien Baker & TORRES
Julien Baker and TORRES | Credits: Ebru Yildiz

Oltre alla coerenza del tema musicale troviamo ovviamente quella del tema narrativo, che in questo genere non può che consistere di storie di vita vissuta, monologhi, dialoghi e invettive urlate al cielo o a folkloristici personaggi del passato. Dal titolo, tratto dal bridge di Bottom Of The Bottle (If you hear this song someday / Please send a prayer my way), che ci invita a sprecare una preghiera per chi ci confiderà la sua storia, capiamo che c’è una necessità di redenzione. È un album intriso di senso di colpa, quello cattolico e moralista del profondo sud, ma è scritto dalla prospettiva di chi ha imparato a volersi bene: da qui la necessità di dichiarare ad alta voce vizi e vergogne del passato per ottenere una qualche forma di assoluzione.

In Tuesday la voce profonda di TORRES ripercorre la storia d’amore proibita tra due adolescenti queer, che tradiscono la fiducia reciproca di fronte ai sospetti dei genitori ("Asked me to write her mother and say, sorry for the confusion / That of course there had been no sin / To emphasize how much I love Jesus and men"), il brano si conclude però con una irriverente presa di coscienza: “And one more thing, if you ever hear this song / Tell your mama she can go suck an egg”. Bottom Of The Bottle, invece, ci parla della dipendenza da alcol come ultima spiaggia, capro espiatorio per sfuggire alla proprie insoddisfazioni e del ruolo positivo delle amicizie nel risalire dal fondo.

Julien Baker & TORRES
Julien Baker and TORRES | Credits: Ebru Yildiz

Non solo dannazione però, in Send A Prayer My Way c’è spazio per momenti di distensione e scanzonatezza, per non dire di vero e proprio coraggio nel superare i limiti che ci si è autoimposti come avviene in The Only Marble I’ve Got Left, ballad con il tipico ritmo rimbalzante da saloon dove si promette alla persona amata che non la si farà mai morire di noia. Allo stesso modo Sugar In The Tank, il primo di una serie di brani dove si coglie senza dubbio una certa reverenza per il repertorio dei Fleetwood Mac, è una dedica d’amore leggera, priva di pesi morti.

The way I see it, there are no safe bets
And any street you end up crossing
Well, you better trust your legs

- The Only Marble I’ve Got Left

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Unicum nel disco è Tape Runs Out, sia per l’inclinazione decisamente più rockettara e dark, data da una serie di tormentati assoli di chitarra uniti al suono di sirene, sia per la brillante e netta divisione degli alti e dei bassi tra Julien e TORRES. Se quest'ultima si ispira a Stevie Nicks, la boygenius fa da brezza rinfrescante e si lascia paragonare a una moderna Joan Baez.

Giunti alla seconda parte dell’album la leggerezza di Julien è destinata ad assumere un ruolo più rilevante, facendo da regina in brani dove il sound ha un’aspirazione più celestiale, tra cui la telegrafica Showdown e Downhill Both Ways, in cui TORRES da buona amica e compagna d’arte si fa elegantemente da parte.

E se di un percorso di redenzione stiamo parlando è abbastanza significativo che il pezzo di chiusura ci racconti niente di meno che un idillio di vita familiare tra due donne che hanno trovato il modo di stare assieme senza doversi rincorrere a vicenda o temere il pensiero altrui. Goodbye Baby, che inizia con un simpatico scambio a voce su quale sia la differenza tra “Jelly and Jam”, non è nient’altro che un doppio saluto: uno alla persona che esce al mattino e sappiamo tornerà la sera e uno chi ci ha fatto soffrire e di cui non ci dobbiamo più preoccupare.

For the first time in years
Through the night, I could sleep
Just remembering that she's coming home to me

- Goodbye Baby

Julien Baker & TORRES
Julien Baker and TORRES | Credits: Ebru Yildiz

A metà tra l'universo cinematografico di Thelma e Louise e un ritiro rigenerante tra i cactus del deserto Send A Prayer My Way è un pezzo unico nel panorama del momento, che non compiace e non va incontro a nessuno, attendendo senza fretta, e con un po’ di sana strafottenza, di essere cercato da chi vorrà cercarlo.