I Muse sono una di quelle band che dal vivo continuano a lasciare chiunque a bocca aperta. Ieri a San Siro hanno confermato di essere ancora in grado di dare le basi a tutte le band là fuori, nonostante gli ultimi album pubblicati non siano all’altezza dei loro stessi standard: nessuno ad esempio ha sentito la mancanza dei brani di Simulation Theory esclusi dalla scaletta (hanno proposto solo Thought Contagion e una versione strumentale di The Dark Side), e il discorso si potrebbe benissimo estendere anche agli altri dischi recenti, ultimo incluso.
Eppure, dal vivo Matt Bellamy e soci riescono a farti piacere anche i pezzi che fino a poco prima magari avevi schifato, come i più recenti Will of the People e Won’t Stand Down. La spiegazione è semplice: i Muse dal vivo spaccano, punto. E nonostante siano arrivati pericolosamente vicini alla soglia dei 50 anni (ne hanno 45), non si notano particolari cali di energia.
La serata si apre con i giapponesi One Ok Rock, seguiti dai Royal Blood. Su questi ultimi niente da dire, se non che ad anni di distanza dal loro esordio, confermano dal vivo di essere il duo più figo al mondo. Il cantante/bassista Mike Kerr e il batterista Ben Thatcher suonano come se fossero in 5: il loro sound è mastodontico, e i loro pezzi sono il perfetto antipasto prima che salgano sul palco i Muse.
Sono da poco passate le 21.15 quando le luci si spengono e sul palco prende fuoco la scenografia: WOP, le tre iniziali del nuovo album Will of The People, vengono divorate dalle fiamme mentre la band attacca con la traccia omonima, facendo saltare tutto il parterre in un blocco unico. L’audio a volte purtroppo lascia a desiderare, e in alcuni settori addirittura la voce di Bellamy risulta sovrastata dai bassi, quasi impercettibile: che San Siro non sia stato costruito per suonarci dentro non è certo una novità. Bellamy corre mentre schitarra lungo la pedana che collega il palco principale al centrocampo, Chris Wolstenholme e Dom Howard sono invece i metronomi che contribuiscono a tenere in piedi il sound del trio.
A San Siro ci sono più di 60 mila persone, venute per assistere all’ultima data del tour europeo della band, che la scorsa settimana aveva fatto tappa allo Stadio Olimpico di Roma. Sono passati 13 anni dal loro esordio nella Scala del Calcio e all’epoca erano in tour per The Resistance. I loro show avevano una grandiosità nella produzione (con tanto di ufo da cui si calava una ballerina che iniziava a volteggiare sugli spettatori) che sarebbe stata solamente superata dai successivi tour di The 2nd Law e Simulation Theory, con fiammate, giochi di laser, attori sul palco e quant’altro. Senza dimenticare ovviamente il tour di Drones nei palazzetti, con intere coreografie realizzate da droni che volavano sul pubblico. Insomma, mica pizza e fichi!
Ma cosa c’entra tutto questo con ieri sera, direte voi? C'entra, perché per la prima volta da 13 anni e questa parte sembra che i Muse abbiano voluto tornare a una produzione meno imponente, fatta “solo” (si fa per dire) di fiammate, stelle filanti, coriandoli e una gigantesca testa mascherata dietro ai tre che durante il corso dello show mutava fino a diventare un Minotauro (o mostro satanico, fate voi) gigante con tanto di mani e braccia che spuntavano lungo i lati dello palco, sotto ai megaschermi. Il concept del nuovo album del resto è quello: realtà distopiche, rivoluzioni, complotti. Niente di particolarmente nuovo rispetto alle realtà Orwelliane tanto amate e cantate da Bellamy da ormai più di 15 anni anni.
Il frontman inglese sembra essere sempre in forma: deve ancora arrivare il giorno in cui lo sentirò steccare una nota. E anche il suo falsetto è immacolato, come dimostrerà nel finale di Plug In Baby. Sono proprio i grandi classici della band quelli capaci di emozionare e fare tremare tutto lo stadio: Hysteria, Time Is Running Out, Supermassive Black Hole e Uprising fanno impazzire la folla. La voce di Bellamy è divina, la sua capacità chitarrista impeccabile come sempre. Ma come detto, dal vivo anche le nuove canzoni funzionano: We Are Fucking Fucked e Kill or Be Killed ti scuotono le viscere con i loro riff travolgenti. L’altro grande momento capace di far esplodere San Siro in una bolgia è sicuramente la sopracitata Plug In Baby. Ed è davvero un peccato che sia l'unico estratto suonato tratto da quel capolavoro di album che è Origin of Symmetry.
Ovviamente non mancano i momenti più pop, come ad esempio durante Verona (con lo stadio che si illumina dalle torce dei cellulari degli spettatori) Undisclosed Desires, ma soprattuto Madness e Starlight, che i 60 mila spettatori cantano all'unisono, mentre Bellamy corre su e giù per la pedana aizzando la folla. La vera chicca della serata è senza dubbio Map of The Problematique: basterebbe sentire solo quella dal vivo per uscire felici dal concerto.
Come da tradizione, la band chiude sempre con l’omaggio a Morricone con la cover della sua The Man with the Harmonica, prima di attaccare con Knights of Cydonia. “You and I must for fight for our rights / You and I must fight to survive” canta Bellamy, mandando in estasi tutti prima dell’esplosione del riff finale. I Muse vengono a centrocampo a prendersi gli applausi e a ringraziare la folla. Passano gli anni, ma dal vivo non hanno rivali. Ieri sera l’hanno ribadito per l’ennesima volta. Dopotutto, è dal 2010 che a San Siro sono di casa.
Qui sotto trovate la fotogallery di Maria Laura Arturi: