Adelasia (se ve lo state chiedendo sì, è il suo vero e bellissimo nome), classe 1995, ce l’ha fatta a realizzare un sogno nel caos di quest’anno. E infatti questo piccolo sogno si chiama proprio 2021 (il suo primo album) come il civico della sua casa di infanzia, come l’unione di due delle età più confusionarie in assoluto e un po’ come le promesse future che questi numeri messi insieme si portano appresso. In 2021 è racchiusa tutta la malinconia di una generazione divisa a metà fra sogni e dubbi, raccontata da suoni delicati e avvolgenti. Rendere bella la confusione è possibile e questo disco ne è la dimostrazione.
Una voce dal riverbero malinconico, che ricorda un po’ quella di Calcutta, un sound che mischia i sintetizzatori alla chitarra acustica da cameretta, questo è Bartolini. Con un’EP alle spalle, finalmente Giuseppe ha pubblicato il debut Penisola, un lavoro personale, nato da chilometri macinati tra Calabria, Roma e Manchester, e il coraggio di intraprendere una volta per tutte la strada della musica come professione. Ricorda particolarmente la wave americana super chill, che spazia da Day Wave ai Wild Nothing, quegli artisti che fondono basici accordi di una chitarra elettrica dalle tinte pastello a tappeti di sintetizzatori soffusi e che nelle press pic sembrano sempre appena alzati dal letto, con il cappellino costantemente sulla testa e le magliette larghe acquistate ad un vecchio vintage shop. Penisola è proprio il connubio di questi elementi, basti passare da Millenials a Roma, un album dal sound allegro ma dalle venature amare nei testi, da ascoltare sullo sdraio al sole però con un pizzico di broncio accennato sul viso.
Maltempo è l’album d’esordio della cantautrice romana Bipuntato, una nuvola di R&B, Prodotto da V4V-Records e Valerio Ebert. Attitudine blues e dream pop, ricordi sbiaditi, telefonate perse, momenti condivisi. Un progetto fatto di synth nostalgici, un disco che si muove all’interno della meteoropatia, il tempo che scorre viene considerato come uno stato d’animo Gli otto brani contenuti sono collegati fra loro da una parola o da una sensazione di malinconia, sentimento che diventa il filo conduttore di tutto l’album. E allora, il maltempo non è più solo una condizione atmosferica, ma una sorta di storytelling da seguire per capire i testi della cantautrice. Si inizia con “Circostanze” un compendio di intrecci e attimi vissuti e non, piccoli dettagli, di memorie, disordine e contraddizioni, immerso in un’atmosfera di ritrovata nostalgia. Tempesta di sentimenti, messa per iscritto. Sound elegante e venature ricercate, per un progetto che si arricchisce traccia dopo traccia. Maltempo è l’album perfetto da ascoltare nei periodi uggiosi della vita, tra un autunno che saluta e un inverno che apre le sue porte ad un freddo pungente, ma che riconosciamo come familiare. Un disco che suona per chi ama la pioggia e tutto quello che essa stessa spazza via.
Il secondo album di Birthh, nome d'arte di Alice Bisi , arriva dopo il debutto Born In The Woods, album scritto tra i 17 e 19 anni. WHOA può quindi essere considerato veramente come l'album della maturità. Le influenze rimangono quelle già citate dalla giovane cantautrice, primi della lista i Daughter, ma l'album si caratterizza per una maggiore consapevolezza di Alice, raggiunta andando a esclusione e mantenendo un sound essenziale: tracce acustiche dove il focus principale sono la voce e i testi. Eccezione forse è Ultraviolet, traccia in feat. con Ivy Sole, con un beat più accentuato e una parte del rapper americano che richiama vagamente Lauryn Hill.
Brunori ritorna con un album vario e maturo. Il Cip! emesso dal nostro pettirosso in copertina può davvero assumere un significato diverso per ogni canzone. Si trasforma, passa dall'essere una serenata a una dichiarazione su quanto sia bello sentirsi leggeri. È in grado di parlare d'amore in modo mai banale. Si converte in un invito a non ignorarci gli uni con gli altri, ci esorta a costruire dei legami. Diventa il lamento di un ragazzo che non vedrà il futuro. Tutto questo in un album introspettivo e denso di significato che porta degli elementi di innovazione – soprattutto musicalmente, per quanto riguarda la varietà di strumenti utilizzati e gli arrangiamenti – nella produzione di Brunori. Un album che, prendendo ancora in prestito un commento del cantautore sul titolo, si può definire «ironico ma deciso […] in tutto questo gridare che ci circonda».
Calabi è sicuramente uno dei personaggi più poliedrici della scena indie emergente. Basti pensare che oltre ad essere un cantautore, è anche un fisico teorico - il nome d'arte è un omaggio ad Eugenio Calabi, uno dei padri della Teoria delle Stringhe - e scrive libri per bambini e insegna loro la matematica attraverso il linguaggio universale dell’estetica. Il suo disco d'esordio Viaggio post Maturità è un album dove cantautorato e produzione elettronica si mischiano omogeneamente, con i testi che rispecchiano le insicurezze, i sogni e speranze dei millenials: un viaggio nel passato che è sì malinconico, ma allo stesso tempo pieno di meraviglia per ciò che è stato.
Il cantautorapper di Trastevere è tornato con un album coraggioso e che dà coraggio. In questo album si cerca la conferma di quanto buono sia stato fatto negli anni passati, con la consapevolezza del fatto che innovare dà sempre una ventata d'aria fresca all'intero lavoro. Questo lo notiamo in Le Guardie, traccia che vi consigliamo: diretta, affascinante, ibrida. Carl Brave, con questa ultima fatica, riesce ancora una volta a sorprendere: notevole il featuring con Elodie e fulminante quello assieme Mara Sattei e Tha Supreme in Spigoli. Il coraggio di restare unici.
Nel giugno del 2019 è uscito il primo singolo di cmqmartina: lasciami andare!, in pochissimo tempo ha spopolato subito tra le varie playlist di Spotify, poi ha conquistato anche le radio, almeno 4-5 passaggi al giorno su Radio Deejay. Non si può fare a meno di ballare o, perlomeno, ondeggiare quando si sentono pezzi come l'esatto momento, lago blu, biciclettecno e molte altre. Sì, perché al contrario di quello che si può pensare, quello della ora concorrente di XFactor è un progetto 50 e 50, da una parte Marina che scrive, e dall'altra Matteo Brioschi che produce. Un genere di musica da club in cui ci sono un sacco di influenze diverse, per esempio in lago blu si sentono molto gli anni '80, invece altre tracce sarebbe perfette per un vero e proprio dj set.
Se non siete siciliani Colapesce e Dimartino hanno trovato un metodo semplice per trasmettervi l’essenza di questa terra, che poi è anche la mia, creando un testamento spirituale, tattile, visivo. Nel live movie de I Mortali li vediamo esibirsi fra i fichi d’India e il mare azzurrissimo, due romantici, erranti sì, ma anche figli fedelissimi dei loro paesaggi, dei colori in cui li vediamo abitare e ritornare. Sono le Cicale di cui cantano, sono loro I Mortali, così umani e vulnerabili nei loro completi color pastello, sotto la Luna Araba. Riuscirete a percepire la Noia mortale dei pomeriggi in provincia durante quell’ Adolescenza Nera, il silenzio delle distese bianche della Scala dei Turchi, l’odore della posidonia. Quasi come se si fosse trovato un pretesto per inserire delle poesie primordiali in un prodotto contemporaneo la Sicilia torna a essere terra d’amuri, come la tradizione vuole; adesso lo sapete anche voi.
Il corallo è la rappresentazione simbolica del secondo album di Colombre, nome d’arte di Giovanni Imparato. Come il raro animale del mare, le parole fanno da ornamento a otto tracce. I rapporti umani, raccontati nelle canzoni attraverso dialoghi rivolti a delle figure con delle personalità tipiche, sono come del materiale prezioso da curare e da tenere costantemente sotto controllo. Nuovo album, nuovo stile. Stavolta la musica non è solo un dolce accompagnamento ai testi, è più predominante e si sofferma sulla tradizione italiana del cantautorato, su effetti da pedaliere che spaziano dai Baustelle ad Alan Sorrenti, su tastiere allegre che rispondono a rullanti decisi, mentre si riconferma il lo-fi estivo di Mac DeMarco e la tenerezza che sa solo regalare la sua chitarra acustica. Ma Colombre non è solo accostamenti a tecniche già realizzate, è molto di più: lo dimostra la sua ricerca musicale degli ultimi tre anni.
