Hellfire black midi
8.3

Always chasing the first
Always chasing the free
Always chasing decency
Never adequate enough
Enough, enough
Come in, come in

Venghino signori, il tendone rosso fuoco dei black midi si dischiude per gli ascoltatori. Prendete fiato finché potete, perché d’ora in poi non ci sarà più sosta. Il ritmo implacabile degli ottoni, un sottile tappeto pianistico e gli archi, a completare un beat orchestrale sul quale Geordie Greep azzarda qualcosa che si avvicina al rap.

Hellfire, è un inferno di parole, storie e strumenti. Il terzo album del trio londinese è un condensato di vizi e virtù. Il seguito dell’incedere drammatico di Cavalcade è un’opera intrisa d’azione. Sotto la stoffa rossa, in un contesto da fine diciannovesimo secolo, prendono vita personaggi eccezionali, su arrangiamenti mutevoli ed altrettanto vivi.

Un incontro di boxe è per il frontman della band inglese l’esperienza che più si avvicina al tipo di musica dei black midi, per l’impegno e per l’imprevedibilità dell’esito. Sugar/Tzu è il secondo brano dell’album e la prima storia: uno spettatore troppo basso per osservare da lontano il match tra i due pugili del titolo, forse un bambino se si tiene conto del videoclip, avanza fino alla prima fila e spara alla schiena di Sun Sugar, uccidendolo. Il fusion jazz si sposa in maniera sorprendente con il racconto in prima persona, la batteria di Morgan Simpson e il basso di Cameron Picton aumentano la velocità dopo un’introduzione così calma da disorientare l’ascoltatore.

I personaggi che popolano il disco prendono parola e raccontano senza rimorso le loro azioni, spesso discutibili. La terza persona adottata da Geordie nei testi di Cavalcade viene sostituita da una completa immedesimazione. Come il contadino di Dangerous Liaisons, altra traccia con protagonisti sax e pianoforte, che dopo aver incontrato una misteriosa figura per strada, viene convinto a commettere un omicidio. Dalla foto della vittima strangolata pubblicata dai giornali esce uno spirito, «Satan himself», e con esso la dannazione eterna.

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Ripensando ai black midi del 2019, quelli del debutto, vengono in mente le chitarre distorte, l’improvvisazione e un certo tipo di noise rock infiocchettato con tempi math e progressive. Il primo singolo estratto, Welcome to Hell, per gran parte dei suoi quattro minuti ricalca tali caratteri senza rinunciare al divertimento, procurato dal dialogo tra piano e chitarra, e a quel senso di epicità alla John L conferito dagli ottoni.
Sono diversi gli inferni raccontati dal trio, anzi musicati è forse il termine più azzeccato: in questo caso è la guerra a bruciare nella coscienza del soldato Tristan Bongo. Il testo è scritto dalla prospettiva del suo comandante che, incurante delle sofferenze da stress post traumatico del suo sottoposto, cerca invano di convincerlo della bontà delle azioni belliche: «To die for your country does not win a war / To kill for your country is what wins a war».

Se la prospettiva del sesso non allenta il senso di colpa, né tantomeno alletta l’animo di Bongo, lo stesso non si può dire dei clienti piangenti del postribolo descritto in The Defence. L’atmosfera è romantica in maniera ossimorica e il canto a voce piena segna uno dei pochi momenti di rilassamento. L’arrangiamento orchestrale è una delle novità essenziali di questo nuovo album, molto più preponderante rispetto al secondo disco. Picton e Greep questa volta, infatti, si sono cimentati nella scrittura delle partiture, facendosi accompagnare da quelli che, dal 2021, sono diventati i turnisti fissi dei loro concerti: Kaidi Akinnibi al sassofono e Seth Evans alle tastiere, che siano esse synth o pianoforte. Il tutto è perfettamente coordinato dalla produzione tutta italiana di Marta Salogni. Il testo, cantato dal punto di vista del proprietario del bordello, è un copione teatrale con tanto di battute da stand up comedian:

My girls all destined for Hell
Or so says our priest
But find me a Christian
Who spends as much time on their knees

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La sperimentazione del trio non si ferma solamente all’ingresso di violini e fiati nei brani, il loro art rock prende spunto dalle esperienze più disparate, così come gli eventi dell’attualità convergono, estremizzati e resi assurdi da personaggi al limite, nei testi delle loro canzoni. Ecco che allora una delle prove migliori del disco è una traccia che unisce il flamenco al progressive rock e all’operetta. Eat Men Eat è uno dei rari casi in cui viene adottata la terza persona, al fine di rappresentare ogni punto di vista: quello dei due protagonisti che si ritrovano nei pressi di una miniera nell’ultima notte prima della fine dei lavori, quello dei minatori che cenano e festeggiano, ignari delle reali intenzioni del loro capo che li avvelena col cibo. È proprio quest’ultimo, con l’insulto omofobo rivolto ai due avventori nell’ultima strofa, a svelare una sfumatura morale inedita.

