Ribbon Around the Bomb Blossoms
7.5

Quando i Blossoms hanno pubblicato il primo singolo di Ribbon Around the Bomb, il quarto album della band uscito lo scorso venerdì 29 aprile, si era già capito che la musica era cambiata. Lo conferma un’atmosfera più addolcita, che in queste tracce cerca di resistere a quel senso di inquietudine che da sempre ha caratterizzato i testi della band.

Inoltre, in Ribbon Around the Bomb si fa forte il desiderio del quintetto di uscire dal dance pop anni Ottanta che ormai era diventato il loro marchio di fabbrica, un genere che li aveva quasi imprigionati. Un mutamento di grande impatto, se si pensa che per questo lavoro hanno deciso di utilizzare meno il sintetizzatore. Altre novità, The Writer’s Theme e The Last Chapter, i brevissimi brani strumentali posti in apertura e chiusura, la realizzazione di un cortometraggio dedicato all’album (inserito all’interno di questa recensione), infine l’assenza per la prima volta di una fotografia della band in copertina. Il produttore principale della band è sempre James Skelly dei The Coral.

In questi brani, assistiamo al trionfo dei testi, sempre più intimi, a quello dei cori e dell’acustica. Già dalla seconda traccia, Ode to NYC, c’è tanta voglia di dimostrare di essere cresciuti professionalmente. Mai prima d’ora si erano cimentati nelle descrizioni minuziose di spazi cittadini, paragonabili a fotografie scattate tra una tappa di un tour e un altro.

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L’immagine di una bomba avvolta da un nastro di Ribbon around the bomb, che è la terza traccia, potrebbe far pensare immediatamente a qualcosa di instabile, preoccupante. Lo stesso Tom Ogden ha spiegato che dietro a questa figura c’è un pensiero comune, quello di «abbellire cose che hanno un’oscurità che giace profonda». Ma in questo album può anche essere un’immagine positiva. L’amore non è più fonte di incertezze, ma è un’esplosione imminente che provocherà un incantevole spettacolo. Dietro al titolo della canzone che dà il nome all’album, c’è una citazione di André Breton, il fondatore del Surrealismo: è con l’espressione «Ribbon around a bomb» che descrisse l’arte di Frida Kahlo. Una frase che Tom Ogden, cantante e frontman della band, scoprì in occasione della visita della casa dell’artista in Messico.

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L’album è anche un omaggio ad artisti intramontabili come Paul Simon, basti pensare a The Sulking Poet, con un’introduzione accattivante, difficile da togliere dalla testa. Dal ritmo semplice, sarà tra le più amate di Ribbon Around The Bomb ai prossimi concerti della band. Difficile non pensare che dietro a quelle parole non ci sia il vero Tom Ogden, conosciuto da tutti i fan come il ragazzo che non sorride mai.

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Le origini geografiche della band, la città di Stockport in Inghilterra, si fanno sentire in Born Wild. Riaffiora la vicina Manchester degli Smiths, riaffiora quel senso di inquietudine tanto caro ai Blossoms. È la canzone dell’album che dimostra con più chiarezza la maturità raggiunta dai cinque.

The Writer, con il suono leggero dell’acustica, è invece un viaggio nel tempo fino al 2016, l’anno dell’album di debutto della band, l’omonimo Blossoms.

Torna il descrittivismo in Everything About You, la canzone più azzardata dell’album, questo perché raccoglie elementi nuovi, molto simili all’indie dei primi anni Duemila. Persino il sintetizzatore, che qui torna a farsi sentire, ha un suono differente rispetto ai lavori passati. La costruzione della canzone segue invece l’impianto classico dei Blossoms, come ha dichiarato la band.

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Uno stile anni Settanta avvolge l’ascoltatore di Care For. Non si vede l’ora di ascoltarla e ballarla vivo. È una canzone d’amore, una serenata di Tom Ogden dedicata alla moglie.

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Altra canzone impensabile prima d’ora perché completamente diversa dal repertorio dei Blossoms, è Cinerama Holy Days, il cui titolo allude al sistema di ripresa e proiezione in tre punti, il cinerama. Introdotta da un piano, scorre avvincente come un film pieno di sentimenti. È malinconica, fa quasi scendere una lacrima.

Sulla falsariga di Born Wild, è Edith Machinist, un testo cupo accompagnato da archi che danno energia al brano. La potenza del brano si sprigiona tutta alla fine, con un coro quasi profetico.

Visions arriva lieve alle orecchie dell’ascoltatore, lo accompagna in un crescendo di emozioni. I suoi sette minuti non impauriscono, è una canzone piacevolissima, pare un breve romanzo musicato. Anche per questo brano la band si è affidata a strumenti classici, che donano un tocco orchestrale all’album.

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Ribbon Around the Bomb racconta un cammino verso l’età adulta, espresso non solo dai testi, alquanto introspettivi, ma anche dagli arrangiamenti, più ricercati rispetto ai precedenti lavori. I Blossoms hanno voluto sperimentare, si sono diretti verso nuove frontiere e ci sono riusciti: non si può dire che con questo lavoro non siano cresciuti professionalmente. Tuttavia, la formula di questo nuovo album non convince del tutto.

Le idee alla band non mancano, eppure manca quel quid capace di meravigliare. Non è una novità: il terzo album Foolish Loving Spaces aveva lasciato gli ascoltatori con l’amaro in bocca. Anche questa volta, i pezzi sono meno potenti dei lavori precedenti, Blossoms e Cool Like You. Oltre ai cori, difficilmente si riesce a memorizzare i testi. Si fatica a individuare quel brano che farà la storia della band, come Charlemagne o There’s A Reason Why (I Never Returned Your Calls). The Sulking Poet potrebbe prendere il testimone? Con Ribbon Around the Bomb siamo forse di fronte a uno stallo? È il tipico mistero degli album di passaggio, che lasciano all’ascoltatore tanti interrogativi.