Skinty Fia Fontaines D.C.
9.0

Affrontare il cervo nella stanza. Un cervo grande come il classico elefante, un Megalocero trapiantato in un atrio rosso fuoco, intrappolato tra una scalinata sfocata e una porta troppo stretta per essere attraversata senza sbattere la testa. I Fontaines D.C. l’animale lo portano già nel nome, dove la D e la C stanno per Dublin City: la città di cui sono stati padroni nel 2019, che hanno portato in giro per il mondo con lo stesso coraggio dell’eroe irlandese Cúchulainn e che ora sentono lontana.

Skinty Fia è il terzo album della band, il primo registrato da irlandesi trapiantati a Londra. Come il cervo, ma con la possibilità di avere una visione a distanza, Grian e compagni esplorano il sentimento amoroso nevrotico e assuefacente nei confronti della loro madrepatria. Le sensazioni contrastanti di chi riscopre il legame col proprio paese quando se ne allontana: lo mostra con orgoglio, ne è succube, ma non lo tramuta in un irresistibile desiderio di ritorno come Ulisse.

Ecco allora il coro a cappella in irlandese che apre il disco, il basso distorto e la voce cantilenante di Grian che in inglese canta il tempo che scorre.

In ár gCroíthe go deo prende spunto da una vicenda reale e tragicamente recente: una donna di Londra di origini irlandesi alla quale è stato impedito di incidere sulla sua lapide la frase del titolo (“nei nostri cuori”) perché la lingua irlandese è considerata un messaggio politico. Il testo è criptico come il suono che trasporta l’ascoltatore nella nebbia e nel freddo. Ma che si tratta dei Fontaines D.C. lo si comprende subito, Big Shot riprende il tema del secondo album: nell’unica canzone scritta da Carlos O’ Connell tornano i suoni decadenti e malinconici di A Hero’s Death, ma soprattutto il chitarrista torna a riflettere sulla gestione del successo. «Everybody gets a big shot, baby».

Il bassista Conor Deegan III ha definito Skinty Fia l’album migliore che la band potesse scrivere in questo periodo. L’evoluzione dei temi e del sound ne sono la dimostrazione: dopo le due tracce iniziali che hanno quasi il sapore di un proemio, in particolare la prima, dalla terza comincia un nuovo corso. Gli accordi e le note di chitarra elettrica ripetute che aprono How Cold Love Is fanno da piedistallo alla melodia disegnata dalla voce. L’amore non è più solo “la cosa più importante” ma è una dipendenza a doppio taglio: da un lato la sicurezza di un letto e di un tetto da condividere, dall’altro la freddezza dell’immobilità al quale esso condanna.

La poesia dei testi di Grian acquista maggiore rilevanza nella misura in cui può avere più livelli di interpretazione: l’amore freddo può essere letto come quello per la madrepatria, riferimento che torna anche nel titolo del singolo Jackie Down the Line. Un brano dove si sentono echi dai The Smiths, una canzone d’amore dal punto di vista del “cattivo”, dell’amante egoista che dichiara di essere pronto a ferire e abbandonare. Il termine Jackeen è in gergo inglese un termine dispregiativo per indicare un abitante di Dublino, la città che più di ogni altra, prima dell’indipendenza irlandese, fungeva da centro di controllo per il Regno Unito. Jack, che deriva dalla bandiera Union Jack, al quale può essere aggiunto il suffisso diminutivo -een, è quindi sinonimo di egoismo. Per i Fontaines D.C, dublinesi che hanno trovato il successo proprio a Londra, forse la sensazione di essere una sorta di “impostori” è ancora più marcata.

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I personaggi delle canzoni che nei primi due album ricalcavano quelli di Joyce, in questo disco ritornano in maniera più sottile, sono più labili i confini tra storytelling e autobiografismo. La materia trattata è personale e i nomi che Grian inserisce qua e là sono una fragile garanzia di distacco. La coppia di canzoni che segue il primo singolo estratto affronta il tema dell’abbandono e del viaggio. Bloomsday, per la quale è scontato ed inevitabile tirare in ballo gli echi letterari, è stata descritta come un addio, senza rendersene conto, all’Irlanda. La giornata di Leopold Bloom in Ulysses termina in un bordello dove tradisce sua moglie, il giro dei Fontaines D.C. è terminato in Inghilterra. La malinconia del testo e della musica trasmettono la paura di aver abbandonato per sempre la patria irlandese e di non essere più in grado di esserne ispirati e di apprezzarne la pioggia e i pub agli angoli delle strade. Uno dei brani più emotivi del disco in cui il suono nostalgico della chitarra elettrica si sposa perfettamente con le note basse colte dalla voce di Grian.

Roman Holiday smorza appena il vento di malinconia: le vacanze romane sono ambientate a Londra. Un tentativo di adattarsi da irlandesi, rimanendo fieri delle proprie origini, alla vita in Inghilterra: «When they knock for ya don't forget who you are / Skinty Fia». L’espressione irlandese, che chiude una delle strofe della canzone, anticipa la seconda parte del disco, dove si entra nel vivo del dissidio di chi vive il proprio essere irlandese dall’estero.

