Chaos for the Fly Grian Chatten
8.4

Il sole splendeva, non avendo altra alternativa, sul niente di nuovo.

Murphy, protagonista del romanzo omonimo (1938) di Samuel Beckett, è alla ricerca di un modo per sfuggire alla propria esistenza. Conduce un personale dibattito tra corpo e mente, si lega nudo a una sedia a dondolo fino a raggiungere la deprivazione sensoriale oppure insegue la pazzia dei pazienti dell’ospedale psichiatrico dove lavora. Sono metodi alternativi per combattere la paralisi esistenziale alla quale sono perennemente condannati gli irlandesi: il concetto del viaggio come illusione di movimento di James Joyce viene ribaltato dall’ironia del suo figlio artistico Beckett.

Quasi ottanta anni dopo rimangono le stesse inclinazioni, testimonianza del genio visionario dei suddetti scrittori e segno di una disposizione innata alla riflessione e all’azione intima degli irlandesi. Grian Chatten, frontman dei Fontaines D.C., si trovava lungo Stoney Beach, a circa trenta miglia da Dublino, quando ha avvertito dal fragore delle onde il bisogno di tracciare un proprio itinerario. Una chitarra, gli archi in testa e tanti pensieri a cui dare corpo attraverso la musica. Stavolta da solo, in una direzione diversa rispetto a quella seguita con la sua band. Dan Carey rimane al suo fianco, è il suo Virgilio, la sua guida nel caos interiore. Chaos for the Fly è l’unione dei bozzetti e degli schizzi, una parabola tracciata tra noia e dolore.

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(c) Eimear Ly

La genesi della traccia d’apertura The Score ripropone, in piccolo, il medesimo procedimento creativo dell’intero disco. Grian si trovava in Spagna, in una momentanea condizione di paralisi creativa. È stato allora che, nell’attesa della ripresa del tour con la sua band, ha acquistato una chitarra classica in un negozio di Madrid. Ne è nato un brano dal sapore folk, ma dal retrogusto elettronico. All’iniziale arpeggio di chitarra subentrano la drum machine e il basso di Dan Carey. Echi dei The Smile, spogliati di ogni artificio e resi essenziali dalla melodia tracciata, come al solito sul filo del rasoio e dell’intonazione, dalla voce di Grian.

Dalla profondità di una relazione e dalla chimica inesplicabile che lega un rapporto amoroso descritti nell’incipit di Chaos for the Fly, si viene catapultati nel luogo epifanico. Si tratta di un vecchio casinò arrugginito lungo la costa, da dove provengono i suoni delle slot machines e le chiacchiere dei clienti. Sono loro i protagonisti delle due canzoni ambientate tra le mure ingiallite dal fumo del locale. Last Time Every Time Forever introduce gli archi, ma la tranquillità è smorzata da una linea di basso ambigua. La chitarra classica è onnipresente e nel ritornello, dove la melodia prende il largo, fa la sua comparsa il pianoforte. Grian Chatten abbandona il suo caratteristico spoken e mette in mostra le sue abilità canore, senza perdere in drammaticità, ma guadagnando in emotività. Il casinò è il luogo dell’escapismo, il gioco d’azzardo e le dipendenze che regnano nel locale di Bob, rappresentano la fuga e l’illusione di un cambiamento. Come lo erano gli scacchi per Murphy.

Bob’s Casino si differenzia da tutto il resto e si addentra in territori inesplorati affini agli ultimi Arctic Monkeys e alla musica da lounge bar. Il controcanto di Georgie Jesson, compagna di Grian, dona un’aura fiabesca alla canzone e ne aumenta la portata malinconica. Lo stesso si può dire della tromba suonata da Freddy Wordsworth dei caroline. Il cantato baritonale stavolta racconta la vicenda di un personaggio ben definito: un giocatore incallito che ha perso l’amore ed è rimasto solo.

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Il secondo singolo estratto Fairlies è quello che racchiude gran parte dell’immaginario sonoro e lirico dell’album. Gli accordi nevrotici di chitarra classica e gli archi dei primi secondi trasportano l’ascoltatore in un fumoso bar lungo il porto di Dublino. I versi sembrano trarre ispirazione da un racconto di Joyce e mescolano la realtà malinconica con i miti della tradizione irlandese: la nave che parte per l’America e le fate, ferry e fairies. Sono entrambe simbolo del viaggio e della solitudine procurata e vissuta. Le destinazioni cambiano però, c’è chi insegue un sogno con l’illusione di sfuggire alla paralisi e chi intraprende l’ultimo tragitto sullo Stige diretto verso la libertà.

