Il ritorno dei Libertines in Italia di ieri sera ha confermato ancora una volta quanto il quartetto di Londra, capitanato da Pete Doherty e Carl Barât, sia più di una semplice band indie-rock. La loro storia travagliata (di cui vi abbiamo parlato qui), fatta di incontri, dischi, successi, droghe, esclusioni, altre droghe, progetti paralleli, rehab, ricongiungimenti e poi scioglimenti, è molto simile a quella dei poeti dell'Ottocento. Del resto, sarei ipocrita se non dicessi che non pensavo che avrei potuto vederli dal vivo a vent'anni di distanza da quell'esordio incredibile che è stato Up the Bracket. Nella mia mente, le probabilità che Pete Doherty facesse una fine da poeta dissoluto, morto da solo e in povertà, schiavo delle proprie dipendenze, era troppo alta.
Ma per fortuna mi sbagliavo. Ed il concerto di ieri è stato un gigantesco dito medio a tutti i demoni che la band ha dovuto affrontare in questi vent'anni. Poco dopo le 21, si spengono le luci, e dietro al palco si dispiega una mega cover dell'album d'esordio della band. Tutti gli occhi, com'è naturale che sia, sono puntati su Pete Doherty, vestito con una tuta del Venezia F.C., e Carl Barât in giacca di pelle e coppola (a una certa rimarrà solo in canotta, bretelle e coppola, da vero tamarro d'altri tempi).
Nella prima parte del set suonano tutto Up the Bracket dall'inizio alla fine. L'Alcatraz è gremito, le prime file una bolgia. Gente che salta, che vola, birre lanciate e la cosa più Libertines che si possa vedere: qualcuno che passa il concerto a sventolare delle rose rosse. Death on the Stairs, Time for Heroes, Up the Bracket e I Get Along sono sicuramente fra i momenti più attesi.
L'alchimia fra Doherty e Barât sembra non essersene mai andata. I due sono affiatati, condividono spesso il microfono e ogni tanto, fra un pezzo e l'altro, giocano fra loro come due ragazzini. Il bassista John Hassall invece se ne sta più in disparte, sornione, mentre Gary Powell trascina il beat dall'alto della sua batteria. Ad un certo punto gli portano sul palco una torta per festeggiare il suo compleanno.
Nella seconda parte del set viene dato spazio agli altri classici: You're My Waterloo emoziona con tutti i presenti che cantano all'unisono. Non mancano neanche What Katie Did e The Delaney. Ormai siamo quasi a fine serata, c'è tempo per il gran finale con What Became of the Likely Lads, Can't Stand Me Now e Don't Look Back Into the Sun. L'Alcatraz è un oceano di pogo e sudore, con Doherty che lancia pure tutta l'asta del microfono (!) sulla folla. La degna conclusione di un concerto a cui molti avrebbero pensato di non poter mai assistere.