Con Mi ero perso il cuore, Cristiano Godano decide di dare seguito alle sue esigenze espressive e di esplorare dei percorsi artistici differenti rispetto alla classica proposta dei Marlene Kunz, che ci accompagna dagli anni '90 e che ci da allora ci fa amare la band di Cuneo. I brani di questo album si allontanano infatti dalle scintillanti deflagrazioni di chitarre elettriche a cui siamo abituati per abbracciare un approccio decisamente più intimista che non sfocia mai nel fragore dei Marlene. Lo stile musicale molto elegante si incastra perfettamente con un cantato quasi “sottovoce”, che trasuda tutta la poetica vulnerabilità di Godano e che in questo lavoro lo avvicina incredibilmente allo stile di Nick Cave e Leonard Cohen.
Quello di Dente è un Giuseppe Peveri del tutto nuovo, ma che al tempo stesso riesce a rimanere estremamente riconoscibile. Con il suo ultimo omonimo album l’artista emiliano ha voluto infatti seguire una direzione diversa, aggiungendo dei colori inediti alla propria musica e discostandosi dalla cifra intimistica e quasi casalinga alla quale ci aveva abituato negli anni passati per abbracciare un nuovo suono, più improntato verso elementi come chitarre elettriche, pianoforti e strumentazioni digitali più contemporanee. Fin dal primo ascolto Dente si dimostra comunque pienamente a suo agio con questi nuovi vestiti, riuscendo a non tradire il suo spirito di sempre.
Inizio febbraio 2020. Festival di Sanremo. Tra le nuove proposte compare Due Noi – bellissima nella sua semplicità, una ballata che racconta una storia di amore, amicizia e nostalgia e strizza l’occhio a De Andrè (“chiedilo ad Andrea che si è perso”). A cantarla è Fadi, all’anagrafe Thomas Olowarotimi Fadimiluyi, un giovane cantautore italo-nigeriano cresciuto a Riccione. Se facciamo un passo indietro scopriamo che il suo album d’esordio – intitolato proprio FADI – è uscito qualche giorno prima, il 31 gennaio. E si può sintetizzare utilizzando i primi versi del ritornello di Owo “Baba sento un ritmo che sale/ Lungo la schiena che sa di Africa/ Ma siamo in Riviera”. In questo disco la Nigeria incontra la Romagna e il cantautorato italiano – dato che prima ho nominato De Andrè, aggiungo che nell’album è contenuta anche la riuscitissima cover di Rimini pubblicata l’anno scorso nel progetto Faber Nostrum. In sintesi, troviamo otto brani (sette inediti e la sopracitata cover) che ci mostrano un cantautore capace di districarsi tra generi e influenze molto varie, ma contemporaneamente capace di dare un’impronta personale al suo lavoro. Un artista da tenere sicuramente d’occhio.
Dopo l'immenso successo di Regardez Moi nel 2017 Frah è tornato in questo caotico 2020. Con Lungolinea. del 2018 - una collezione dei successi del debut album unito a vocali di Whatsapp e a vecchi brani - in questi ultimi tre anni ha pubblicato singoli e featuring che contano collaboratori come Carl Brave, Guè Pequeno e Giorgio Poi. Banzai (Lato Blu)invece è stato anticipato dallo stesso rapper bresciano durante il lockdown tramite le sue stories di Instagram dove rilasciava piccoli estratti di pochi secondi di quelle canzoni che avrebbero composto l'album. E Undamento approva in bombissima. Ora Buio di giorno, Due ali e Contento sono le hit di questo nuovo Frah che ha saputo riportare a galla un electrorap tutto italiano cullato dai suoi testi e dalla voce che si poggia lievemente su di essi. Coinvolge con la sua musica dance mescolata all'attitudine indie e shakera il tutto con una spruzzatina di pop. E poi, se chiedeste alla me di quest'estate, non sarei riuscita a sopravvivere senza ballarmi Amarena almeno una volta al giorno.
