Il 2019 ha rappresentato una svolta per i Giant Rooks che grazie al singolo Wild Stare, brano che ha riscosso maggior successo proprio in Italia dove è rimasto a lungo nella Top2o, hanno raggiunto la notorietà internazionale. Sempre un anno fa la band tedesca sceglieva di lasciare la città natale Hamm per lavorare all’album di debutto, trasferendosi a Berlino. Fin dagli inizi produttori di loro stessi, anche in questo caso si sono fatti affiancare, come per i lavori precedenti, da Jochen Naaf.
Il titolo del disco scelto durante un viaggio in treno, oltre che un gioco di parole con il nome della band, racchiude in sé l’immaginario dell’intero lavoro. Rookery in italiano è traducibile come colonia di uccelli, nello specifico di corvi. Il nido, luogo della nascita per antonomasia, è il punto di partenza della prima traccia: «When you were hindin' in the nest» canta a cappella Frederik Grabe. Il viaggio della band inizia abbandonando il passato e la città natale in cerca di nuovi mondi e nuovi nidi. In The Birth of the Worlds il loro sound raffinato si riconosce all’istante, dall’accompagnamento di piano fino all’esplosione di voci del ritornello, e il testo come di consueto è enigmatico e costellato di domande. L’atmosfera rimane pressoché simile in Watershed, forse il brano più radiofonico data la ripetitività del ritornello che una volta ascoltato rimane fisso in testa. Il primo singolo presentato dalla band parla di spartiacque, della volontà di inoltrarsi in lidi inesplorati pur dovendo fare i conti con le inquietudini e i rischi che il volo porta con sé.
Where do we go after all?
What do you hope for most of all?
Il ritmo inizia a farsi più mosso, è il momento di fare un balzo: «They move, they move like fireflies / I wanna move too, I wanna move you». In Heat Up il nido non è più un luogo sicuro, paure e bestie minacciose sono in agguato. Hamm per tre anni ha costituito la base della rookery dei cinque membri, ora Berlino è destinata diventare il nuovo covo della colonia. Ogni singola cellula muscolare inizia a muoversi provocando calore e surriscaldando l’anima, i corvi spiccano il volo.
L’Art Pop è una tendenza musicale nata nelle primordiali fasi del postmodernismo, fortemente ispirata, non solo nel nome, alla Pop Art. L’intenzione è quella di creare musica per la massa in grado di forzare i limiti imposti da qualsiasi genere: mescolare e tessere insieme rock ed elettronica, folk e synth. Negli anni Settanta in Germania nascono i Kraftwerk e il synthpop diventa la realizzazione per eccellenza dei propositi accennati. I Giant Rooks nelle interviste non hanno mai nascosto la loro affinità con l’Art Pop e la commistione di generi, Very Soon You’ll See rappresenta uno degli esempi maggiori di questa loro tendenza. Il basso iniziale che accompagna i suoni orientali segnala che il viaggio verso est della colonia è iniziato, ma ciò non deve trarre in inganno, nelle strofe e soprattutto nel ritornello ritroviamo l'occidente, il pop-rock anni Ottanta e persino i Coldplay di A Head Full of Dreams (gli uh uh sono pericolosamente simili a quelli di Adventue of a Lifetime). Tuttavia ogni cosa funziona perfettamente e si avverte quella piacevole sensazione nostalgica di un passato mai vissuto direttamente. Il viaggio verso Oriente porta con sé speranze e mari inesplorati sui quali sorvolare sfiorando la schiuma delle onde con le ali, fino all’arrivo improvviso della pioggia: «Rain Falls / slows down».
Jung definiva archetipi gli aspetti psicoanalitici profondamente radicati nella mente umana, immagini e simboli che mantengono di generazione in generazione un significato universale. Tra questi vi è l’acqua, elemento associato alla figura della Grande Madre, alla nascita e più in generale alla vita. La prima parte del disco è estremamente liquida e fa costante riferimento all’acqua in svariate forme, dagli abissi di una piscina alla pioggia. Il denominatore comune è il desiderio di rinascita. Rainfalls si aggancia alla conclusione della traccia che la precede riproducendo il rumore della pioggia in un’intro di pianoforte a forte impronta jazz. La ripetitività delle parole cantate in coro contrasta con il dinamismo e l’evoluzione sonora del brano che lascia spazio al synth orchestrale e all’intrusione inaspettata dell’autotune nelle melodie della seconda voce. Lo stesso piano col passare dei secondi diventa lento, a tratti dissonante e ricorda vagamente le sette composizioni di chostakovich di Tanz der Puppen.
