Cavalcade black midi
8.1

Il secondo album dei black midi è un disco incongruente. L’incoerenza si evince fin dal titolo, un neologismo ossimorico costituito dall’unione dei termini cavalry e parade che pone l'una di fianco all'altra, in un unico termine, velocità e staticità. Cavalcade si presenta come una sfilata al galoppo a un ritmo forsennato durante la quale sono previsti anche dei rallentamenti, data la duplice natura di cavalcata e parata, tuttavia essi non consentiranno comunque un’osservazione scrupolosa e dettagliata da parte degli avventori ai lati della strada.

I black midi tornano dopo oltre un anno di lavoro con un disco figlio di numerosi cambiamenti. La band si è trasformata in un trio dopo lo iato momentaneo per problemi di salute del chitarrista Kwasniewski-Kelvin, il quale ha tuttavia collaborato alla scrittura di alcune delle tracce, e ha scelto di cambiare produttore abbandonando Dan Carey e affidandosi a John “Spud” Murphy.  A far da cornice i disegni spaziali con protagonisti i tre, realizzati per promuovere il disco da Anthrox Studio, autore tra i suoi vari progetti delle illustrazioni di entrambi i Red Dead Redemption e dei Grand Theft Auto. Le immagini fumettistiche disorientano e mostrano la band in una veste nuova, solo apparentemente più leggera rispetto al passato.

Si rimane spiazzati appena inizia la prima traccia John L, dove L sta per il numero romano. Il numero dei componenti della band è diminuito ma il suono è più corposo e vario, arricchito dal sax, dal violino e da un pianoforte dissonante. Sono tre membri fantasma che hanno collaborato in fase di registrazione, due dei quali turnisti durante il tour del loro debutto Schlagenheim, divenuti a tutti gli effetti parte integrante della band anche se non accreditati tra i componenti ufficiali. L’ingresso di questi nuovi strumenti, presenti in tutte le tracce, conferisce colore al disco. Non è un caso che la copertina dell'album e il video musicale di questo primo singolo siano pervasi di arancione, rosso e blu. Un tumulto di colori, velocità e suoni.

L'inizio lascia presagire un costante ritmo alto come nel primo disco, ma con Marlene Dietrich tutto rallenta improvvisamente. La band londinese sembra aver scoperto la melodia, Geordie Greep canta in maniera chiara e l’atmosfera è quella di una canzone di Miles Davis. L’omaggio alla diva cinematografica della prima metà del Novecento, qui ritratta mentre si esibisce difronte a dei soldati tedeschi sulle note della sua celebre canzone del film L’angelo azzurro, è posto sullo stesso piano di quello del protagonista della traccia di apertura. Da un lato un predicatore che perde il controllo della folla ed è costretto a fronteggiare una ribellione, dall’altro una personalità che ha ormai perduto la propria forza ammaliante e ipnotizzante sul pubblico.

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L'allontanamento dai paradigmi stilistici del primo album è evidente in particolare nella narratività dei pezzi, ora liberi e slegati dal dadaismo lirico autoreferenziale del passato. Persino nella surreale Hogwash and Balderdash è possibile scovare una storia. Si può parlare di canzoni veri e proprie, ognuna descrizione e racconto di un personaggio. Anche qua però l’incongruenza incombe, la volontà narrativa non corrisponde totalmente all’atto pratico, come in Chondromalacia Patella. Il terzo brano, riprendendo il ritmo forsennato tipico della band, parla di un uomo che soffre di continui dolori al ginocchio attraverso un tono di voce sussurrato e spesso sovrastato dalla chitarra e dal basso. L'influenza dei Primus è qui una piacevole constatazione. Quello che potrebbe essere definito come il ritornello del brano è la sezione più chiara e melodica dei quasi cinque minuti, quella che lo rende uno dei più belli del disco.

Cavalcade è una parata di personalità sconfitte che attendono invano un riscatto. La maggior parte delle storie racconta di personaggi in bilico tra vita e morte, intrappolati in un malessere latente. Il protagonista della cinematografica Diamond Stuff sente di non essere più una persona ma un resto fossile. Posta al centro dell’album, questa traccia fa prendere una pausa all’instancabile batterista Morgan Simpson e rallenta la cavalcata offrendo all’ascoltatore un sound nuovo e inaspettato. La chitarra pizzicata ripetutamente, il violino e il sax trasmettono la sensazione di stasi ed immobilità che, a dispetto delle parole del protagonista, suona rilassante anche se profondamente tragica.

