12 novembre 2022

I Moderat all'Alcatraz ci hanno fatto tornare in fissa con la cassa dritta

Gli elementi per uno show di elettronica perfetto ci sono tutti: un maxi ledwall a fare da sfondo, appena più avanti una riga di luci piantate a terra, un paio di colonnine con dei faretti ai lati del proscenio. Al centro una pedana nera con tre postazioni dai tanti bottoni e spie lampeggianti in attesa di dar spettacolo. Per riuscire a stipare l'Alcatraz per due serate consecutive a pochi giorni di distanza dall'evento che per definizione celebra questo genere, il Club To Club, vuol dire che l'occasione è importante: infatti si tratta del grande ritorno a Milano dei Moderat, il trio berlinese nato dalla fusione delle menti di Apparat e Modeselektor, dopo le esibizioni di quest'estate a Roma e al Viva! Festival in Puglia per l'uscita del loro nuovo album More D4ta.

Francamente, se si pensa a Berlino e alla techno le prime cose che vengono in mente sono gli occhiali da sole, le ore piccole e i soggetti più improbabili tra il pubblico. Invece, la marea di persone che ha invaso l'Alcatraz è piuttosto varia, si va dalla ragazza con il caschetto nero e gli occhiali anni '90, all'hipster con la barba, passando per il brizzolato di mezza età. Alle 21.15 vengono immersi nel buio e sorpresi da accecanti flash di luce bianca che danno il via ad un concerto che terrà i nostri occhi incollati al palco per quasi due ore.

Gernot e Sebastian compaiono rispettivamente sul lato destro e sinistro del palco, mentre Apparat decide di partire presentandosi al centro, di fronte all'asta del microfono. Lo show parte tranquillo, quasi in sordina, con Reminder: la voce soave, pulita e pacata di Sasha si mescola ad un beat dal sapore tribale e notturno, con un buon numero di BPM ma sofisticato ed elegante. Ci vuole A New Error, il cavallo di battaglia del gruppo, arrivato mezz'ora dopo l'inizio, per accendere la miccia. Allo scoccare di quelle prime riconoscibilissime note si alzano centinaia di mani, tra quelle che tengono strette un telefono per immortalare il momento e quelle che libere tengono il ritmo. Il brano arriva con un'onda d'urto potente, i bassi sono talmente incalzanti e travolgenti che non si può fare altro che arrendersi al suono, i Moderat circondati da una gabbia di luci bianche buttano giù l'Alcatraz. La parte centrale del set, si mantiene sulla stessa lunghezza d'onda ed è impossibile non sciogliere le spalle seguendo il flow e non battere le dita a tempo con gli occhi pieni di visual ipnotici e digitali: si va dalle figure composte interamente da numeri, alle scritte colorate che si alternano sempre più vorticosamente, ai codici dell'era internet.

La performance è un susseguirsi di momenti più eterei e tranquilli, dove riprendere fiato, e momenti pregni e potenti, in cui il suono arriva all'ascoltatore con la forza di un pugno in faccia; in ciò che arriva all'occhio e all'orecchio del pubblico si alternano costantemente luce e oscurità. E così arriviamo alla fine con le gambe doloranti e una certa leggerezza nella mente: si sa, i concerti di elettronica sono sempre un ottimo modo per sfogarsi, ma al vero termine mancano in realtà ancora 3 pezzi. Per l'encore i tre ritornano sul palco con un bagliore fioco, si intravede poco più del rosso vivo di una sigaretta che si è appena accesso Sebastian, e in pochi attimi danno il via a Milk, un lungo concentrato sonoro in cui di fianco alle drum machine troviamo la chitarra elettrica, fusi in un unico travolgente sound emblema dei Moderat, nome che deriva proprio dalla fusione di quelli dei propri componenti. Si chiude con un classicone, Bad Kindgdom, seguito da Intruder, che ci fanno ballare per l'ultima volta. Alla fine siamo stanchi, le orecchie fischiano, ma siamo felici perché per due ore la musica elettronica con la sua magia è riuscita di nuovo a rapirci completamente e a farci dimenticare per un seppur breve lasso di tempo di tutto ciò che non fosse quell'istante.