Con le ali inzuppate e pesanti il viaggio continua, ma il rischio di sbagliare strada a causa dell’intensità della pioggia si fa sempre più alto. Misinterpretations è il marchio di fabbrica della band tedesca: pianoforte e basso protagonisti nell'accompagnamento, ritornello avvolgente e bridge sperimentale con un accenno di rap.
Misinterpretations
In every breath I take
Another day on earth to try
To make a sense of other lives
Don't know why we're heading west
I'm gonna fall and I'll shake it loose
In the end when I
Look back I think I'll say
It was worth a try
I fraintendimenti e i sentieri incerti conducono la colonia oltre la regione dell’acqua e idealmente concludono la prima parte dell’album. Silence rappresenta una rottura drastica, il tono è polemico e per la prima volta i Giant Rooks sembrano cimentarsi con la realtà odierna in maniera diretta, per mezzo di un testo che non lascia spazio a molti dubbi. Si tratta quasi di un unicum nella ancora ristretta discografia della band tedesca che raramente ha affidato messaggi politici alle parole delle loro canzoni, le quali nella maggior parte dei casi protendono verso la poesia assumendo diversi livelli interpretativi. Si vuole rompere un silenzio assordante, il no distorto al termine del ritornello è rivolto alla violenza sempre più protagonista nel mondo attuale. Il suono è sorprendentemente aggressivo, anche grazie al gioco di percussioni, e nella parte finale della canzone i suoni elettronici prendono il sopravvento. Sembra quasi di ascoltare uno dei passaggi repentini di tastiera dei Rammstein, altra band tedesca che tanto deve all’Art Pop di matrice teutonica dei Kraftwerk.
Il tema della violenza è ripreso in maniera stavolta più metaforica in What I Know is all Quicksand. L’immagine iniziale è forte quanto emblematica: una gabbia di vetro e un gruppo di curiosi intenti a fotografare e pubblicare con i cellulari, un pubblico che maschera la propria sete d’intrattenimento con atteggiamenti di pietismo sui social.
They put me in a cage to see what happens when
You put one in a cell without an escape plan
If I lose my mind before the first attempt
Oh, I'll never be free again
The walls are made of glass and they are hard as stone
Come on, take some pictures with your high-end phones
Give me all your love and share it with your friends
Oh, I'll never be free again
La seconda strofa prosegue sulla stessa linea d’onda: in un’intervista Frederik ha affermato di essersi ispirato, per la sua scrittura, al ricordo della reazione divertita del pubblico in sala durante la visione delle cruente scene finali dell’ultimo film di Tarantino Once Upon a Time in Hollywood.
I hear a million voices laughing indiscreet
It's how they enjoy the blood spilled on the screen
Hey man, I've washed my face, I've kept my costume clean
Oh, I'm not a part of the scene
Questa nona traccia è indubbiamente una delle prove migliori sia nel testo quanto nel sound che riacquista i connotati tipici di una canzone dei Giant Rooks, in particolare nel rallentamento ritmico riflessivo del finale. Le sabbie mobili non sono solamente le labili categorie di verità e falsità proprie della mente umana, la gabbia priva di piano d’evacuazione nel quale talvolta si ha l’impressione di essere intrappolati, ma anche quelle che ormai si avvistano abbassando lo sguardo durante il volo.