Riuscire a spaziare fra molti generi. Trattare diverse tematiche. Avere almeno un featuring a canzone. Non cadere nel banale. Queste sono le prime impressioni che si hanno ascoltando FEAT (Stato di Natura), il nuovo album di Francesca Michielin. Il filo conduttore del disco è dato dai contrasti: si passa da momenti crossover rock ad altri reggae, senza dimenticare la trap, l'elettronica, il pop ed il cantautorato. Insomma, a leggerlo così sembra un esercizio di stile dalla difficile esecuzione. Eppure Francesca Michielin ci riesce agilmente, duettando fra gli altri con personalità come Elisa, Fabri Fibra Max Gazzè e Coma Cose, senza mai scadere nella forzatura. È un disco fluido, dal respiro internazionale.
Alto, dinoccolato, look chiaramente ispirato agli anni '70, fascino un po' da tossico, Francesco Bianconi sicuramente non passa inosservato. L'un terzo dei Baustelle si è fatto notare anche nella sua avventura solista, soprattutto quando un paio di mesi fa ha pubblicato un terzo singolo, Un uomo, in cui tra tutte le parole una particolarmente arrivava forte e chiara: fica. Un gesto di libertà (e forse un pizzico di provocazione) che permeano tutto il suo primo disco Forever. Un cantautorato complesso, serio, cerebrale e intellettuale, azzarderemo quasi impenetrabile, come non se ne sentiva da un pezzo, che con quella voce bassa ricorda immediatamente il cantato impegnato di De Andrè e Gaber. La parola ben scritta, sentita e piena di significato, ritorna al centro di tutto e arriva prima di qualsiasi altra cosa, qui viene impreziosita da arrangiamenti orchestrali, composti da cori di archi e dalla malinconia di un pianoforte che rendono rispettivamente Forever e Bianconi una narrazione e un cantastorie fuori dal tempo. Pezzi come L'abisso e Il bene sono l'ideale per l'inverno, da ascoltare sorseggiando un bicchiere di vino rosso.
Dopo le soddisfazioni del primo album, Scudetto, Galeffi torna tre anni dopo nei nostri auricolari con Settebello. Nel gioco della scopa il settebello è la carta che cambia le regole, quella carta che ogni giocatore aspetta per cercare di portarsi in vantaggio. Su questa metafora Marco Cantagalli (in arte proprio Galeffi) concentra parte del disco, con la solita aura di inadeguatezza goffa e colorata che lo contraddistingue. La data di uscita del secondo album è stata in pieno lockdown, il 20 marzo, quando tutti eravamo chiusi tra quelle quattro mura che ci hanno fatto compagnia per lunghissimi mesi. Settebello ha portato un briciolo di gioia ed energia che forse prima mancava: un bell'antidoto a quelle giornate che prima mi sembravano tutte uguali, inutili e tristi.
Un passato emo come chitarrista dei Leute, un presente come solista sotto il nome di Generic Animal e un nuovo disco: Presto, che arriva ad un paio di anni di distanza dal debut Generic Animal e da EMORANGER e a numerosi concencerti in giro per l'Italia che lo hanno reso uno dei nomi di spicco della scena indie nostrana. Luca Galizia, classe '95, si muove con disinvoltura fra le linee di diversi generi musicale, creando brani che difficilmente possono essere incasellati esclusivamente in una sfera emo, trap o indie. Numerosi gli ospiti del disco: da Massimo Pericolo a Franco126, senza dimenticare le incursioni di Joan Thiele e Jacopo Lietti, che lo rendono il perfetto sottofondo per i pomeriggi mega chill in cameretta.
Probabilmente uno dei cantautori italiani più promettenti, Germanò è tornato con un secondo album, Piramidi, nato fra le quattro mura della sua camera in completa solitudine. Un disco che propone un certo tipo di musica italiana (specialmente degli anni Ottanta) e lo rende attuale, attraverso un lavoro meticoloso e una ricerca sonora encomiabile. Le influenze sono molteplici: da Enzo Carella passando per Philippe Zdar e Étienne Daho. La produzione affidata a Matteo Cantaluppi (produttore fra gli altri di Thegiornalisti, Ex-Otago, Bugo) è ormai un sigillo di garanzia.