«You cannot underestimate an audience’s ability to come up with the naffest meaning possible»
In una recente intervista concessa a Jazz Monroe di Pitchfork, Geordie Greep, facendo riferimento alla scrittura, ha sottolineato la duplice natura dei propri testi: talvolta il significato va ricercato tra l’apparente nonsense delle parole, in altre occasioni è presuntuoso cercare di scovarlo a tutti i costi. Sì, perché quello dei black midi è a tutti gli effetti un universo letterario che si sta ampliando brano dopo brano, con continui rimandi e ritorni: l’Half Time che cita gli Orange Tree Boys, una band blues fittizia composta dai tre membri dei black midi “ufficialmente” morti in un incidente aereo, anticipa proprio la traccia più complicata e stravagante del disco. The Race is About to Begin è una continua metamorfosi musicale: la modulazione della voce di Geordie Greep che passa dal suo tipico tono acido, a uno più narrativo e sentimentale, fino alle urla rabbiose, contribuisce all’aurea teatrale che avvolge tutti brani. Tuttavia, la cosa che più colpisce è il lungo elenco di personaggi che partecipano a questa fantomatica corsa di cavalli, li ritroviamo tutti.

I riferimenti non sono solo intratestuali, ma riguardano tutta la discografia della band: vengono nominati la via «South Schlagenheim» e la città immaginaria di “Salafessien” descritta in Hogwash and Balderdash. Non è una conclusione ardita a questo punto considerare i due amanti di Eat Man Eat come gli stessi protagonisti della penultima traccia di Cavalcade, o far coincidere, almeno nella nostra testa, questa miniera con quella di Diamond Stuff.

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Hellfire è un album con pochissime pause, ogni traccia è il prosieguo della precedente, frutto anche della registrazione avvenuta durante un lungo periodo di isolamento della band a Londra. Le velocità insostenibili delle bacchette di Morgan Simpson, che certifica per l’ennesima volta di essere uno dei batteristi più rivoluzionari degli ultimi anni, le incursioni violente del sassofono e gli arpeggi claustrofobici di chitarra elettrica, danno ancora più valore all’unico pezzo soft del disco. Still colpisce per l’arpeggio e l’attitudine cantautorale, qualcosa che era stato solo sfiorato in passato, nella già citata Diamond Stuff, che però sfociava nella new wave psichedelica, o nella quasi acustica Marlene Dietrich. Il sentimento di malinconia, seppur ostacolato dai consueti ingressi degli ottoni che ricordano all’ascoltatore che si trova ancora sotto allo stesso tendone rosso fuoco, si riflette anche nel testo che parla di abbandono e attesa.

Demoniaco, ma anche filosofico e ironico, è l’ultimo personaggio che si incontra nel disco. 27 Questions comincia con degli accordi drammatici di pianoforte, vero protagonista della traccia: Freddie Frost dà inizio al suo spettacolo ergendosi da un sarcofago verde oro. Se la prima parte della canzone ed il finale rumoroso ricordano il progressive rock degli anni Settanta, King Crimson su tutti, nel momento in cui il protagonista inizia a volteggiare e a cantare, torna la teatralità.

Thank you for listening
I won’t be too long
Just twenty-seven questions to finish this song
Does there exist a marriage that can't survive castration?
A future where a man can go a year without hydration?
Is grass ever greener?
Is the will really free?

Gli strumenti seguono il ritmo della voce di Geordie Greep che recita a tutti gli effetti come in una commedia musicale d’altri tempi. Le domande assurde, e allo stesso tempo pungenti, completano la sezione satirica.

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I black midi non sono di certo sinonimo di immediatezza, sebbene siano repentine le sensazioni trasmesse dalle loro canzoni. In un mondo come quello rock, dove i cliché sono diventati oramai parte integrante del prodotto musicale, band complesse come il trio londinese rappresentano un’eccezione. (Piccola precisazione: complessità non vuol necessariamente dire qualità). I ruoli allora si capovolgono e nei cliché rischia di cadere chi scrive e commenta. C’è forse un luogo comune più diffuso de “il terzo album è la perfetta sintesi dei primi due lavori, il giusto mix tra punti di forza e sperimentalismo”? Eppure, questo disco è anche questo, ma non solo per fortuna.

Hellfire è sì, l’arrogante e rumorosa violenza improvvisativa di Schlagenheim unita al sincretismo musicale di Cavalcade, ma è anche un disco che brucia di vita propria. Un canzoniere la cui cornice è rappresentata dalla musica, una raccolta di fiabe nere rese cupe dalla realtà che vi penetra all’interno. Più si avvicinano al realismo, più aumentano gli elementi reali da cui attingono, maggiore è il senso di orrore.
Hellfire non è allo stesso tempo un disco da prendere troppo sul serio: lo fa capire la band stessa con una pizzicata di mandolino o un soffio di armonica messi lì all’improvviso, dove apparentemente non c’entrano nulla. I tre londinesi si divertono un mondo, viene quasi da storcere il naso in alcuni momenti, quando sembra che “giochino” a fare i black midi. Poi però, riflettendo un po’, si cambia subito idea e ci si ricorda quanto sia dannatamente complicato anche solo provare ad esserlo per gioco.

I black midi saranno in Italia quest'estate con tre date imperdibili, info su TicketOne:

29 luglio - Sei Festival, Corigliano d'Otranto

31 luglio - Sexto 'Nplugged, Sesto Al Reghena

01 agosto - Mojotic Festival, Sestri Levante