Viviamo in un’epoca in cui la musica è dominata dalle parole e dai suoni elettronici, dove piano piano si va rinunciando sempre di più a chitarre e batteria. Ovunque è facile imbattersi in descrizioni dettagliate di come, tra i vari generi musicali, quello più in crisi sia il rock, intrappolato nei propri cliché e nei principi che un tempo ne rappresentavano lo spirito libero e che, invece, oggi ne costituiscono il limite e la prigione. Sì, come i puristi dell’hip pop esistono i puristi del rock. Tuttavia, c’è un sottogenere che per natura ha sempre lottato per abbattere barriere e preconcetti, il punk. Naturalmente inteso in tutte le sue declinazioni, post-punk, hardcore, pop punk, emo e via dicendo. Da circa un decennio sta avvenendo una vera e propria rinascita del genere e il motivo principale per cui proprio il punk sia una delle pochissime sfaccettature del rock ancora rilevanti e fiorenti, risiede nella sua peculiarità essenziale: l’inclusività.
L’inclusione ne costituisce la forza e la scintilla che lo tiene ancora in vita e la si ritrova in due aspetti: la musica e l’ambiente sociale. Il punk è stato fin dalle origini uno dei laboratori sperimentali prediletti del rock, dove era possibile mescolare l’elettronica al suono ruvido delle chitarre, dove si era effettivamente liberi di cantare, parlare, urlare e suonare come si voleva. Oggi come in passato è soprattutto nel post-punk che si assiste alla maggiore commistione di generi, uno sperimentalismo che unisce tendenze musicali disparate, dal math rock, al folk fino alla sempre più comune commistione col jazz. L’altro aspetto prima anticipato è l’inclusione sociale. Nell’ambito della musica punk si è cominciato ad abbattere i pregiudizi maschilisti che vedevano l’uomo come l’unico in grado di fare un certo tipo di musica, da Patti Smith si è arrivati fino a Phoebe Bridges. Caroline Coon, artista e giornalista inglese, ha descritto il punk come uno dei pochi generi del quale sarebbe possibile raccontare la storia facendo solamente riferimento a band femminili:
It would be possible to write the whole history of punk music without mentioning any male bands at all
Nel punk si è dato per la prima volta uno spazio importante a tematiche «scomode» come l’orientamento sessuale, la discriminazione e la fluidità di genere. Basti pensare che nei primissimi anni Novanta i giovanissimi Green Day, capitanati da Billie Joe Armstrong, che in Coming Clean parlava della propria bisessualità e del suo modo di sentirsi maschio non corrispondente alla «norma» (argomento che sarebbe ritornato nella celebre King for a Day), giravano in tour con i Pansy Division, una delle primissime band queer della storia.
Il punk, nello specifico il post-punk, è da qualche anno l’unico genere rock in crescita e in piena rinascita, tanto che si può parlare di scena inglese, sviluppatasi tra Bristol, Londra e Manchester, e di scena irlandese, concentrata nella città di Dublino. È allo stesso tempo doveroso porre un focus sugli Usa dove la situazione è leggermente diversa: da un lato domina un revival «piacione» e poco credibile del pop punk dei primi anni Duemila, il cui esempio principe è la nuova carriera dell’oramai ex rapper Machine Gun Kelly, dall’altro nuova linfa proviene da alcuni esperimenti felici che uniscono un’attitudine emo e skate-punk a generi inconsueti come l’R&B e il country.
Questa lista propone alcune tra le band punk e post-punk emergenti di Inghilterra, Irlanda e USA, qualcuna già abbastanza affermata e altre da tenere d’occhio, coscienti del fatto che anche nel resto d’ Europa (sì, come avrete dedotto nella lista non ci sono i Viagra Boys) e del mondo la situazione è in continua evoluzione.
LA SCENA INGLESE
IDLES (Bristol)
Se non li conoscete i motivi sono due: non vi piace il punk oppure avete preso alla lettera il loro desiderio di non essere etichettati come tali. Capitanati dalla voce ruvida di Joe Talbot, gli IDLES sono una delle band più rumorose, disturbanti e femministe del Regno Unito. I loro testi trattano problematiche sociali e culturali, dalla disuguaglianza economica alla violenza di genere. Tra il 2018 ed il 2020 i due album Joy as an Act of Resistance e Ultra Mono li hanno resi famosi anche oltre i confini nazionali. In occasione della pubblicazione del loro terzo disco avevamo intervistato il chitarrista della band Mark Bowen. Recuperatela e recuperateli!