In un brano di qualche anno fa Ghemon cantava «Sono un lupo solitario, il mio branco è andato perso» e Scritto nelle stelle non fa altro che sottolineare l’unicità e la consapevolezza dell’artista campano, che viaggia da anni ormai a fari spenti verso una propria e personalissima direzione. Quasi tre anni di distanza dal precedente successo di Mezzanotte, Ghemon riprende infatti la stessa sintesi di soul e rap italiano già affrontato nei due album precedenti, ma con un differente umore e consapevolezza di sé e dei propri mezzi. Con la trasparenza e la sincerità che lo ha sempre contraddistinto, in quest’album la penna di Ghemon ricerca costantemente frammenti di quotidianità e dinamiche sentimentali in cui chiunque può ritrovarsi, ed è anche in questa ricerca che si avverte l’influenza della stand up comedy sull’artista: partire dalla vita di tutti i giorni per costruirci poi qualcosa, e arricchendo poi il tutto con poetica, melodia e ritmo.
Gigante è uno di quegli artisti secondo noi ancora troppo sottovalutati, sinceramente un gran peccato. Si descrive con queste parole "faccio pop notturno con l'ukulele e mi piace Ken Il Guerriero", due elementi che sintetizzano perfettamente Buonanotte, secondo album di Ronny Gigante, che infatti è un composto di melodie di sintetizzatore e tastiera dal sapore anni '80 ma con uno strato di malinconia che incupisce i toni di ognuno dei 9 pezzi del disco. Un pezzo come La felicità a che ora arriva? te lo immagini suonato alla fine del ballo scolastico, le coppiette abbracciate strette strette che si muovono mollemente e lentamente tra festoni e palloncini dai colori sgargianti. In tutti i brani, sia quelli cantanti che quelli strumentali, come Lontra e Cous Cous, anche se si ha l'abbaglio che possano essere canzoncine synth-pop leggere, dal sapore giovane, un po' nostalgico e demodè, la malinconia e il magone sono sempre dietro l'angolo, perfette per accompagnarti nei ritorni in solitaria sul tram. Che con il terzo disco riesca a fare il grande salto e arrivare ad un pubblico più ampio? Noi lo speriamo.
Quando pensiamo alla musica italiana si pensa al cantautorato, si pensa al revival anni '80 dell'itpop, difficilmente si pensa all'elettronica, se non per le commercialiate da balera di Gigi D'agostino e Gabry Ponte. Invece nel sottobosco indipendente italiano si annidano anche una serie di dj e produttori di tutto rispetto che strizzano l'occhio ai grandi nomi intoccabili dell'elettronica underground (o elettronica intelletuale, possiamo coniare questo nuovo genere?) quali Floating Points, Nicolas Jaar e Four Tet. Uno di questi è Godblesscomputer, aka Lorenzo Nada, che ha chiuso in bellezza l'anno con il suo quinto album, The Island, uscito il 4 dicembre per La Tempesta Dischi. Un infusione di elettronica, chill beat e spunti jazz che si snodano in 8 tracce dove la parola è praticamente assente se non per poche eccezioni come Pacific Sound e Echoes. Il progetto Godblesscomputers è nato nel 2011 a Berlino e credo che questo aspetto abbia contribuito a dare un certo tono internazionale alla musica di Lorenzo, che in questo disco si riflette nelle numerose collaborazioni tra cui quelle con Montoya, Jennifer dei Technoir e Pasquale Mirra. The Island crea l'atmosfera perfetta per uno di quei sofisticati aperitivi di classe al tramonto su qualche terrazza di una grande città, un'ottima alternativa al più classico St Germain.
Una bella uscita per chiudere bene (per quanto possibile) questo anno funesto. Vi sarà già capitato di imbattervi in Gregorio Sanchez se siete tra quelli che non si perdono nemmeno una uscita italiana, se siete tra gli assidui ascoltatori di Scuola Indie. Bolognese, una passione per le montagne, tra i nomi "best of indie 2020" per Spotify, dopo i due singoli Bosco Verticale e Dall'altra parte del mondo, arriva finalmente per Garrincha il debut. 11 tracce super chillone per poco più di 30 minuti che piaceranno a chi ha il pallino per le chitarre acustiche e il cantautorato, sapore DIY, fresco e un pochino naif che fa subito pensare all'autunno e alle foglie che cadono.
