Questa volta Ela Minus sentiva di dover scavare più a fondo. acts of rebellion, esordio del 2020, conteneva sì l’essenza dell’artista colombiana - una cura quasi maniacale del particolare, una ricerca instancabile dei suoni che già aveva dentro la testa - ma non era stato davvero onesto, almeno secondo la stessa autrice. Con DÍA, uscito il 17 gennaio per Domino Records, le cose dovevano cambiare. E sono cambiate.
Dieci tracce in cui Ela Minus sopprime qualunque tipo di filtro per lasciarsi trasportare da flussi di coscienza in direzione della conoscenza di sé: tematica che intercetta un mosaico di sensazioni fatto di paura del futuro ma risolutezza nell’affrontarlo, consapevolezza dei propri limiti e riconoscimento di un’identità ancora in divenire. Un disco che, come accade nei migliori dei casi, riesce a trasformare “io” in “noi” senza pretese di insegnare, ma solo con l’esigenza di raccontarsi.

E pensare che DÍA era stato virtualmente chiuso molto prima di questa sua versione, con Ela Minus convinta di dover giusto ridare una passata a qualche traccia vocale. Poi, appunto, la realizzazione di una mancanza che era anche un’esigenza: onestà. I testi vengono quindi rilavorati, per innalzare la parola al livello della sempre alta asticella di produzione, arrangiamento e sound design.
Ed è un suono, quello dell’introduttiva ABRIR MONTE, a presentarsi durante una notte di registrazioni: Ela inciampa in una progressione di accordi e semplicemente sa che quella diventerà l’apertura del disco. Cinque minuti abbondanti di strumentale che sale piano, lasciando gradualmente spazio a interferenze elettroniche ma dal sapore assolutamente naturale, come cinguettii artificiali. E solo nell’ultimo minuto fa capolino un pattern ritmico che lancia BROKEN, pezzo che fa da tappeto rosso alle atmosfere che verranno esplorate nel corso dell’album.
“I'm on my knees
Haven't found a faith
Here I am again
Bending everything till it breaks”
Onestà dicevamo, tanto semplice quanto brutale per un’artista che arriva al secondo album senza essersi mai aperta tanto. Una cassa dritta ma dolce sostiene le delicate linee vocali di Ela Minus, che canta di com’è caduta e non solo di come si alzerà, ma anche di come “piegherà tutto finché non si spezzerà”.
Il mood cambia all’improvviso con l’arrivo di IDOLS, atmosfere cupe e dense di sintetizzatori acidi, dall’aura minacciosa, un’ombra sonica che si abbatte sull’ascoltatore. Immagini di sangue come metafora del processo di accettazione di sé, e una durezza sia testuale che musicale che prosegue in IDK, dove il sound design di DÍA tocca già una delle vette più alte, grazie alla progressiva “granularizzazione” della voce e il crescendo dei synth: sembra di guidare verso una bomba d’acqua, che sì va bene che sono gocce, ma talmente fitte che hai paura di poterci andare a sbattere.
QQQQ riporta l’album in territori asciutti, talmente tanto che la voce in overdrive sembra suggerire aridità. Ed è infatti una riflessione apocalittica quella fatta in questo pezzo, forse il più evidente cambio di prospettiva di DÍA: non siamo più in una sfera personale ma universale, disillusa ma paradossalmente serena.
“Todos estamos de acuerdo en que esto es
El fin de los tiempos
Y si vamos a dejarnos ir
Yo prefiero que se acabe aquí”

La successiva I WANT TO BE BETTER fa subito ritorno alla prima persona (ormai singolare e plurale si sono fusi, quindi poco importa). Il titolo dice tutto, mentre Ela Minus è ormai capace di ammettere, apparentemente senza sforzi, non solo di desiderare di essere migliore, ma anche di aver pensato, per tutto questo tempo, di esserlo già.
Riflessioni spazzate via da uno dei cardini del disco, forse il pezzo più rappresentativo nel suo essere una deviazione piuttosto evidente dalla pasta musicale di DÍA: è ONWARDS, tre minuti scarsi di elettro-hardcore ipnotica e sprizzante rivalsa da tutti i pori. Ela si riferisce ad un “tu” che viene sfidato a più riprese, mentre cassa dritta e il basso più ruggente dell’album sembrano dare man forte all’artista nell’affermare una propria rinascita senza condizioni.
Il rumorismo di AND implode in UPWARDS, altra dose di basso croccantissimo e un’apparente tregua nei confronti, chissà, dello stesso “tu” di poco fa:
“I'd love to save you
But you've got to save yourself
I'd love to save you
But I've got to save myself first”

La sensazione è di assistere ai momenti successivi a una liberazione mentale/spirituale, che non è sinonimo di assenza di problemi, ma piuttosto di avere un’idea su quale possa essere la via da seguire per farlo. La voce di Ela Minus è meno grave, sia musicalmente che a livello di mood, segnando uno dei tanti momenti in cui il cantato di DÍA si fa pop senza vergogna.
COMBAT chiude la scaletta del disco in modo quasi epico: l’intro ha una forte carica suggestiva di stampo cinematografico, e il cantato pesantemente effettato ha un che di catartico. Il brano gode di un ampio respiro (ricordiamo con orgoglio che il mix, come per il precedente lavoro, è della nostra Marta Salogni) e riprende l’atmosfera “naturale” che avevamo avvertito nella traccia di apertura. “Noi passeri nati in gabbia, non abbiamo paura di niente” canta Ela, mettendo un punto deciso al viaggio dentro di sé, scegliendo di evidenziare tanto la gabbia (auto-negazione, chiusura in sé stessa) quanto il coraggio di cambiare, e di farlo combattendo.
Un disco denso, ricco, molto ragionato e forse a tratti scricchiolante sotto il proprio stesso peso: DÍA non rientra certo tra gli ascolti facili. Ela Minus questo lo sa, basta guardare il suo post pinnato sul suo profilo Instagram: “Ti invito ad ascoltare questo album per intero, senza pause e più di una volta”. Non sarà complicato per chi avrà la pazienza di dargli una vera possibilità, dato che questo lavoro ha la virtù di saper poi richiamare all’ascolto ancora e ancora, per farsi scoprire sempre un po’ più a fondo.