Heavy Lungs (Bristol)
My blood brother is an immigrant
A beautiful immigrant
Danny Nedelko non è solo il titolo della celebre canzone degli IDLES, ma anche il nome del frontman della band in questione. Gli Heavy Lungs devono molto ai loro compagni di Bristol e musicalmente ne ricalcano molte peculiarità. Se questo poteva essere il principale difetto del loro primo EP Abstract Thoughts (2018), nei due successivi Straight to CD e Measure, entrambi del 2019, hanno trovato una loro strada più personale e riconoscibile. Il cambiamento principale lo si nota in particolare nel modo di cantare e nella variegata musicalità dei pezzi dove si ritrovano influenze anche dal mondo punk più classico. In questo senso la canzone Blood Brother con la quale Danny Nedelko ricambia il sentimento di amicizia manifestato nei suoi confronti da Joe Talbot, deve molto alle atmosfere degli album dei The Clash. L’attesa ora è tutta per il loro album d’esordio.
Brani consigliati: Roy, Blood Brother, Half Full, (A bit of) Birthday
shame (South London)
Gli shame sono un’altra di quelle band di cui noisyroad si è occupata fin dal loro debut album Song of Praise, oggi sono diventati una certezza del panorama post-punk britannico e non solo. La loro forza risiede nei ritmi sostenuti della batteria, nelle soluzioni estrose delle chitarre, nella scrittura e nelle interpretazioni live. Le performance dal vivo di Charlie Steen uniscono una partecipazione contagiosa ad una sorprendente abilità nel passare dal parlato alle grida rimanendo sempre in equilibrio. Il loro secondo disco Drunk Tank Pink, uscito lo scorso gennaio, li ha definitivamente consacrati mettendo in mostra anche il loro lato più introspettivo. Nel nostro sito trovate l'intervista al chitarrista della band Eddie Green.
False Heads (Londra)
Trio nato nel 2015 e composto da tre amici d’infanzia provenienti dalla scuola secondaria di Upminster, sobborgo di Londra. Il loro sound è distante dal post-punk di matrice inglese, a un primo ascolto è facile scambiarli per americani. Non è un caso che il primo a notarli è stato Danny Fields, storico manager dei Ramones, il quale ha collaborato con loro nei primi Ep che hanno a loro volta attirato l’attenzione di Iggy Pop. Questa escalation li ha portati ad esibirsi nei principali festival in giro per il mondo e a supportare band come The Libertines e Queens of the Stone Age. Il loro album di debutto It’s All There but You’re Dreaming, uscito nel marzo 2020, è una scarica di adrenalina alimentata dalle metafore cupe e dalla rabbia dei testi, da ritornelli esplosivi che rimangono in testa, da riff e distorsioni alla Royal Blood, talvolta incredibilmente simili come quello con cui si apre Rabbit Hole. Tuttavia, è presente anche qualche canzone più lenta e vicina all’emo come Comfort Consumption. Una band da scoprire e consigliata agli amanti del punk rock in vesti più hardcore con influenze grunge (Twenty Nothing) e metal (Wrap Up).
Brani consigliati: Fall Around, Comfort Consumption, Help Yourself, Wrap Up, Twenty Nothing
black midi (Londra)
Dietro il proliferare della maggior parte delle nuove band post-punk inglesi e irlandesi c’è una figura che non si può tralasciare, il produttore discografico Dan Carey, celebre per le sue trovate negli studi di registrazione, soprattutto nell’utilizzo di synth e sistemi elettronici non convenzionali. Nel 2018 ai Mercury Prize furono candidati tre album punk e due erano prodotti da lui ed erano debutti (l’altro per dovere di cronaca era Joy as an Act of Resistance degli IDLES). Il primo di questi era Schlagenheim. Registrato in cinque giorni, ha sconvolto letteralmente la critica mondiale per la complessità e la maturità, illustrando chiaramente i tratti essenziali della poetica dei quattro ragazzi di Londra: improvvisazione, maniacale costruzione del suono e alternanza di ritmi sincopatici e cervellotici anche più volte all’interno di uno stesso brano, aspetto che li rende assimilabili al math rock. I meriti vanno non solo ai chitarristi ma, soprattutto, allo straordinario batterista Morgan Simpson. I testi sono il più delle volte estemporanei, quasi nonsense, e ciò rende ogni loro esibizione live un’esperienza unica (guardare il link di seguito per credere). Qualche settimana fa hanno annunciato l’uscita del loro secondo album Cavalcade (28 maggio) che non vede, però, il contributo del chitarrista Matt che si è temporaneamente allontanato dal gruppo per problemi di salute. Inutile dire che è uno dei più attesi del 2021.