Se avessimo avuto un’estate “normale” in questo 2020 tutto fuorché normale, Operazione Oro sarebbe stato il disco perfetto da ascoltare in macchina, sulla strada per le vacanze. Un bel disco pop con tantissime influenze; da “Puta” con la base da “lo-fi beats for studying” (cosa che adoro) ai ritmi vagamente french touch di “Sempre Sola”, il tutto declinato in salta it pop, ma quello migliore. D’altronde il disco si apre proprio con le chitarre suadenti e i cori di Joan in “Le Vacanze”, per poi diventare un pezzo perfetto da ballare al tramonto in spiaggia.
Capelli lunghi come negli anni '70, camicie con fiocco sul pomo d'adamo firmate Gucci, classe e fascino a profusione. A distanza di 3 anni dal suo debut Bestiaro Animale, Lucio Corsi, il cantautore più glam della scena italiana, torna ponendosi e ponendoci un quesito di fondamentale importanza: Cosa faremo da grandi?, il quale ha dato anche il titolo al primo singolo estratto dall’omonimo disco. Una raccolta di storie fantastiche e paradossali, dalla Ragazza trasparente al vento di Trieste, non più solo chitarra e voce, ma impreziosite da chitarre elettriche vintage e esplosioni di archi. Ascoltando questo disco sembrerà di fare un viaggio nel tempo e tornare a quei Seventies delle ballate bellissime della musica italiana di Lucio Dalla, Paolo Conte e Ivan Graziani. Un esperimento bizzaro e meraviglioso che non poteva che essere prodotto da Francesco Bianconi dei Baustelle e che riconferma Lucio Corsi, con il coraggio dimostrato nell'osare e nel seguire il proprio istinto, come uno degli artisti più interessanti dell'attuale scena italiana.
Ormai si sa che ciò che esce da 42 Records è praticamente certezza. Ed è il caso anche del debutto di Marco Giudici, Stupide cose di enorme importanza, cantautore milanese classe '91, già all'attivo con Any Other e dietro ai dischi di Generic Animal e Rares come produttore. Un titolo delicato e poetico dietro il quale si celano 9 tracce altrettanto dolci e tenere, con echi di jazz e piccoli impercettibile tocchi di sperimentazione, da ascoltare in totale relax. Un cantato malinconico e timido che racconta episodi quotidiani e intimi e che facilmente può ricordare quello di Calcutta. Un debut più sofisticato ed elegante della miriade di singoli copia-incolla di cui la scena italiana ormai è satura, uno spunto orginale di quello che i cantautori dovrebbero tornare a fare.
Uno dei nomi di punta della scena post-indie romana, Moci è sicuramentte uno dei nomi da segnarsi. Il suo debut album Morbido si discosta dalle solite influenze tipiche della scena di riferimento: non più Venditi, Calcutta e Tommaso Paradiso, ma Slowdive, Mac DeMarco e uno stile indie lo-fi oltreoceano. Il disco è una sorta di diario di ciò che è avvenuto nella vita del giovane artista dal 2017 sino ad oggi: un'esercizio per esorcizzare i sentimenti più angoscianti e cupi della vita, come la morte, la paura ed il dolore.
Siamo stati piacevolmente colpiti da Milano 7, l'ultima fatica firmata Nicolaj Serjotti, ragazzo nato e cresciuto a Milano ascoltando fin da piccolo Mac Miller e Earl Sweatshirt. Il suo album d'esordio è un ibrido: suoni strettamente rap, con batterie squantizzate e strofe ricche di incastri, ma anche momenti in cui si abbandona a melodie e atmosfere più leggere su tappeti che si tingono di sfumature elettroniche. Una scrittura diretta, fluida, che in alcuni brani si lascia andare anche a sperimentazioni metriche inusuali e a pattern ritmici innovativi.
Altro nome che forse vi salterà all'orecchio se siete assidui frequentatori della playlist Scuola Indie. Pattoni aveva pubblicato i primi singoli già alla fine dell'anno scorso mentre a marzo è arrivato finalmente il grande debutto, 9 canzoni intitolate Oceano, ora. Da Oceano ad Astronave Mattia (questo il nome del cantautore) presenta all'ascoltatore una serie di brani dall'animo gentile, che lui stesso definisce profondamente personali, scritti ed arrangiati da lui stesso, e che mai avrebbe pensato di pubblicare. Pattoni per certi aspetti ricorda il romanticismo e la dolcezza di Diodato; Oceano, ora, con quella chitarra strimpellata, la tastiera vintage, e gli arrangiamenti puliti e dalla vena malinconica crea un'atmosfera intima su cui accoccolarsi e appisolarsi con il cuore pieno di sentimentalismo.
