Cantautore, produttore, rapper, direttore artistico e, insomma, tuttofare, Stromae è l'artista belga più famoso al mondo ed è finalmente tornato dopo ben 9 anni dall'ultimo e fortunatissimo disco Racine Carrée, che aveva superato i 4 milioni di copie vendute.
La sua lunga assenza, dovuta a seri problemi di salute, sia fisici che mentali, aveva fatto preoccupare i fan e col nuovo disco l'artista sembra voler spiegare, in parte, che cosa ha passato in questi anni. Il suo trascorso difficile è stato d'ispirazione per tornare all'opera su nuovi brani, portandolo a scrivere di una Multitude che, come lui, ha sofferto o sta soffrendo e a cui vuole dimostrare tutta la sua empatia e solidarietà: chi soffre di depressione e pensieri suicidi, malati terminali, donne sofferenti e maltrattate, sex workers, gli invisibili, gli abbandonati.
Rimasta incantata dal disco, non mi sono fatta sfuggire l'occasione di vederlo finalmente dal vivo all'Ippodromo Snai di Milano per la sua unica data italiana del 2022 per il Milano Summer Festival. Il concerto inizia con un breve filmato: un cartone che raffigura proprio un avatar di Stromae alle prese con robot e computer, e che farà da fil rouge durante la serata. Gli schermi si spengono improvvisamente, le prime note si fanno spazio tra il silenzio quasi religioso del pubblico milanese. E poi nel buio finalmente si intravede anche lui, Paul Van Haver, il maestro. La prima cosa che colpisce è la sua voce potente e malinconica, che rapisce tutti i presenti fin dalle prime note di Invaincu. Subito dopo l'attenzione viene calamitata dalla scenografia, che cambia con ogni brano in un continuo alternarsi di props e schermi, che si muovono e ruotano sopra il palco attraverso dei bracci robotici, rendendo lo spettacolo molto teatrale.
Stromae saluta il pubblico, chiede in che lingua deve parlare fra una canzone e l'altra (in inglese o in francese), optando alla fine per un 50-50 molto neutrale. Si prosegue con una carrellata di canzoni energiche, molto pop, ballabili, allegre: Fils De Joie, il grande classico Tous Les Mêmes, Mon Amour. Ma attenzione: questa leggerezza delle melodie è solo apparenza, e chi conosce Stromae lo sa bene. Uno dei suoi più grandi talenti è la sua capacità di scrittura, con la quale riesce a descrivere il dolore e la vita nella sua complessità e nei suoi aspetti più cupi in modo incredibilmente sensibile, ironico, raffinato, delicato, brutale e al tempo stesso allegro. Il tutto, come suo solito, cantato su melodie elettroniche con moltissime influenze multietniche, dalla cumbia all'afro-beat. Il pubblico è rapito, Stromae lo sa molto bene, e ci interagisce di continuo: molti spezzoni dei suoi brani li fa cantare direttamente alla folla adorante (che conosce a memoria tutti i testi in francese), mentre durante altri brani più intensi e drammatici, come Quand C'est e L'Enfer, il pubblico lo segue nel silenzio più totale. Dopo la famosissima Alors On Danse, decide di chiudere il concerto con un ultimo regalo, una seconda versione a capella di Mon Amour.
Insomma, nonostante siano passati tanti anni non ci sono dubbi: Stromae conferma di essere ancora una volta il maestro a cui fa riferimento il suo nome d'arte, e non vediamo l'ora di risentirlo dal vivo l'anno prossimo a Roma.
Di seguito alcune mie foto del concerto!