Brani consigliati: 953, Ducter, Western, bmbmbm, John L
Black Country, New Road (Londra)
Sette componenti, uno in meno degli Arcade Fire e uno in più degli Slipknot se il paragone può assumere qualche senso, per una band giovanissima ma già sulla bocca di tutti prima ancora di pubblicare l’incredibile debutto For The First Time. Associati ai black midi non solo per l’amicizia e per il fatto di essere stati scoperti da Dan Carey, che ha prodotto i loro primi due singoli prima del passaggio alla Ninja Tune, ma anche per l’attitudine sperimentale. I ragazzi, cresciuti tra locali cardine come il The Windmill di Brixton, sono portabandiera di un post-punk avanguardistico caratterizzato da brani lunghi, testi surreali sussurrati o urlati a seconda dell’occasione, aspetto quest'ultimo che ha fatto sorgere il paragone con gli Slint, e dalla mescolanza dei generi più disparati, dal jazz alla musica folkloristica yiddish. Quando nell’introduzione si parlava di inclusività da un punto di vista musicale si faceva riferimento a questo tipo di tendenza che sta prendendo sempre più piede tra le nuove band post-punk inglesi.
Brani consigliati: For the First Time (tutti i brani)
Squid (Brighton)
Abbandoniamo per un attimo Londra per fare un salto a Brighton. Il motivo di questa gita veloce sono gli Squid, band che noisyroad aveva intervistato in tempi non sospetti, cioè prima che guarda caso proprio Dan Carey li prendesse sotto la sua ala per produrre l’EP Town Centre (2019) che li ha lanciati definitivamente. Nata come una band jazz strumentale, background che permane ed è udibile in molte delle loro canzoni, ha abbracciato il post-punk nel momento in cui il frontman e cantante Ollie Judge si è messo alla batteria. Le esperienze quotidiane e casuali dei cinque ragazzi si riflettono nei testi mentre descriverli a livello di musica con un unico aggettivo è complicato. Il loro stile è frutto di tutte le loro più svariate influenze, dall’ambient music, al funky, fino all’elettronica, per questo a tratti sembrano suonare come i Talking Heads, in altri momenti ricordano i Radiohead. Una costante è invece la voce graffiante e riconoscibile di Ollie. Il 7 maggio uscirà il loro attesissimo album d’esordio Bright Green Field che si prospetta molto più ambizioso nei temi nella scrittura dei testi. Un esempio è il primo singolo Narrator.
Brani consigliati: The Cleaner, Match Bet, Broadcaster, Sludge, Narrator, Paddling
Goat Girl (Londra)
Come promesso torniamo a Londra per un altro dei prodotti «made in Carey». Le Goat Girl hanno all’attivo già due album. L’esordio Goat Girl (2018) è un disco di protesta, spudorato ma incredibilmente elegante: diciannove tracce che oscillano tra interludi strumentali, pezzi post-punk cupi e lamentosi e altri aderenti al punk anni Ottanta, come la tarantiniana The Man. I testi si schierano apertamente contro la politica conservatrice britannica (Burn the Stake), parlano di discriminazione e di subdole molestie sessuali come il catcalling (Creep). Il secondo disco rilasciato lo scorso gennaio testimonia una crescita stilistica non indifferente, soprattutto nell’ambito della scrittura e della produzione sonora con un utilizzo più sapiente della componente elettronica. La band nonostante lo stop momentaneo a causa della malattia della chitarrista Ellie Davis, fortunatamente superata, e la sostituzione al basso con l’ingresso nel gruppo di Holly Hole, è riuscita a venirne fuori con un disco sorprendente. On All Fours suona in maniera diversa dal suo predecessore, meno provocatorio, più conciso e coerente, aperto anche a tematiche di stampo globale come l’inquinamento.
