Fino a un’ora prima del concerto dei Jungle all'Alcatraz, su Milano si sono rovesciate tonnellate di cascate d’acqua, i miei Dr. Martens affondano nelle pozzanghere che in alcuni punti arrivano a coprire metà strada, segno che finalmente è arrivato il buon caro brutto tempo autunnale. Mettendo piede all’Alcatraz però si viene catapultati in un universo parallelo dove la media dei gradi si attesta tra i 25 e i 30 gradi, la luce ha dei riverberi rossastri e dorati, tipici del tramonto, e senti l'impellente bisogno di stringere tra le mani un cocktail rosa con un ombrellino colorato. Sfortunatamente questi elementi rimarranno per tutta la serata solo nella mia testa, ma l'enorme tenda rossa che accoglie il pubblico coprendo interamente il palco e su cui campeggia il logo dei Jungle (abbellito proprio da quell'elemento esotico che è la palma) sicuramente dà quel leggero brio di trovarci al Club Tropicana.

Dopo una breve intro musicale, cala di colpo il sipario, e il duo di producer entra in scena alle 21.15. A fare loro compagnia ai lati sono posizionati altri 4 musicisti: percussioni, tastiere, chitarre e alcuni fiati vengono tutti suonati dal vivo, in analogico, come direbbe qualcuno, mentre Josh e Tom, oltre a dare voce ad alcune canzoni, sono intenti a sbizzarrirsi e a dare il tempo con le molteplici manopole e tasti delle loro consolle e dei loro synth. Sopra di loro si accende una grossa scritta arancione che illuminerà tutto il concerto e ci aiuterà ad immergerci in un'atmosfera estiva e losangelina, tratto distintivo del gruppo. I motori vengono scaldati con una manciata di pezzi del nuovo album, Volcano, uscito ad agosto: Us Against The World, Candle Flames e Dominoes. Fin dal primo minuto la gente attorno a me sembra presa benissimo: sono circondata da numerosi ragazzi venuti da altri paesi per assistere al live e muovere braccia e spalla a ritmo di groove. Vicino a me ci sono tre ragazzi talmente presi bene che imbracciato il vinile dell'ultimo disco e, inforcati gli immancabili occhiali da sole, chiedono ai loro vicini di fargli una serie di foto con tanto di flash mentre sullo sfondo scorrono pezzoni come The Heat, Happy Man e Casio.
L'intero concerto viene impostato come un live d'elettronica, genere in cui affondano le radici dei Jungle. Alle spalle dei musicisti campeggia il classico grosso ledwall dove si alternano coreografia minimali: linee, semicerchi che richiamano la forma di un sole che tramonta, rettangoli. Non è un caso poi che la maggior parte dei brani, ad eccezione di due, tre piccole pause e dell'encore, vengano completamente mixati e agganciati l'uno all'altro. Ma questo non è il sound elettronico minimale e "schematico" a cui siamo abituati e che abbiamo già sentito dal vivo con i Moderat e Caribou. L'elemento che rende unici, particolari e tremendamente cool i Jungle è il fatto che prendano ispirazione dagli albori della disco music. Tra pezzi nuovi e vecchi cavalli di battaglia, il filo conduttore rimane quel sound glamour e vellutato caratteristico degli anni '70. I BPM aumentano solo verso il finale con Holding On, traccia di Volcano che potrebbe far intendere una nuova, interessante svolta, più acida, nella carriera del duo.
Durante le 20 canzoni che si succedono instancabilmente non viene l'impulso di gettarsi nella mischia o muoversi come degli ossessi. I Jungle portano tutti a battere ciclicamente le mani a tempo, a dondolare su se stessi e a cimentarsi in delle mossette composte, ma che fanno ben intendere il buon umore.
Si chiude con due tra i più celebri brani del duo, Keep Moving e Busy Earnin' dove incitano il pubblico per l'ultima volta a fare un po' di casino. Cantando "Too busy earnin', you can't get enough" mi lascio alle spalle ancora per poco il maltempo e il tran tran milanese. Chiudendo gli occhi sembra quasi di vedere sotto i piedi uno di quei vecchi dancefloor con i quadrettoni di luce colorata, dove svolazzano pantaloni ampissimi e larghe camice in seta dai colori improbabili. È come stare nella California ricca e modaiola descritta da qualche celebre romanziere americano: alla guida di una decappottabile e nel taschino un paio di Wayfarer neri. Non ci sono altri pensieri se non le note della musica che accompagnano il pubblico e che fanno da colonna sonora per la serata. La pioggia di inizio serata è solo un lontano ricordo.
Qui sotto trovate gli scatti della serata del nostro Renato Anelli.