L’approccio nei confronti di questo disco è stato stravolto dalla notizia dell’abbandono dei Black Country, New Road del frontman Isaac Wood. Era inevitabile che fosse così secondo la versione del cantante che, a quanto pare, soffriva da molto tempo. La prima conseguenza scaturita da questo evento tragico, almeno per il sottoscritto che per tutta l’estate ha rincorso la band con il biglietto in mano, salvo poi doversi accontentare del rimborso, è stata appunto il cambiamento di prospettiva nell’ascolto: la ricerca di quel dettaglio esplicativo, di quel verso che si dimostri una prova della crisi è diventata prima inevitabile, poi insostenibile. Non bisogna cadere nel tranello e per fortuna viene in aiuto proprio il disco stesso che non lascia spazio ad alcuna speculazione.
Ants From Up There è un album vivo. La vitalità questa volta non è frutto di un’impronta live, evidente nel debutto, ma di una nuova costruzione dei brani: molti si avvicinano ad un pop che potremmo definire progressive, altri ricalcano gli stilemi del passato - passato per modo di dire dato che si sta parlando di meno di un anno fa - rendendoli più empatici e maestosi.
Una svolta nei suoni e nell’attitudine si era intravista fin da subito con la pubblicazione del primo singolo Chaos Space Marine. Il clima della traccia, la seconda dopo la breve intro il cui riff ritorna più volte nel corso dell’album, è semiserio. Una novità sconcertante se si ripensa alla drammaticità dei testi di For The First Time. La spensieratezza e la colorata confusione si percepiscono soprattutto a livello strumentale: il pianoforte, i violini e il sax occupano ogni silenzio. Il ritornello è ben circoscritto ed anche questo è sorprendente.
I Black Country, New Road non hanno mai nascosto la loro passione per il pop e per l’indie rock orchestrale alla Arcade Fire, la band a cui si ispirano maggiormente insieme agli Slint. Finora le consonanze più evidenti erano proprio con questi ultimi; invece, da oggi si può parlare d’altro. In Good Will Hunting la band di Londra gioca a fare proprio gli Arcade Fire: Isaac si lascia trasportare dalla musica, abbandona il suo caratteristico spoken e segue la melodia con la voce. Il gioco con le voci femminili di Georgia Ellery e Tyler Hyde ricorda quelli di Win Butler con Régine Chassagne. Il testo è giocoso nonostante parli di una delusione d’amore.
La difficoltà di mantenere una relazione amorosa è il filo rosso che collega quasi tutte le tracce del disco, ma questa volta il tema è affrontato senza ricorrere allo stile surreale di Science Fair. Il racconto è spesso metaforico e la metafora è il più delle volte collegata al cibo. Bread Song spiega l’influenza che un partner esercita sull’altro con le molliche di pane nel letto, geniale. Il narratore cerca invano di recuperare il rapporto per telefono, da ciò l’atmosfera dimessa che pervade il brano per tutti i sei minuti. La band ha raccontato come questa canzone sia stata influenzata da Music for 18 Musicians di Steve Reich, la durata delle battute è dettata dal sax a cui poi si accodano tutti gli altri strumenti. Lo stile minimale viene meno nel finale con un leggero crescendo istigato dall’ingresso della batteria e dall’arpeggio agrodolce della chitarra elettrica che dialoga con il violino.
Sempre alla cucina fa riferimento The Place Where He Inserted the Blade: il protagonista sta guardando una trasmissione di cucina e perdendosi delle istruzioni brucia il piatto che sta preparando. Questo accade nel ritornello, una spiegazione della sua difficoltà nel gestire il rapporto amoroso. I sette minuti iniziano con piano e sax, la melodia cantata dalla voce di Isaac Wood è sofferta anche nel ritornello, più ritmato, dove subentrano i cori. La band l’ha definita un omaggio a Bob Dylan oltre che il cuore centrale dell’intero disco, infatti qua c’è tutto: la partenza soffusa, la drammaticità, il crescendo orchestrale e il riferimento meta testuale alla vita da cantante.
Show me the fifth or the cadence you want me to play
Good morning
Show me where to tie the other end of this chain
L’emotività è l’altro grande punto esclamativo dell’album, non solo attraverso i testi, come già visto, ma per mezzo della musica. L’ascolto è molto più immediato rispetto all’esordio perché le melodie sono chiare, i suoni puliti, le influenze più accessibili. Questo non sottintende una qualità minore, né tantomeno banalità. I due pezzi più emotivi sono distanti tra loro, uno è solo strumentale e si trova a metà del disco: Mark’s Theme è scritto in ricordo dello zio di Lewis Evan morto di Covid. Impossibile non emozionarsi all’ingresso del piano, quando il suono del sax diventa un pianto malinconico.