HMLTD (Londra)
Gli HMLTD sono una band punk atipica, il loro stile è variegato e integra atmosfere glam e art rock con tematiche e testi provocatori. La loro è una storia in parte travagliata e la prima causa è sicuramente la diatriba con la loro ormai ex casa discografica Sony, alla quale è dedicata la canzone LOADED, colpevole di aver ostacolato la loro creatività cercando di ingabbiarla. «Yeah I sold my soul to the devil tonight» si ripete nel ritornello. La loro attitudine, come il loro modo di vestirsi, rimanda alla queer culture e, insieme alle canzoni, funge da arma per disintegrare tutte le ideologie maschiliste. All’inizio questo aspetto suscitò molte critiche nei loro confronti e i componenti della band furono accusati di essersi appropriati, da eterosessuali, di tematiche che non li riguardassero personalmente solo per accaparrarsi una fetta di pubblico più ampia. Alla fine, però, il loro debutto West of Eden, uscito nel 2020, ha fatto ricredere tutti e ha dimostrato che la band aveva tutte le proprie ragioni: l’alternanza degli stili rappresenta a pieno la loro natura camaleontica e ribelle ed è la metafora perfetta della situazione di degrado della cultura occidentale la cui critica costituisce il filo conduttore del disco. I brani sono perlopiù vicini al rock new wave con un gusto per il revival, talvolta anche orchestrali, ma sono allo stesso tempo intrisi dei caratteri della musica contemporanea, come il beat e il cantato del ritornello di To the Door. La scrittura è pungente e si dimostra notevole nello storytelling (Death Drive, Joanna) che, quando presente, contagia anche la musicalità rivestendo il brano di un’aurea cinematografica.
Brani consigliati: The West is Dead, LOADED, To the Door, Death Drive, Satan Luella & I, War is Looming
The Oozes (Manchester)
Il termine inglese queer è intraducibile in quanto dal Cinquecento a oggi ha cambiato spesso significato. Originariamente utilizzato con l’accezione di «strano» e «obliquo», oggi è stato adottato dalla comunità LGBT+ che ne ha riabilitato il valore divenuto dispregiativo negli anni Novanta. I queer studies sono divenuti ormai una branca importante dei Cultural Studies e si occupano di ogni ambito, dalla letteratura con la riscoperta di autori come William Borroughs, fino alla musica. Il queercore nasce alla fine degli anni Ottanta e i quattro ragazz* dei The Oozes sono una versione recentissima di quello che spesso è ingenuamente definito come un sottogenere musicale, quando invece è a tutti gli effetti un movimento culturale e intermediale. Il punk rappresenta solamente una delle sue numerose forme d’espressione artistica. L’EP d’esordio With Love, from the Oozes (2020) contiene sei pezzi veloci ed intensi, la maggior parte di essi non supera i due minuti e trenta tenendo fede allo stilema tradizionale del punk classico. Le chitarre distorte, i testi ironici, polemici e politici si accompagnano ad un cantato sprezzante e urlato. Una band che fa ben sperare, soprattutto per gli amanti del punk crudo e veloce.
Brani consigliati: Cryin’(Like a Baby), Blah Blah Blah, Wanker
LA SCENA IRLANDESE
Fontaines D.C. (Dublino)
I cinque ragazzi irlandesi non hanno certo bisogno di presentazioni e costituiscono una delle punte di diamante della rinascita del genere. Dan Carey li ha prodotti, li ha coccolati e li ha portati al Mercury del 2019 con uno dei debut più incredibili degli ultimi anni. Dogrel univa il punk classico e il gusto revival anni Settanta e Ottanta con la letteratura irlandese, trasmettendo il sentimento di amore/odio che Grian e compagni provavano nei confronti della loro patria. Tutti li aspettavano al varco ma il secondo disco A Hero’s Death, (anche questo prodotto da Carey), profondamente diverso dal precedente, più poetico e dimesso, si è rivelato un capolavoro postmoderno post-punk e ha di nuovo sbalordito tutti mostrando una loro nuova sfaccettatura. Ha convinto a tal punto che i Fontaines D.C. hanno raggiunto l’America e sono stati candidati ai Grammy Awards 2021 nella categoria Miglior Album Rock. Hanno da poco dichiarato di aver quasi terminato il loro terzo album e noi non vediamo l’ora di ascoltarlo.