The boat is drifting in, the weight is cast
How can life go so slowly and death come so fast?
Across the River Styx, l'lI row along
But l've got one more song

La morte è in presenza-assenza per tutti i quasi quaranta minuti di Chaos for the Fly. La ritroviamo nella semi autobiografica East Coast Bed, canzone dedicata all’allenatrice di hockey irlandese di Grian. Un dream pop rockeggiante che si appoggia sulla batteria di Tom Coll (Fontaines D.C.) e su una delle pochissime incursioni di chitarra elettrica. Se all’inizio sembra un brano affine alla discografia della band irlandese, se ne discosta dalla seconda strofa in poi, quando l’emotività è garantita dal piano, dagli archi e dal ritorno della tromba.

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Il carattere folk che definisce i contorni del disco raggiunge l’apice in Salt Thrower Off a Truck, un brano costruito su chitarra classica e violino (Violeta Vicci). Il febbraio newyorkese raccontato da Grian dipinge una serie di personaggi e vicende solo in apparenza comuni. Si percepiscono i tratti spessi della New York di Will Eisner, ma la realtà è che i protagonisti hanno i caratteri dei dublinesi di Joyce. Ogni piccola storia è un’eccezione, prende spunto da un’epifania e contribuisce al mosaico di un microcosmo cittadino.

Live by design, til you resign
If anyone asks, I love my city

Grian Chatten dimostra di essere uno dei cantautori più importanti di quest'epoca, capace di trasmettere una molteplicità di sensazioni e suggestioni anche quando non si prodiga nel suo tipico stile parlato e caratterizzato da fiumi di parole. All of the People è il manifesto lirico del disco. Le note di pianoforte e l’arpeggio di elettrica sono la colonna sonora di un dialogo fittizio, un monologo interiore recitato a voce alta, le cui parole dondolano a ritmo di musica per via del vento che sferza la notte.

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Il finale del disco si fa ancora più introspettivo, a partire dalla cupa I Am So Far, scritta durante il lockdown, sempre sulla East Coast irlandese. Il ritmo è lento, la voce di Grian duetta ancora una volta con quella di Georgie Jesson creando un’atmosfera drammatica. Siamo ai confini del territorio prediletto di Nick Cave, rimane il carattere terreno come unico baluardo. Anche quando Chatten compie un percorso più astratto e non racconta una storia, rimane comunque con i piedi ancorati al reale. L’umidità e il vento non cessano mai. Il finale amaro Season for Pain, pur rimanendo sulla stessa linea d’onda, è insieme alla già citata Bob’s Casinò, l’altro caso in cui la produzione si spinge oltre il seminato. La prima parte mescola la ruvidezza dei Nirvana unplugged con la malinconia nostalgica degli Echo and the Bunnymen. La pioggia cade incessante, ma non riesce a lavare via il dolore. Fino a quando nel finale Dan Carey decide di lasciarsi andare e, tra drum machine e Swarmatron, costruisce una coda elettronica di slowthiana memoria sulla quale Grian rappa qualche verso con voce distorta.

Chaos for the Fly non è la morte dei Fontaines D.C., è uno spin off su uno dei protagonisti della serie principale. Grian Chatten si spoglia come nella copertina e si cimenta in un percorso ad epifanie, dando vita a quello che a tutti gli effetti è un canzoniere. Utilizza la lente del suo background culturale: non più i doggerel, ma Joyce come padre tutore, Yeats e Beckett sullo sfondo e il tocco mistico delle fate irlandesi. L’accompagnamento e gli accordi di settima della chitarra classica, combinati al violino e al piano, danno l’illusione di un folk classico, sulla scia dell’esperimento The Couple Across the Way; la drum machine e i synth scompaginano ogni tentativo di categorizzazione.

Pur nei suoi momenti di prevedibilità Chaos for the Fly è un album necessario: «Ho pensato: voglio farlo da solo. So dove andremo a finire come band e non è li che voglio andare con questo disco» ha raccontato Grian Chatten. Ha avuto ragione, nessuno sentiva il bisogno di un album solista che suonasse come un lavoro dei Fontaines D.C.. Grian Chatten non è Noel Gallagher, non è Liam Gallagher. C’è altro al di là della band, c’è vita oltre la paralisi. Non c’è il sole, ma la luna che di riflesso splende su qualcosa di nuovo.

Grian Chatten promo pic
(c) Eimear Ly