Nuotare lentamente con gli Slowdive all'Alcatraz di Milano è stata una delle esperienze più belle di quest'anno, fino ad adesso. Un'esperienza condivisa con un numero sold-out di gente accalcata, arrampicata e appollaiata dovunque nel club meneghino. Un concerto che mi ha travolto così tanto da essere risucchiato dolcemente nel mondo e nel ventre profondo di un gruppo che con soli 5 album ha fatto la storia dello shoegaze britannico.
Il palco è semplice, quanto la presenza su di esso da parte dei componenti della band. Non c'è voglia di fare uno show, non c'è voglia di mostrare qualcosa oltre la propria musica. L'obiettivo principale, infatti, è quello di far immergere i presenti nel grande mare del gruppo inglese per nuotare per un'ora e mezza tra vecchie e nuove onde. Le ultime, altissime e bellissime, di Everything Is Alive.
La scaletta accontenta tutti, dal primo all'ultimo. Ed è un parterre molto variegato: da chi usa le cover a portafoglio per i propri smartphone fino ai pischelli accompagnati dai genitori. Eppure ogni singola traccia viene anticipata da un boato gigantesco, come se questa band non fosse mai nata alla fine degli anni ottanta ma l'altro ieri. E poi il silenzio. Sì, perché durante brani come Catch The Breeze, Souvlaki Space Station o Sugar For The Pill l'atteggiamento è di rigoroso silenzio in adorazione.
Non si vuole andare via, non si vuole ascoltare altro che loro. E anche quando una persona si sente male, e Rachel Goswell interrompe per la seconda volta kisses: chi se ne frega se dobbiamo risentirla una terza (e magari anche una quarta, quinta, sesta...): basta che la fate, anche a ripetizione. Non ce ne frega niente.
Non si vuole andare via, si vuole solo restare. Si vuole rimanere perché si è ammaliati da quel proiettore che butta su un semplice telo dei visuals minimalisti ma che ti catturano fin dal primo istante. Pure le torrette a LED fanno il loro semplice, ma efficace, effetto sugli occhi degli spettatori. È quindi un do ut des che funziona alla perfezione: il pubblico dà alla band la sua presenza, il suo cieco amore e in cambio tutti vengono presi dolcemente e cullati verso nuovi orizzonti che mai pensavano di esplorare.
La resa live, quindi, va oltre la semplice bravura tecnica. Gli album in studio sono sicuramente perfetti, prodotti come Dio comanda fino all'ultimo dettaglio. Ma dal vivo... diamine. Dal vivo è tutta un'altra cosa. Prendono non solo vita, si sviluppano ed evolvono diventando qualcosa di veramente gigantesco. Questo è frutto non solo della grandezza, appunto, di questi brani ma soprattutto conseguenza dell'abilità di chi li ha composti e poi eseguiti sul palco.
40 Days, StarRoving o Alison sono solo alcuni esempi che testimoniano questa infinita saggezza musicale e strumentale. Per questo, forse forse, gli Slowdive sono mille volte meglio dal vivo. Perché come i loro live, dopo tutti questi anni, ce ne sono veramente pochi.
Nuotare dolcemente con gli Slowdive all'Alcatraz di Milano, o in qualsiasi altra venue nel mondo, è veramente un'esperienza che non bisogna perdere. E, possibilmente, che andrebbe ripetuta all'infinito. Pena non stancarsi mai.
Di seguito le foto del nostro Renato Anelli: