Pubblicare un album a distanza di poco più di un anno dal precedente è un rischio, soprattutto quando l’ultimo disco ha riscosso un successo tale da portarti in vetta alle classifiche UK, ancora di più se la tua musica è affine al punk, genere di per sé soggetto spesso alla ripetizione. Se poi si considera anche la decisa presa di posizione a livello sociale e politico, ecco che per gli IDLES il quarto album poteva rivelarsi un possibile passo falso. In molti erano già pronti a storcere il naso difronte ad una collezione di b-side recuperati e spacciati per nuovi. Per fortuna CRAWLER è tutt’altro.
Scritto e registrato nel pieno della quarantena, nel periodo durante il quale avrebbe dovuto svolgersi il tour di Ultra Mono, questo album è una confessione intimistica e complessa. Una scelta che era stata già compiuta in passato in alcuni pezzi, tuttavia, senza mai portare ad un’apertura completa. Un anno travagliato e senza live, loro punto di forza, nel quale gli IDLES ottengono comunque il loro maggior successo a livello commerciale e critico, ha convinto Joe Talbot e soci a tracciare una linea e a mostrare il loro lato più umano e fragile.
«It was February / I was cold, and I was high», il suono di una voce vissuta fa capolino sopra un tappeto elettronico di synth appena si preme play. È Joe che, con tono sofferto e melodico, racconta di quella volta che era fatto e ha rischiato di morire in un incidente stradale. Questo episodio, che lo ha costretto a rivalutare la transitorietà della vita, è il nodo centrale da cui prendono spunto quelli che sono i temi del disco: la dipendenza, la sofferenza e la guarigione. MTT 420 RR è una traccia atipica, senza batteria, un’intro che già dopo un minuto getta l’ascoltatore in un’atmosfera opaca e oscura.
Il riferimento autobiografico a quel febbraio rivelatore ritorna più volte e traccia dopo traccia si fa correlativo oggettivo della condizione disperata. Il frontman si definisce un Car Crash nella canzone omonima e con la voce distorta allunga le punte dei piedi nel territorio del rap. Il secondo singolo estratto da CRAWLER è sicuramente tra i più convincenti e potenti, oltre che uno dei più sperimentali: prosegue infatti la direzione intrapresa negli ultimi tempi, fatta di elettronica e commistione di generi, come nel caso del featuring con Slowthai in Model Village. Il basso pulsante e le chitarre distorte che compaiono a secondi alterni creano un beat perfetto per i versi colmi di rabbia e disperazione, quest'ultimo valorizzato dal ponte melodico che precede la sezione conclusiva decisamente più noisy. Con le dovute distinzioni, non credo sia azzardato definire Car Crash come la 7 Miliardi degli IDLES.
«Sons of suicide seldom do well. [...] they suspect that they, too, will probably kill themselves». (Kurt Vonnegut, God Bless You, Mr Rosewater, Penguin Random House 1992)
Nel 1965 Kurt Vonnegut, trasponendo nella fiction, a livello dei personaggi, la sua esperienza personale, faceva trasparire la cupa sensazione che un legame indissolubile lo unisse a sua madre morta suicida quando era un ragazzo. Il suicidio come un fardello opprimente che passa da genitore a figlio. Lo scrittore americano, sopravvivendo e lottando con le uniche armi a disposizione, la scrittura e l’ironia, ha interrotto quello che credeva un circolo intergenerazionale, quella stessa ruota a cui fa riferimento Joe Talbot. Il frontman da adolescente, prendendosi cura di sua madre, alcolista da tempo, ha iniziato anche lui ad abusare d'alcol. In The Wheel, uno dei pezzi più punk e distorti del disco, egli insinua il terribile sospetto che la dipendenza sia in qualche modo ereditaria, una ruota che gira, un ciclo che prosegue di generazione in generazione e che fortunatamente è riuscito pure lui a spezzare. Eloquente il quadro descritto nella prima strofa dove Joe prega sua madre di smetterla tenendo al contempo lui stesso una bottiglia in mano:
I got on my knees
And I begged my mother
With a bottle in one hand
It's one or the other
And so it turns
Again and again
La richiesta di aiuto viene espressa in uno dei ritornelli più potenti, un’hallelujah gridato in ginocchio. Sempre nella stessa posizione, in ginocchio, ma non per pregare, si trova Joe nel pezzo più innovativo dell’album, nonché primo singolo estratto. The Beachland Ballroom è un brano jazz rock in stile anni Sessanta in cui spiccano le sue doti canore, mai come in questo caso lustrate e dimostrate, e dove per buona parte del tempo Bowen è alla tastiera a suonare accordi. Questa settima traccia è l’indice della volontà degli IDLES di non ripetersi e di trovare nuove vie, e qui ci riescono alla grande.
CRAWLER è un album che fa dei testi uno dei suoi punti più interessanti, liricamente è un diario personale di Joe Talbot in cui vengono annotati tutti gli incubi e le sofferenze patite. Fa strano sottolinearlo, in quanto l’accusa che solitamente viene rivolta alla band di Bristol è di incedere troppo negli slogan e nei cliché. Qualità o difetto del quale gli stessi IDLES si sono presi gioco l’anno scorso in Mr Motivator: «How d'you like them cliches?».