The Murder Capital (Dublino)
The Murder Capital è una band composta da cinque ragazzi provenienti da varie zone dell’Irlanda e formatasi a Dublino nel 2018. La loro musica genera un’atmosfera cupa e drammatica, appena inizia un loro brano è come se all’improvviso calasse una densa foschia tutto intorno, come quella della cover del loro primo e finora unico album. When I Have Fears (2019) è un disco che ha ricevuto troppa poca attenzione per il solo fatto di essere stato pubblicato lo stesso anno di Dogrel, intenso e ossimorico nella commistione di ritmi di batteria velocissimi e un cantare lento e cantilenante. La voce baritonale di James McGovern e i testi introspettivi e depressi, anche quando parlano di relazioni amorose, non possono che rimandare al post-punk di inizi anni Ottanta, quello di Manchester e dei Joy Division. Sarà un caso, ma il loro produttore è Mark Ellis che in passato ha lavorato proprio con i New Order.
Brani consigliati: For Everything, More is Less, Green & Blue, On Twisted Ground, Don’t Clinge to Life
Pillow Queens (Dublino)
Quattro ragazze che suonano insieme dal 2016 e che dopo aver attirato l’attenzione della critica e dei colleghi con diversi Ep (Savages e IDLES su tutti), lo scorso settembre hanno rilasciato il primo disco di debutto In Waiting. Musicalmente sono difficili da categorizzare, a metà strada tra l’indie rock, il pop punk e l’alternative rock, fitto di influenze anni Novanta. La loro forza è insita nella capacità di scrivere canzoni che toccano e generano quelle sensazioni nostalgiche o estremamente spensierate tipiche del genere. L’accuratezza dei testi che spaziano tra esperienze personali e tematiche LGBT+ fa il resto. Nella scena irlandese dominata dal post-punk le Pillow Queens sono un’eccezione necessaria e piacevole. Una band da non perder e nella quale perdersi, soprattutto per gli amanti del pop punk di fine anni Novanta e dell’indie rock non convenzionale.
Brani consigliati: Holy Show, Child of Prague, Handsome Wife, HowDoILook, Liffey, A Dog’s Life, Gay Girls…e una volta arrivati a questo punto ascoltate tutto l’album
Girl Band (Dublino)
Se siete fan del punk melodico, catchy e con ritornelli appiccicosi passate oltre. I Girl Band sono tutto quanto ci potrebbe essere di opposto al concetto di accomodante. Il loro è un punk ruvido che non tiene conto della tradizionale struttura di una canzone, il suo scopo è trasmettere tutto il disagio per mezzo di ritmi forsennati, riff taglienti e grida. Il primo album Holding Hands with Jamie (2015) era sporco e ancora grezzo, a differenza invece di quel piccolo capolavoro che è stato il secondo. Pubblicato dopo un lungo periodo di silenzio, The Talkies (2019) è un grandissimo passo avanti da un punto di vista musicale e lirico, un disco che attraverso metafore calcistiche e mitologiche e racconti surreali racconta in maniera profonda i problemi psicologici affrontati dal frontman della band Dara Kiely. Un album senza filtri che si mantiene nel filone dell’industrial punk, pur mostrando in alcuni casi un sound post-apocalittico new wave.
Brani consigliati: Pears for Lunch, In Plastic, Paul, Going Norway, Shoulderblades
UNO SGUARDO NEGLI USA
Ogbert the Nerd (New Jersey)
Un quartetto emo pop punk classico con due chitarre, basso e batteria. Hanno all’attivo un album d’esordio divertente e catchy uscito lo scorso dicembre, I Don’t Hate You. Undici brani dove prevalgono power chords, ritmi veloci e strutture classiche costruite sulla combinazione strofa-ritornello-ponte con annesso solo. Dai loro testi rabbiosi prevale la voglia di rivalsa, il più delle volte raccontando esperienze quotidiane, le quali concorrono a loro volta verso l’unico obiettivo di avere almeno un motivo per urlare un grande e sonoro «shut the f*** up!». Una scarica di energia proviene soprattutto dai ritornelli quasi sempre cantati in scream e supportati dalle voci secondarie degli altri membri della band.
