Death & Love, Pt. 1 Circa Waves
7.0

Non sempre le cose vanno come ce le aspettiamo, come speriamo o anche come temiamo ci vengano incontro, e se proprio dovessi citare due di questi suddetti fantomatici eventi ineluttabili, la morte e l’amore potrebbero benissimo rientrare nella descrizione. Ma anche scomodando concetti meno alti e universali, l’imprevedibilità della vita colpisce ogni sfera personale, da quella privata a quella professionale.

Non fatico a immaginarmi Kieran Shudall, frontman dei Circa Waves, ponderare a lungo su questi pensieri giusto un paio di anni fa in questo periodo, dopo aver ricevuto una telefonata dai medici che gli comunicavano che l'arteria principale del suo cuore era gravemente ostruita. Pochi giorni dopo, si trovò ad assistere all'inserimento di un filo nel suo cuore per ripararlo. Letteralmente in quei giorni, la band di Liverpool si stava preparando alla pubblicazione del loro quinto album, Never Going Under (qui la nostra intervista al frontman stesso). Grazie a Dio (e alla NHS, la sanità inglese tanto ringraziata da Kieran su Instagram), gli show e gli impegni promozionali sono stati rinviati solo di pochi mesi.

Circa Waves death recensione
Circa Waves | (c) Polocho

Flashback finito, eccoci oggi in un contesto più sereno a parlare del loro nuovo lavoro, Death & Love, Pt. 1, un disco di cui, a detta di Shudall, lui stesso aveva bisogno per elaborare quello che ha passato, una sorta di “lettera per dire a me stesso che sarei rimasto".

Neanche a dirsi, quest’aria di positività trasuda già dalla colorata copertina dell’album, decisamente differente dai colori più cupi di quella del lavoro precedente, anche se lo squarcio monocromatico smentisce la visione “rose e fiori”, che vista la foto rischiava di essere presa in maniera eccessivamente letterale. Se non si giudica un libro dalla copertina, a volte le sonorità di un disco le si possono perlomeno intuire: con Death & Love, Pt. 1 i Circa Waves tornano alla loro caratteristica solarità, che per quanto non fosse mai svanita, forse è rimasta un po’ camuffata dalle chitarre leggermente più robuste di Never Going Under.

Neanche il tempo di tuffarsi nell’album che infatti si comincia già a saltare con la traccia di apertura dal ritmo che ricorda una marcia, American Dream, pezzo che parla di come i sogni facciano romanticizzare ciò che non si ha, come a un ragazzo inglese che sogna gli USA, ma che si accorgerà che la felicità non la troverà oltreoceano.

Il ritmo continua a salire con Like You Did Before, veloce e dal testo vagamente ossessivo, e la luminosità del riff di chitarra non può che soddisfare i fan della band, specialmente quelli che li hanno conosciuti con Young Chasers, il loro primo album uscito ormai 10 anni fa (di già?!).

ionicons-v5-c

Della stessa pezza, il primo singolo estratto dal disco, We Made It, che funge da hit e fulcro tematico dell’album, un inno alla vita e un grido di giubilo per aver superato ostacoli e strade dalle tinte fosche (“I said it took a long, long time to get here / But yeah we made it, yeah we made it”): forse proprio per questa importanza, coerenza e orecchiabilità si potrebbe definire il pezzo meglio riuscito tra i nove. E infatti le tracce seguenti abbassano leggermente la carica dando spazio a pezzi un tantino più generici (Le Bateau) a inaspettati e apprezzati richiami dream pop (la romantica Hold It Steady).

Le atmosfere più scanzonate non tardano però a tornare con Let’s Leave Together, che con i suoi fischiettii non sfigurerebbe nel menù di un gioco FIFA a scelta dal 2008 al 2016. Il che lo ritengo un pregio, sia chiaro.

Risalta inoltre la poesia della dolce e delicata Blue Damselfly (“Don't you cry, blue damselfly / You can spread your wings on a silver night / And I know it's hard to think what might have been”), che apre il trittico di chiusura in compagnia di Everything Changed, altra potenziale hit che pareggia i conti con la maggior cantabilità della prima metà del breve album. Infatti, dopo meno di mezz’ora, chiude le danze Bad Guys Always Win, che fa ballare, ma forse non incide abbastanza come gran finale.

Circa Waves
Circa Waves | (c) Polocho

I Circa Waves, diciamocelo, non sono certo la band giusta per il palato dell’ascoltatore alla ricerca della novità e della sperimentazione, ma proprio per questo sono ormai giunti tra i pezzi grossi della scena post new wave revival degli ultimi anni, raccogliendo il testimone di chi ha dato di più a questo genere musicale negli anni 2000, come Two Door Cinema Club, Kooks e i concittadini Wombats, solo per citare alcuni dei più simili nelle sonorità nella scena musicale britannica.

L’album infatti è leggero, veloce, godibile e decisamente orecchiabile. Niente di strano per un gruppo come i Circa Waves, a cui forse si potrebbe chiedere di osare un tantino di più ogni tanto, ma d’altronde non è peccato rimanere in una zona di comfort, specialmente per ripartire dopo un periodo negativo.

Messi da parte i chitarroni in favore di suoni più leggeri, questo album sarà un ottimo compagno per l’arrivo della bella stagione e del sole più caldo, ma anche una nuova fonte dalla quale le scalette dei ragazzi di Liverpool potranno attingere tanta aria fresca.

Circa Waves
Circa Waves | (c) Polocho