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The Couple Across the Way è a tutti gli effetti lo spartiacque del disco, pur non trovandosi alla metà esatta della tracklist. L’idea originaria della band era di realizzare un doppio album la cui seconda parte avrebbe dovuto essere un disco di canzoni dal suono irlandese tradizionale. Da qui nasce la romantica e melanconica base strumentale di sola fisarmonica su cui Grian Chatten esprime la propria empatia nei confronti di una coppia di anziani vicini di casa che litigano spesso. L’episodio diventa un riflesso di ciò che potrà diventare la sua relazione, in un misto di paura e speranza. Il compromesso che sta alla base di ogni storia d’amore, smussare i propri spigoli, viene ripreso e portato parodisticamente all’estremo nell’ultima traccia Nabokov. Le seconde voci che in parte rendono meno tragico il canto principale, rimandano alle atmosfere anni Novanta, mentre il suono noisy e distorto è modernissimo.

Conviene chiudere il discorso con due tra le canzoni migliori del disco, quelle che prendono di petto il tema anticipato in precedenza.

Skinty Fia, ovvero “sia dannato il cervo”, è un brano post-punk danzereccio, una delle sperimentazioni meglio riuscite della band. Può ricordare a tratti la strada intrapresa dagli IDLES in When the Lights Come On, ma in questo caso il testo non racconta di un episodio singolare in una discoteca, ma ancora una volta è un senso di abbandono e fatalità quello trasmesso. Essere irlandesi a Londra è l’equivalente di una relazione amorosa ostacolata dall’alcol, dalla droga e dalla paranoia. Il sunto dell’irishness.

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I Love You è l’emblema di ciò che sono diventati nel 2022 i Fontaines D.C. Il suono testimonia lo stile personale e riconoscibile che la band ha acquisito in questi anni e che oramai è scorretto descrivere attraverso i continui paragoni con Joy Division, The Fall, New Order, ecc. Il testo è un altro incredibile passo avanti, la prima canzone “politica” l’ha definita Grian, dedicata all’Irlanda e all’amore nei suoi confronti.

I love you, I love you, I told you I do
It's all I've ever felt, I've never felt so well
And if you don't know it, I wrote you this tune
To be here loving you when I'm in the tomb

Tuttavia, osservare il proprio paese da fuori ne mette in risalto le contraddizioni e gli aspetti negativi che esplodono in una strofa vicina al rap in cui vengono elencate le ombre della Repubblica:

But this island's run by sharks with children's bones stuck in their jaws
Now the morning's filled with cokeys tryna talk you through it all
Is their mammy Fine Gael and is their daddy Fianna Fáil?
And they say they love the land, but they don't feel it go to waste
Hold a mirror to the youth and they will only see their face
Makes flowers read like broadsheets, every young man wants to die

Una critica feroce alla politica che, come uno squalo, azzanna il futuro delle giovani generazioni che, non vedendo altro che la loro faccia allo specchio, sono costrette ad emigrare. In parte la storia dei membri della band, in parte la storia dell’Irlanda con il tasso dei suicidi che sale e il rimorso per le migliaia di madri e bambini vittime degli abusi e del sentimento di colpevolezza trasmesso dalla Chiesa cattolica in una delle vicende più oscure della sua storia.

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Il sentimento di amore e odio è il risultato della profonda analisi interiore e non solo che la band affronta nel suo terzo disco. Un album dove nulla è lasciato al caso, non c’è suono che risulti irrilevante ai fini del risultato finale, non c’è parola lasciata al caso, ogni metafora sostituisce alla perfezione inutili giri di parole. Le chitarre risentono delle atmosfere piovose di Dogrel, ma si adagiano sulla malinconia decadente di A Hero’s Death accompagnando racconti e personaggi meno definiti rispetto al passato, ma non per questo meno vivi.

Se Skinty Fia sia il miglior lavoro della band finora solo il tempo potrà confermarlo, la sola certezza sta nel fatto che i Fontaines D.C. riescono ormai a parlare di sé attraverso la loro musica, riducendo il citazionismo e tracciando un sentiero personale unico e inconfondibile in cui le influenze, evidenti in passato, si fondono e scompaiono nel suono compatto che li caratterizza, privo di spigoli e nostalgico solo nelle intenzioni. È evidente ormai che ci troviamo di fronte ad una delle band più importanti della nostra epoca che continua a rileggere un genere musicale, rendendolo un filtro attraverso cui scrutare il mondo e la propria anima.

Foto di Renato Anelli

I Fontaines D.C. torneranno in Italia questa estate, tutte le info su Live Nation:

Martedì 7 giugno Arena Puccini - Bologna

Mercoledì 8 giugno UNALTROFESTIVAL, Circolo Magnolia - Milano

Martedì 16 agosto Parco della musica - Padova