post mortem i cani
9.0

Nella parte del mondo in cui sono nato, oggi (ormai ieri, per quando starete leggendo queste righe) stiamo tutti ascoltando post mortem, il nuovo album de i cani. Chi scrive non avrebbe mai immaginato di poterlo constatare così presto - in fondo è passato così tanto tempo da Aurora che eravamo rassegnati a chissà quanti altri anni di attesa - o così tardi, perché nove anni in realtà sono veramente lunghi, figuriamoci per mamma industria musicale, figuriamoci per l’unico gregge di fedeli che i cani li deve inseguire.

Niccolò Contessa ha abituato il proprio pubblico a non abituarsi, trasformando la sorpresa in ordinario e l’attesa in costanza. post mortem è sorprendente per i modi in cui è uscito, più che per la musica in sé: quelli che sono da sempre stati i punti fermi del progetto i cani hanno subito un continuo processo di “sfocamento”, fino a perderli di vista e ritrovarli altrove, e questo album non è un’eccezione. Per fortuna. 

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i cani (Niccolò Contessa) | Foto press

post mortem estremizza le varie diramazioni dell’anima artistica di Contessa, aggiornandole a oggi sia come scenario socio-politico sia come "io anagrafico", che ammettiamo pure non sia per forza lo stesso “io” dei tredici pezzi del disco, ma che sicuramente quei brani li ha scritti da un punto di vista imprescindibile dall’età. E quindi si alternano cupe atmosfere sferzate da ventate di deriva industrial e canzoncine indie-garage, trip-hop e chitarre classiche, o giusto fatte passare per una scheda audio. È lo stesso discorso dei tre album precedenti, solo che qui lo troviamo condensato e più netto di prima, consegnandoci un album claustrofobico e chiuso, eppure capace di far respirare aria fresca semplicemente cambiando discorso per un attimo, prima di tornare al punto di partenza, o deviare una volta ancora. È anche per questo che suona molto vero e relatable.

L'incipit dell'album, io, in mezza giornata ha già fatto discutere l’internet: resa dei conti contro le alte sfere dell’industria o gesucristizzazione dell’artista? Probabilmente nessuna delle due, dato che “io” è l’unico soggetto esplicito del pezzo, inizio e fine di ogni male elencato nel pezzo. Un’introduzione all’album che, qui sì, sorprende per l’utilizzo della chitarra elettrica, sommessamente pizzicata e strumento cardine del disco intero. Contessa in questo brano a malapena alza la voce, e raramente lo farà nel corso dell'album: c’è però un falsetto tanto delicato quanto precario, da trattenere il fiato mentre lo si ascolta ripetere semplicemente “io” per non rischiare di farlo cadere.

Precauzioni presto rimosse nella successiva buco nero, che mantiene la gloriosa tradizione de i cani del “secondo pezzo che trasuda groove”: avevamo Hipsteria ne Il sorprendente album d'esordio de I Cani, Vera Nabokov in Glamour e Non finirà in Aurora, pezzi in cui i giri di basso si raccontano da soli e pogare o ballare fa poca differenza. Ecco, qui siamo nello stesso campionato, giro indimenticabile su beat dritto e suggestioni trip-hop, elenco di personaggi che potremmo essere, anzi siamo, tutti noi, ognuno con i propri malesseri e il baratro del vuoto più totale che rischia di aprirsi e devastare irrimediabilmente chiunque si soffermi a pensarci (o non pensare del tutto) per più di cinque secondi. È o non è una classic Contessa move?

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Metterci dietro colpo di tosse è ancora più contessiano, perché se c’è una cosa che i cani sanno fare è imbroccare la melodia perfetta, semplice e giocosa, uno scherzo in stile Mac DeMarco, riempirla di poesia dell’ordinario e forse spiegarci perché i nove anni di assenza o forse ci sta solo prendendo per il culo. Ai posteri l’ardua sentenza.

Anche il Contessa citazionista è di casa in post mortem, come non potrebbe? Thomas Mann e la sua La montagna incantata in davos, Kafka e di nuovo Mann in felice, sono i due esempi più eclatanti di un disco che sicuramente racchiude altre citazioni ancora da decifrare o confermare.

E chi può dimenticare il caro Niccolò esistenzialista? Ammesso che esistano pezzi che esulino da tale categoria, post mortem contiene fra i brani più duri e dolorosi dell’intera discografia de i cani. La già menzionata felice che, come in io, veicola il picco emotivo con la delicatezza e la precarietà del falsetto; la distruttiva carbone (qualcuno faccia un'edit con le scene di Marriage Story, grazie) con la sua disarmante facilità e rassegnazione nel parlare di indifferenza dove un tempo c’era amore. 

i cani - post mortem recensione
La copertina di "post mortem" il nuovo album de i cani

f.c.f.t. e nella parte del mondo in cui sono nato invece contribuiscono con la “quota Tutti Fenomeni” del disco, influenza auspicabile data la collaborazione tra Guarascio e Contessa per Merce funebre e Privilegio raro, i due dischi firmati Tutti Fenomeni prodotti proprio da Contessa. La suddetta “quota” è esemplificata dai versi, o meglio slogan, tipici dello stile di Tutti Fenomeni, che spesso trasformano termini ed espressioni nazionalpopolari o di uso comune in materia quasi poetica, ricontestualizzandoli o semplicemente assumendo nuovi significati anche solo grazie alla voce di chi li usa: “Vivere è fascista, nascere è reato / Vivere è capitalista, nascere è peccato o “Degli artisti ci interessa essenzialmente / Che cos'hanno mangiato / Dove vanno in vacanza” sono frasi di per sé colloquiali e vagamente provocatorie che potrebbero tranquillamente essere state pensate da Guarascio.

Senza nulla togliere ai brani non specificatamente menzionati uno per uno (tanto se state leggendo queste righe, direi che c’è un buon 90% di possibilità che abbiate già ascoltato se non interiorizzato il disco intero), uso le ultime righe per parlare di un’altra onda, chiusura di post mortem. Una chitarra acustica, un basso tondo e percussivo, sintetizzatori: evidentemente è questa la composizione dell’acqua, perché sennò è difficile spiegare la precisione e la puntualità con cui Contessa descrive l’attimo di terrore che si prova quando si pensa di stare annegando, colpiti da un’onda che ci urta e ci rovescia, portandoci a fondo.

Ma cosa succede dopo il panico, cosa scatta dopo la paura? “Tra un po' toccherai / Con i piedi la sabbia / E ti rialzerai / E vorrai un'altra onda”, standing ovation e novanta minuti di applausi per quattro versi che sembrano contenere la Verità con la V maiuscola, il sunto ultimo dell’afflato vitale umano in contrapposizione con il concetto di morte e dolore, guardati con occhi affascinati, ma solo dopo aver assaggiato il sapore ingannevole della vittoria della vita sulla morte.

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Cosa rimane da dire su post mortem? Poco. Ne è valsa la pena, di aspettare: Contessa è riuscito a scrivere un album figlio del tempo più che dei tempi, confezionando un suono che arricchisce lo storico de i cani ma rimane coerente al percorso musicale e lirico iniziato con Il sorprendente album d’esordio de I Cani, senza farsi influenzare da tendenze e interferenze esterne. Farlo per nove anni ha un che di stoico in questo senso.

Mi piacerebbe finire con la grande frase a effetto per chiudere la recensione di un disco così bello, ma ora come ora non mi riesce. Magari prendo in prestito le parole di Contessa, se vi dico che domani (oggi, ora per voi) sarò contento, “perché mi hanno pubblicato l’articolo”. E ora schiaccio di nuovo play.