The Crux Djo
7.5

C’è un eroe del piccolo schermo che quando imbraccia la chitarra, scorda le battute da sterminatore di alieni e lascia la scena al suo vero io: è così che Joe Keery, il tragicomico Steve della serie tv Stranger Things, diventa Djo. Si pronuncia come «Joe» il progetto, nato come passatempo, ora percorso musicale serio che si fa largo nel panorama indie.

Che siano dimenticati i suoni grezzi dei precedenti due lavori, perché per l’ultima uscita intitolata The Crux, l’attore statunitense si è recato agli storici Electric Lady Studios di New York. Insieme a lui, un folto gruppo di collaboratori, per giocare con i numerosi spunti musicali che arricchiscono il tema autobiografico da cui è scaturito il disco: la lenta ripresa dalla fine di una relazione. Tutto ciò viene raccontato da Keery a partire da un’immagine, quella dell’albergo The Crux: «Un hotel che ospita persone che sono tutte, in un modo o nell’altro, a un bivio della loro vita».

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Djo è il nome d'arte dell'attore statunitense Joe Keery | Credits: Neil Krug

Si inizia l’ascolto con Lonesome Is A State of Mind, un omaggio all’alternative di inizio anni 2000 che fa viaggiare la mente fino a Is This It degli Strokes. La personalità di Djo, autoironica e diretta, è tutta condensata nei singoli di The Crux, dal lo-fi che si sposa al rock di Basic Being Basic, all’acustica (Delete Ya) e un’elettrica suonata dolcemente mentre prevale una visione cupa del mondo (Potion).

I suoni fanno subito pensare ai lavori di Mac DeMarco (che presto tornerà con un nuovo album), se non fosse che Keery ha un metodo di scrittura diverso: in Egg e in Fly, sa essere abbastanza spietato. Anche in The Crux non potevano mancare gli anni Ottanta, la decade più apprezzata da Djo: c’è il rock di Link e i sintetizzatori, già adoperati nei precedenti lavori, partecipano alla narrazione del disco.

Da questo momento di The Crux, arrivano le sorprese più interessanti. Come Charlie’s Garden, pezzo dedicato all’amico e collega di Stranger Things, Charlie Heaton, in cui Djo si rifà a Paul McCartney e i suoi Wings.

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Gap Tooth Smile è un’altra chicca anni Ottanta in salsa glam rock. Poi, si torna indietro di dieci anni mentre si ascolta Golden Line, un gioiellino pop che strizza l’occhio al cantautorato statunitense dell’epoca. È un momento sublime, che si chiude con il coro introduttivo di un’altra gemma rock, Back On You, e che ritorna con l’ultima straziante canzone, ossia la title track, dove la malinconia è espressa alla massima potenza.

Ascoltare le tracce dell’ultima uscita di Djo è come leggere pagine di vita che si svelano. The Crux è un diario quotidiano che diventa sonoro. Keery non si vergogna di mostrare il lato più fragile di sé, senza omettere che prima c’è stata una lotta interiore. Non teme nemmeno di mostrare la propria frustrazione interiore, che si placa con il proseguire dell’ascolto dei brani.

Questo ultimo disco è arrivato poco dopo l’inaspettato successo sulle piattaforme social di End of Beginning, brano dell’album DECIDE uscito nel 2022, esattamente quando Keery posava le prime pietre del suo albergo musicale.

Tre anni fa l’attore era impegnato con le riprese della quinta stagione di Stranger Things e del film di Saverio Costanzo Finalmente l’Alba, girato in Italia. Lontano da casa, Keery ha costruito le fondamenta di The Crux alla chitarra, mentre la settima arte gli appariva come musa – l’atmosfera del disco è cinematografica  – e come matrigna che fa vivere al narratore un mondo tra realtà e finzione.

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Djo | Credits: Neil Krug

Il risultato non è deludente ma c’è qualcosa in The Crux che lascia perplessi. Come l’ipotesi traballante, creata sull’immagine dell’albergo, che vede l'opera come possibile concept album. Il tema comune delle tracce non è la risposta giusta, quando si fatica a comprendere come mai i tanti generi musicali presenti in The Crux non leghino l’uno con l’altro. Sono forse i differenti generi musicali le voci degli ospiti dell’hotel? Allora, come mai le storie degli ospiti sono raccontate allo stesso modo, dando l’idea che la visione di amore di ciascuno di loro sia unica e non differente?

C’è però un aspetto che fa pensare che questo sia l’album più forte di Djo. Dietro alla ricerca di un nuovo sound, in cui l’acustica e il piano cercano di farsi spazio, Joe Keery fa un grande lavoro di onestà intellettuale. Solo così si capisce perché le parole di The Crux scorrono come un torrente in piena. Sono testi che sorprendono, stravolgono, emozionano: un vero e proprio coup de théâtre degno di un attore.

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