«Prima o poi voglio comprarmi quel pedale per la chitarra di cui ti dicevo, ma devo chiedere a mio fratello, lui ne capisce di più. Sai, non vorrei rischiare di prendere una fregatura». Non capita spesso di ascoltare dialoghi di questo tipo tra il pubblico che attende l’inizio di un concerto. All’apertura di Unaltrofestival, invece, non si sentiva parlare d’altro. È questo forse l’aspetto più affascinante e straordinario dei concerti dei Fontaines D.C.: la varietà degli spettatori, accomunati solo dalla passione per le chitarre e per quel mood nostalgico e strafottente che Grian Chatten e compagni portano sul palco. È divertente giocare ad indovinare con le t-shirt indossate dai fan: non solo c’è chi sfoggia il merch della band irlandese, pochi in realtà, ma si vede di tutto. Radiohead, Dinosaur Jr, Marlene Kuntz e la maglietta di Unknown Pleasures dei Joy Division, di gran lunga la più indossata.
Il concerto dei Fontaines D.C. è un live senza sosta che non lascia spazio ad altro che non sia la musica. Grian si agita, batte l’asta del microfono, a tratti ricorda tremendamente Ian Curtis e riesce a stabilire un dialogo profondo col pubblico solo camminando nevroticamente e muovendo le braccia. Si inizia con A Lucid Dream, quando la pioggia ha letteralmente cambiato direzione, risparmiando il pubblico già fin troppo bagnato durante l’attesa.
La scaletta esplora i tre album della band, privilegiando come prevedibile Skinty Fia: la title track è una delle prove migliori insieme a I Love You, gran finale durante il quale la velocità delle parole enfatizza l’amore e l’odio della band per la patria irlandese. L’anima malinconica fa sempre da contorno, nonostante siano mancati dalla setlist alcuni dei pezzi più emotivi. Anche nel corso delle canzoni più scatenate, come Too Real e A Hero’s Death, il sentimento bluastro tipico della band traspare e gela il sangue. I cinque non sbagliano un colpo e si fermano solo per permettere i soccorsi ad una fan sfortunata che si è slogata la caviglia nel corso del pogo implacabile.
È stato ribadito milioni di volte come la band porti con sé Dublino e tutte le contraddizioni del suo Paese d’origine, ma è riduttivo fare riferimento solo a questo aspetto. Ad un loro live ci sono sedicenni, ventenni, cinquantenni e si incontrano famiglie intere con padri, madri e figli che si fanno un selfie prima dell’inizio e che si fermano al termine per farsi autografare il disco dal chitarrista Carlos O’ Connell. Un concerto dei Fontaines D.C. è un tuffo in un mondo passato che negli ultimi anni è tornato presente, ancora di più ora che sono ricominciati i concerti per come ce li ricordavamo con nostalgia nel 2020. Un mondo che riavvicina generazioni distanti tra loro.
E questo è solo uno dei tanti motivi per cui siamo tornati a vederli dal vivo.