Gary Blossoms
8.0

Dieci anni fa, i Blossoms facevano i primi passi nel mondo della musica. Dalla cittadina di Stockport, non lontana da Manchester, i cinque ventenni, armati di sintetizzatore e chitarre acustiche, cercavano di proporre ballate dal sapore anni Ottanta. Non si trattava di una moda effimera ma di un vero e proprio manifesto poetico di un giovane gruppo.

Oggi, all'uscita del quinto album della band, Gary, i Blossoms mettono ancora più in chiaro il loro percorso. Finora, hanno mescolato abilmente il pop al post-punk alla Smiths, aggiungendo poco a poco un folk americano e un sottilissimo velo di ironia tipicamente britannica.

Blossoms Gary
Blossoms | (c) Ewan Ogden

Lo humour è la chiave che apre la nuova fase artistica dei Blossoms. È condensato nella canzone che dà il nome all'album, Gary. Il brano riporta uno strano fatto realmente accaduto in Scozia lo scorso anno. Il protagonista è un gorilla in vetroresina da giardino, chiamato affettuosamente Gary, misteriosamente sparito da un vivaio in Scozia. Il furto rocambolesco catturò l'attenzione dei cinque musicisti. L'omonima titletrack è un pezzo upbeat, con un semplicissimo giro di accordi accompagnato da un coro di voci. Spicca quella del cantante della band, quasi angosciato per la sparizione del colosso primate. Solo quest'estate la storia incredibile di Gary ha avuto un finale, tristemente tragico: la statua è stata ritrovata tagliata a metà.

Blossoms I Like Your Look
Blossoms | "I Like Your Look"

Già dal primo ascolto di Gary, si percepisce che c’è tanta disco in questo disco. Il funk si sviluppa in tutta la sua forma in I Like Your Look, ode all'essere unici nonostante i propri difetti. Dietro all'aria di festa di Gary c'è anche l'apporto di Josh Lloyd-Watson dei Jungle e dell'artista irlandese CMAT, che insieme al fedele produttore James Kelly (The Coral) hanno assistito i Blossoms alla realizzazione delle tracce.

La successiva Nightclub è un altro vessillo della nuova era dei Blossoms, un brano suonato con spavalderia. La musica scorre veloce come un torrente gioioso. Il funk della band inglese è essenziale, riesce a catturare anche il più timido ascoltatore, manca però dell’anima soul di cui i Jungle sono diventati i campioni del momento. Proseguendo con le influenze giocose del passato, il quintetto regala una versione autentica del pop anni Ottanta: Mothers, il tenero racconto dell'amicizia indissolubile di due madri e dei loro figli, il cantante Tom Ogden e il batterista Joe Donovan.

La grande stima della band per i Coral e la nostalgia dell'indie dei primi anni Duemila non svaniscono nemmeno al richiamo della dancefloor. Tre brani di Gary ne sono l’esempio più evidente. Perfect Me è una facile scambio di chitarre e voci doppie che lanciano il ritornello, è un pezzo tipicamente “blossomsiano”, per intenderci. La chitarra acustica, protagonista di molti brani passati dei Blossoms, fa il suo ritorno in Cinnamon, un brano decisamente soft che ha un'atmosfera artefatta: sembra una canzone pubblicitaria. Why Do I Give You The Worst Of Me? chiude prepotentemente l'album. È cantata con tanto fiato in gola, quasi doloroso.

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La malinconia, altro ospite ricorrente delle canzoni del gruppo, fa la sua comparsa anche in Gary, nascondendosi sotto la dirompente allegria sonora. Essa cade prepotente come una mirrorball sulla pista da ballo poco dopo le prime note di What Can I Say After I'm Sorry, un pezzo molto classico del repertorio dei Blossoms, che sembra rispondere a uno dei brani storici più riusciti della band, There's a Reason Why (I Never Return Your Calls). Facendo un piccolo passo indietro, si nota che la prima traccia di questo nuovo album è leggermente inquietante. Big Star è una novella dark retrò di un giovane che sogna il successo in una Los Angeles spietata. La malinconia non fa sconti nemmeno quando si parla di amore. Il sentimento trionfante dello scorso album - Ribbon Around The Bomb, la mosca bianca del repertorio del gruppo - è ancora presente nei testi della band, ma in Gary torna a essere raccontato con sfumature oscure: basti pensare alla glam Slow Down.

I Blossoms puntano al funk per poi tornare nuovamente all’indie. Gary è la solita nostalgia dannatamente canaglia: tra tutto l'indie in piazza, i cinque musicisti inglesi si affidano completamente a quello ridotto a mera comparsa nelle serate per millennial acciaccati e lamentosi. È uno dei motivi per i quali il gruppo resta nella sua cerchia media di ascoltatori. Il successo è solo a casa loro, non sconfina oltre la Manica.

Il ritmo frizzante dell'album potrebbe finalmente fare la differenza e acquistare nuovo interesse da parte di un pubblico internazionale. Sembra infatti che le tracce di Gary siano più vicine al pop britannico degli ultimi anni di quanto si pensi. Basta ricordarsi che i Blossoms hanno più volte realizzato cover di brani di Harry Styles o che lo scorso anno a Lido di Camaiore (Lucca) hanno addirittura aperto un concerto di un altro ex One Direction, Louis Tomlinson.

Insomma, ci troviamo di fronte a un album che potrebbe essere destinato a lasciare il segno più dei lavori precedenti, escludendo il clamoroso album di debutto della band (Blossoms, 2016). Arriva dopo un percorso lucido e coerente, fatto di quattro album di canzoni dalle strofe e bridge solidi, ben concatenati al ritornello. È l’album delle collaborazioni importanti del gruppo ed è il primo ad essere pubblicato da un’etichetta indipendente di loro proprietà. Significato che la band vuole rischiare e andare oltre la propria confort zone.

Blossoms Gary
Blossoms | (c) Ewan Ogden