La colonia ha ormai raggiunto la zona desertica e questa volta è una tempesta di sabbia ad ostacolare la vista: le dust bowls generano una nebbia fitta che solo il tempo può far diradare. Wild Stare è il singolo che ha portato la band tedesca al successo internazionale, è anche la sola canzone non inedita ma ripresa dal terzo EP omonimo. Questa non è una scelta dettata solamente da fini commerciali in quanto la canzone pubblicata un anno fa rappresenta lo spartiacque della carriera e della vita dei cinque membri della band: un brano scritto nel nido di Hamm ma che osava guardare già al futuro con coraggio, anche da un punto di vista strettamente musicale con il geniale inserimento degli ottoni nel ritornello. Già si parlava di spiccare il volo: «I get high, say bye-bye». Wild Stare è l’unico ma essenziale bagaglio proveniente dal passato che non smette, persino in questo nuovo album, di essere espressione delle speranze per il futuro.
Se lo sguardo selvaggio è il ponte tra passato presente e futuro, Head by Head è la forza d’animo.
I take a big breath I'm moving forward
There once must be rebound, now
I came for the showdown
Le onde sono ormai lontane e nell’attraversamento del territorio arido è necessario farsi forza in un testa a testa col tempo e le incertezze. Gli accordi di pianoforte che anticipano la chiusura acustico-elettronica del brano combaciano esattamente con la vista della meta finale del viaggio.
Quando si giunge al traguardo l’istinto spinge a calcolare quanta strada si è percorsa e a ripensare al punto di partenza.
On the rooftop of our house
And on the endside we didn't make a sound
The fear we used to drown
All We Are è il brano con cui la band si racconta, il più autobiografico. Per mezzo di strofe esageratamente pop e un pianoforte che sembra voler emulare un beat, viene raccontato il momento esatto della presa di coscienza, avvenuta un mercoledì pomeriggio qualunque: «It was a Wednesday afternoon that I found out /About us going to the clouds». È proprio tra le nuvole che si trovano i cinque membri della band nella cover dell’album. La vista del cielo dal tetto della casa di Hamm rappresenta l’attimo dove tutto è iniziato, da lì l’idea di abbandonare il nido e mettersi in viaggio.
Into Your Arms è l’arrivo e parla di una relazione d’amore che metaforicamente potrebbe essere riferita alla musica stessa. In sette minuti è racchiusa tutta la poliedricità della band capace di unire il progressive rock e le note distorte di una chitarra elettrica con l’autotune (qui utilizzata in maniera molto più marcata) e il synth. Un manifesto di Art Pop composto da strofe che ricordano una canzone trap, un ritornello degno di una ballad e una parte finale interamente elettronica che non può non far pensare a Justin Vernon e i Bon Iver. In All We Are si parlava di tentare qualcosa di nuovo («Now we're out of time / We could try out all the things we've never tried»), qui si è giunti alla fine del tragitto ed è ora di planare lentamente verso terra, è tempo dell’atterraggio.
I followed you down the path
To the sink of ourself, our past
We try it
We try it
We try it
We try it
Yeah, we will try to fill them up
And maybe it will be enough
I Giant Rooks possono essere descritti con due aggettivi, raffinati ed estremamente coraggiosi. Su quest’ultimo aspetto in realtà c’erano ormai pochi dubbi, i cinque membri sono consapevoli delle loro capacità e non hanno paura di prendersi dei rischi (se avete ancora dubbi andate ad ascoltare la cover acustica di Life on Mars registrata durante il lockdown). Il pregio più grande è tuttavia in gran parte insito nel loro sound riconoscibilissimo, nonostante la commistione dei generi più disparati che la stessa band non fa mistero di apprezzare. Nel nuovo nido di Berlino si passa dal jazz di Duke Ellington e John Coltrane alla musica classica e il pop sfocia talvolta nella trap pur rimanendo ancorato ad un sostrato di indie rock che fa da collante e protegge l’intera struttura da crolli.
ROOKERY è un esordio (se così può essere definito dopo tre EP e due tournee in giro per il mondo) che non delude e stupisce, rassicurando chiunque temesse che i Giant Rooks sarebbero rimasti per sempre prigionieri del successo di Wild Stare. Un viaggio musicale che spazia in numerosi territori, un album che già al secondo ascolto suscita nostalgia per ciò che è stato e si avrebbe voglia di ricominciare daccapo senza conoscere l’esito finale.
I Giant Rooks saranno live in Italia nel 2021, biglietti in vendita su DICE:
01/04/21 Locomotiv Club, Bologna
02/04/21 Circolo Magnolia, Milano