Accanto al racconto personale ed introspettivo troviamo uno storytelling accattivante ed efficace. Stockholme Syndrome è forse la traccia che ne beneficia maggiormente, musicalmente simile a quanto già realizzato in passato, evita grazie al racconto e alla descrizione dei personaggi il rischio di risultare una cover di altri pezzi passati. Discorso diverso per quanto riguarda When the Lights Come On, uno dei brani migliori del disco. La storia raccontata è semiautobiografica e narra di una serata alcolica passata a ballare fino alle tre del mattino, il tutto su un groove in stile post-punk anni ‘80 che fa volare i tre minuti trasporta l'ascoltatore dritto a Manchester.
Se di groove e dance si parla, è doveroso notare anche The New Sensation. Qui la differenza la fanno la batteria e il ritmo quasi tribale che è mantenuto dall’inizio alla fine, in più il basso ha ancora una volta un ruolo da protagonista. Da Reigns in poi la distorsione è una piacevole costante per Adam Devonshire. Il brano più danzereccio è anche uno dei pochi politici: nel ritornello c’è infatti un riferimento polemico alla campagna pubblicitaria che il governo inglese fece durante il picco pandemico, quando tutti i settori dello spettacolo erano fermi, e che consigliava di reinventarsi in nuovi lavori.
Prendendo in considerazione la prima metà del disco, ovvero le prime sette tracce, si potrebbe parlare di album dell’anno. Lo scetticismo purtroppo inizia a fare capolino nella seconda parte.
Crawl! è una canzone che la band ha inseguito per anni e che finalmente ha trovato un arrangiamento e una posizione nella loro discografia. Musicalmente non aggiunge nulla di nuovo, avrebbe fatto una bellissima figura in Brutalism, a livello lirico rappresenta comunque un momento importante perché delinea maggiormente il concept dell’album: il continuo strisciare fuori dal dolore e dalle dipendenze. Interessante il parallelismo col significato del titolo del disco che invece rimanda all’incedere costante del cingolato. Meds riprende la tendenza sperimentale tra synth e distorsioni di Ultra Mono e risulta piacevole, il classico pezzo alla IDLES con l'aggiunta del sassofono di Colin Webster (Sex Swing). Se entrambe le sopracitate canzoni hanno un senso all’interno della tracklist, lo stesso non si può dire degli intramezzi strumentali, soprattutto Wizz che anziché spiccare per la violenza, dà l’impressione di una rabbia fuori luogo. King Snake è un altro di quei pezzi di cui si poteva fare a meno: perfetto per Joy as an Act of Resistance, in questo contesto introspettivo perde vigore nonostante si prospetta eccitante ascoltarlo dal vivo.
Con CRAWLER gli IDLES si sono spinti oltre il loro seminato, sono usciti dalla loro comfort zone sia dal punto di vista del suono che dei testi. Sebbene a tratti, come visto, sembrino voler fare un passo indietro, o forse compiacere gli amanti dei loro pezzi più classici, anche nella seconda metà ci sono due momenti notevoli. Il primo è Progress, un brano etereo e insieme intenso e molto emotivo, una serie di aggettivi che mai mi sarei sognato di utilizzare per descrivere una canzone degli IDLES. Introdotto dagli arpeggi di chitarra acustica, il pezzo evolve seguendo vari sentieri dell’elettronica. La voce di Joe, ancora una volta modificata, viene sovrastata col passare dei secondi dal suono disturbante del basso e da un riff pungente di elettrica, mentre dà voce al desiderio di riacquistare stabilità e segna la definitiva presa di coscienza del ciclo autodistruttivo intrapreso.
The End è la conclusione ideale, così come MTT 420 RR costituisce l’intro perfetta. Tornano i suoni rumorosi dei lavori precedenti, ma questa volta sono perfettamente integrati con le parole del testo e convogliano in un ritornello melodico dove il grido liberatorio ed euforico utilizzato durante la campagna promozionale riempie l’anima.
In spite of it all
Life is beautiful
CRAWLER segna un nuovo corso che prende quanto di buono fatto e sperimentato in passato e lo porta ad un livello successivo. Un “quasi” concept introspettivo che recupera la violenza sofferta di Brutalism e la trasforma, attraverso una confessione cupa, in redenzione. Gli IDLES hanno realizzato un album complicato, che ad ogni ascolto mostra una sfumatura diversa, e ce ne sono molte. Si va dal post-punk al punk elettronico, transitando per il jazz e il dance-punk: in questo senso molto del merito va a Mark Bowen, ancora in veste di produttore oltre che di chitarrista, affiancato qui da Kenny Beats (Slowthai, Denzel Curry, Bastille).
Il giudizio finale non può che essere positivo, sebbene l’album avrebbe sicuramente guadagnato a livello di coesione e coerenza con un più accorto lavoro di sottrazione. Nella seconda metà del disco, per qualche minuto, è come se il gruppo ripensi i suoi passi e ceda alla tentazione di tornare dove crede di trovarsi a più agio. La realtà è che, anche in queste vesti introspettive, la band di Bristol conserva il proprio carisma. CRAWLER, pur con i suoi piccoli difetti, è un rischio necessario e ben calcolato. Gli IDLES ci insegnano ad affrontare le sofferenze ed i cambiamenti della vita con la forza e la determinazione di un cingolato, d’altronde mettersi a nudo è difficile ma il più delle volte vale il prezzo da pagare.
Gli IDLES saranno live in Italia nel 2022:
3 Marzo 2022 - Fabrique - Milano
18 agosto 2022 - Parklife Festival - Padova