Brani consigliati: Get in the Robot, Really, It’s Fine, Mungus Borgar Rides Again, Snail, Malkmus
Camp Trash (Southwest Florida)
Ufficialmente la band più giovane di questa lista, non per via dell’età dei suoi membri ma per la pubblicazione della loro musica. Downitiming è il primo EP dei Camp Trash, è uscito da poco più di due mesi e contiene appena quattro canzoni. Il punto di riferimento per parlare del loro stile è facilmente individuabile nel pop punk e nello skate punk USA anni Novanta/Duemila, alla Blink-182 per farla breve. Chitarre, canzoni melodiche, ritornelli memorabili e testi che raccontano la vita e i problemi da teenager. Vibes nostalgiche potentissime, quindi, e per questo consigliatissimi e da tenere d’occhio.
Brani consigliati: Downtiming (tutti i brani)
Pinkshift (Baltimore, Maryland)
Esordio recente anche quello di questa band giovanissima, il loro primo EP è roba di qualche settimana fa e racchiude al suo interno vari singoli presentati nel corso del 2020. La voce della frontwoman Ahsrita Kumar cattura l’attenzione fin dal primo ascolto e si erge poderosa al di sopra del power trio che l’accompagna con chitarra, basso e batteria. I Pinkshift, in alcune circostanze simili ai Paramore, sono una band pop punk nella quale, però, sono facilmente riscontrabili delle influenze grunge e hard rock. Da scoprire!
Brani Consigliati: Mars, i’m gonna tell my therapist on you, Rainwalk
Pleasure Venom (Austin, Texas)
Una delle band emergenti americane più interessanti, guidata dalla magnetica e potentissima Audrey Campbell che canta, scrive e dirige i video delle proprie canzoni: lei stessa in un’intervista ha definito i Pleasure Venom come una sorta di proprio progetto solista che prende corpo dalla collaborazione con altri musicisti. Dalla loro bio si comprende la poliedricità musicale che caratterizza il gruppo, vengono infatti nominati il punk, il garage, l’harcore, l’R&B e la black music. La critica li ha definiti come uno dei principali esempi di AfroPunk e noi ci fidiamo e adottiamo il termine per comodità. Le canzoni si sviluppano attorno a ciò che più sta a cuore ad Audrey, dal proprio rapporto con l’amore e con la musica fino ovviamente alla politica e alle tematiche legate alla cultura black, con un occhio di riguardo al razzismo. Hanno pubblicato due EP e si attendono notizie per quanto riguarda il loro album d'esordio.
Brani consigliati: Dilapidation, Fascist, Hive, Deth, These Days
Home is Where (Palm Coast, Florida)
Home is Where è un’altra neonata band americana che dimostra come anche negli USA stiano nascendo dei progetti punk rock che mirano ad allargare i confini del genere facendo convergere e collimare varie influenze. Nel caso specifico ci troviamo di fronte ad un esperimento che unisce con successo il folk con l’emo punk. Già nel primo dei due EP rilasciati dalla band, Our Mouth to Smile (2018), il loro stile è ben centrato e riconoscibile. Le chitarre distorte corrono veloci e disegnano melodie melanconiche per essere poi improvvisamente rallentate e sovrastate dal suono dell’armonica e degli ottoni. Ovviamente il procedimento avviene anche all’inverso e in questo caso il contrasto è ancora più efficace perché alla calma apparente fanno seguito il rumoroso ingresso della batteria e il rompersi della voce del polistrumentista, è lui che suona l'armonica, Brandon MacDonald, anche autore dei testi delle canzoni. Il loro secondo EP i became birds è stato pubblicato con Knifepunch Records lo scorso marzo ed è dedicato «to anyone & everyone who has struggled/is strugglin with their gender identity».
Brani consigliati: Alabama, Venison, Long Distance Conjoined Twins, Assisted Harakiri
Fun Fact: È il tredici aprile e ho appena finito di scrivere questo ultimo paragrafo sugli Home is Where, una delle scoperte più belle che abbia fatto in questo ultimo periodo. Nonostante tutto sotto sotto ho quella strana sensazione, quasi paura, di aver beccato un granchio. Così inizio a fare strani pensieri e sono sempre più convinto che probabilmente questa band con ancora pochissime views e followers piacerà solo a me. Apro Google e scopro che Pitchfork ha appena pubblicato la recensione di i became birds: voto 8.