Concorde è il brano del disco, l’unione perfetta di ciò che sono stati i Black Country, New Road dai loro inizi al Windmill fino a quando sono approdati all’isola di Wight per registrare Ants From Up There. Il Concorde è un aereo veloce che compare tra i vari oggetti in copertina e che rappresenta l’amore irraggiungibile: «But, for less than a moment / We'd share the same sky / And then Isaac will suffer / Concorde will fly». Il frontman mette se stesso al centro della storia rendendo universale la sofferenza personale. Il finale epico è speranzoso come gli ultimi due versi dove il frontman ritrova la forza che aveva da bambino.
And I'll come to like a child
Concorde and I die free this time
Tra gli oggetti nel sacchetto di plastica che compare nella cover del disco ci sono anche gli Snow Globes: scritta prima della pubblicazione del debut è caratterizzata da una scrittura che avanza per immagini, la situazione del protagonista posta sullo stesso piano della relazione tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Un post-punk inusuale che mescola gli Interpol con il carattere acustico orchestrale della band, fino a che non entra la batteria che, velocissima, segue un suo tempo. La drammaticità raggiunge quindi il proprio apice, per poi scemare con i violini nella conclusione che si ricollega all’inizio. Una composizione ad anello, come avveniva spesso nel primo disco.
Tra le canzoni non totalmente inedite ci sono Haldern e Basketball Shoes. La prima deve il suo titolo all’Haldern Pop Festival dove è stata suonata per la prima volta. È un omaggio all’improvvisazione che spesso accompagna i live della band e che la accomuna agli associati black midi, probabilmente il pezzo più orchestrale. Interessante il fraseggiare continuo del sax, quasi disturbante, che nel finale dialoga con il pianoforte.
Basketball Shoes è insieme a Concorde un’altra vetta del disco. La conclusione perfetta, una chiusura del cerchio se col senno del poi si considera l’abbandono di Isaac. Il pezzo più lungo, dodici minuti, ma anche il più amato dai fan della prima ora: infatti è un must delle loro scalette. La canzone è divisa in tre parti: la prima è un resoconto della situazione del protagonista, forse Isaac, dopo la sofferenza amorosa. Impossibile non trovare delle assonanze col suo post d’addio:
We're all working on ourselves
And we're praying that the rest don't mind how much we've changed
So if you see me looking strange with a fresh style
I'm still not feeling that great
La seconda parte è strumentale, quasi una colonna sonora, che si stoppa all’improvviso con un arpeggio di elettrica. Nel finale prendono il sopravvento per la prima volta le chitarre, è la sezione più punk rock del disco. Tuttavia, il brano continua ad evolversi al pari della narrazione, subentrano tutti gli strumenti nell’esplosione più avvincente. La voce di Isaac raggiunge il suo massimo livello di estensione, ma non si spezza come avveniva in Sunglasses o Opus.
Ants From Up There mette in risalto una nuova sfaccettatura della band londinese. La semplicità, ma soprattutto l’immediatezza emotiva e musicale rendono il disco piacevole fin dal primo ascolto. La tendenza improvvisativa rimane solo in alcune tracce, guarda caso quelle scritte prima dell’album d’esordio. Le influenze sono più facili da intuire, il klezmer è sostituito da un suono orchestrale non meno ricercato. I veri attori stavolta sono il sax, come in passato, e il pianoforte che tanto poco spazio aveva invece avuto nel debutto. I testi sono l’altra colonna portante, Isaac Wood scrive e racconta ciò che vive e sente senza più girarci troppo intorno: quando le parole non bastano, la metafora è scelta con cura estrema e colpisce senza esitazione chi ascolta.
I Black Country, New Road si confermano una band impavida e sprezzante del pericolo. Spavalda a tal punto da stravolgere i piani ancora una volta, abbracciando la varietà e dando vita ad un pop rock progressivo e sofisticato, senza perdere la sua impronta. L’andirivieni, tra rallentamenti soft e crescendo trionfali, genera empatia con l’ascoltatore dalla prima all’ultima traccia. Si è condotti per mano in un lungo corridoio tappezzato di quadri alle pareti: talvolta si corre a perdifiato, in altri momenti si rallenta e ci si gode la vista delle immagini.
La band ha assicurato che proseguirà anche senza il suo frontman, la speranza è che il favoloso percorso iniziato in questi ultimi due anni non si fermi proprio sul più bello.