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I brani di Schlagenheim erano nati dalla registrazione di jam sessions ed erano quindi basati sull’improvvisazione e la ricerca di sonorità inconsuete. I black midi nel loro secondo lavoro intraprendono una nuova strada abbracciando delle strutture maggiormente definite, senza tuttavia rinunciare alla loro meticolosità. Slow è uno dei pezzi che in maniera palese unisce il vecchio mondo col nuovo, il math rock progressivo con l’avant-jazz.  Il bassista Cameron Picton, qui in grande spolvero (come in Hogwash and Balderdash), parla e canticchia lentamente su un tempo velocissimo. Morgan Simpson, come spesso accade, modula e compie peripezie con la batteria basandosi sul ritmo del basso mentre Geordie Greep fa sfoggio delle sue abilità chitarristiche con un riff intricatissimo al quale nel finale si accompagna il sax. La lentezza delle parole del testo che descrivono un’attesa interminabile per qualcosa che non è esplicitamente dichiarato, forse la morte, è in netto contrasto con la musica, così come la posizione della canzone all’interno della tracklist: la sequenza canzone veloce (John L) – canzone lenta (Marlene Dietrich) – canzone veloce (Chondromalacia Patella) si interrompe sul più bello, proprio con la traccia il cui titolo faceva immaginare un nuovo rallentamento.

And I wonder
Just how long it took
To get there, to get there
I guess I'll wait
How much longer? Any day
How much further must I wake?

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La qualità tecnica dei tre membri della band non è intaccata minimamente dall’abbandono dell’improvvisazione anzi, la definitezza della struttura le dona nuova linfa. Dethroned ne è un’altra dimostrazione, un brano che si regge sulla batteria e sul basso, con la chitarra di Geordie che suona persino degli accordi! L’inizio jazzistico trae in inganno l’ascoltatore, il sesto brano è il più del heavy disco e il fatto che segua nell’ordine il più compassato di tutti, Diamond Stuff, è l’ennesima incongruenza. La storia raccontata è anche in questo caso incentrata su un malessere ed un’insoddisfazione incolmabile: il protagonista, forse un nobile decaduto, perso tutto il proprio prestigio, intraprende un’infinita e fallimentare lotta personale di accettazione. La sconfitta, tuttavia, è talmente grave che lo porta a rifugiarsi nella negazione e nella dissociazione dal mondo reale.

Cavalcade oltre ad essere un disco disomogeneo è anche un disco sovraccarico. Tutto è estremamente drammatico, sia nelle canzoni più dinamiche e rumorose che in quelle più calme e melodiche come la lunga e conclusiva Ascending Fourths. Ogni singola nota suonata e persino le parole, benché a tratti indistinguibili, diventano cariche di epicità. L’effetto in questo caso è amplificato dalla presenza preponderante del violino e del sax che nel crescendo conclusivo regalano il più classico dei finali strumentali, la fine dell’opera e della cavalcata.

I black midi in questo secondo album si scoprono autori, non che prima non lo fossero, ma qua la scrittura e l’ordine degli elementi acquistano rilevanza. Le linee melodiche, praticamente assenti in passato, sono una delle novità più interessanti. Fourths Ascending sembra fare riferimento proprio a questo, le quarte ascendenti del titolo che tormentano il protagonista Mark sono gli intervalli che spesso introducono una frase melodica, generalmente donando un tono felice al brano.

A tal proposito è un vero peccato non avere incluso nella tracklist il lato b di John L, Despair, una delle più belle canzoni della band che avrebbe sicuramente meritato maggiore considerazione.

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Il secondo album dei black midi necessita di essere ascoltato per intero e più di una volta. L’ascoltatore deve prendere posto sul marciapiede e osservando la sfilata scorrere davanti ai suoi occhi potrà cogliere via via sempre di più i cambi di ritmo e gli improvvisi rallentamenti, che altro non sono che un tentativo dissimulato di prendere la rincorsa, finendo con l’apprezzare la variegata natura dello spettacolo. Un album che nella propria disomogeneità si affianca all’esordio degli Squid, Bright Green Field, anch’esso uscito in questo mese di maggio, ma soprattutto a quello dei loro “soci”, i Black Country, New Road.

Cavalcade è un bazar di colori, suoni e stili, complesso e grandioso nella drammaticità di ognuno dei suoi personaggi. Parlare di stile melodrammatico sarebbe eccessivo, molto spesso le parole sono al servizio della musica nonostante il loro scopo narrativo. L'opposto di quanto succedeva nella raccolta antologica The black midi Anthology Vol. 1: Tales of Suspense and Revenge pubblicata l’anno scorso in esclusiva su Bandcamp e nella quale venivano raccontate delle brevi storie con un sottofondo strumentale.

Se Schlagenheim era un disco coerente, uno stupefacente groviglio improvvisato di note in bianco e nero su sfondo verde, Cavalcade è un’opera a colori, un trambusto musicale che in soli otto brani attraversa tutto lo spettro dei generi che ispirano la band. I black midi appaiono ancora più indefinibili ed incasellabili rispetto al loro debutto, il loro non è un semplice post-rock, ma un post-all.

I black midi saranno live in Italia il prossimo 14 dicembre 2021 al Circolo Magnolia di Milano.