Immaginate una terrazza larghissima, troppo larga per un corpo solo e il primo sole estivo di fine maggio. Immaginate la noia di un pomeriggio squarciata dall’energia di Flores No Mar e Roma. Immaginate le forme e le facce della copertina di questo album in un periodo in cui forme e facce erano diventate un ricordo sbiadito. E poi, questo album, immaginatevelo nelle sere calme ascoltando Soy Lo Que Soy e in quelle in giro con Getting Lost. È così che me lo sono portata appresso per mesi, facendolo camminare insieme a me e permettendogli di esistere contesto dopo contesto, così come lo permetti alle cose o alle persone che hanno tanto da dire e dare.
Ascoltare Antille è come stare per 35 minuti alle giostre della fiera del paese. Uscito a fine febbraio, poco prima dell'inizio del lockdown, Antille è l'album di cui tutti avevamo bisogno, ma ancora non lo sapevamo. Nel disco sono presenti vari rifacimenti di brani, scritti principalmente da Walter Biondani, che i Pop X avevano già pubblicato in precedenza. Sono pezzi molto freschi, dal sound electro-reggaeton, che sanno quasi di mare e di 10€ spesi per andare sul Tagadà: ognuno è come una polaroid che cattura uno specifico momento di un'estate passata a fare nulla. All'interno delle "scenette" raccontate in Antille troviamo vari personaggi, tra cui l'Homo Nero (anche appellato come il Babau da Panizza) che staziona presso un qualche imbarcadero, le amiche-colleghe Monica e Marika impegnate a danzare con un Leone Azzurro del quale poi si innamorano, il solito Jova, o addirittura Gesù Cristo – che prima si diletta nella policromia assieme a Lucifero, e poi profeticamente è costretto a casa in quarantena. Antille però è anche un disco che porta in un qualche modo a riflettere sulla nostra condizione di persone in una società che si sgretola e perde l'amore per la quotidianità. È pure a tratti romantico, come dimostrano gli ultimi tre brani, che cantano di dolci sentimenti pur sempre rispettando la grammatica Pop X-iana. I Pop X sono per me l'ossessione che è il Jova per Panizza, e Antille ne è l'ennesima riconferma.
Nove brani. Mezz'ora in compagnia con i Post Nebbia. Una ventata di aria fresca da respirare a pieni polmoni. Non ve ne pentirete. Il pregio più grande di Canale Paesaggi è la sua incredibile ecletticità e miscela perfetta di suoni prodotti da Carlo Corbellini (il cantante). Un disco distopico che, tra concetti filosofici e strizzatine d'occhio orwelliane, si prende il suo spazio e porta con sé un genere innovativo, influenzato da tendenze lo-fi ma anche da una forte vena indie-rock. Il consiglio è ascoltarlo dopo una faticosa giornata lavorativa, magari al tramonto, mentre tornate a casa, in macchina, un po' provati ma contenti per aver scoperto un gruppo come i Post Nebbia che adorerete dal primo secondo e ascolterete... "tutto il giorno in loop".
Curriculum Vitae è un album diretto, essenziale, che va subito al nocciolo della questione: presentarsi al grande pubblico. E Rareş lo fa in modo sublime. Il cantautore di origine rumena cura nel minimo dettaglio una miscela di suoni particolari e orecchiabili. Curriculum Vitae è un disco sincero e pulito, che rispecchia alla perfezione anche l'attitudine che Rareş tiene sul palco: scanzonato, irriverente, divertente. Si presenta così: “Ma una pistola in mano/fuma cose che non/ti ho mai detto perché/ho paura di te”. Prego, dargli almeno più di una possibilità, perché merita veramente tanto.
Se "La Notte" di Antonioni fosse ambientato nel 2020 avrebbe il suono di See Maw, giovane leva della scuderia Undamento. Ce ne siamo innamorati già la scorsa estate quando pubblicò l'EP Depre Mood. Il titolo, le basi, il cantato un po' strascicato, e appunto "depre", Milano che permea ogni canzone. Ad un anno di distanza arriva finalmente il debut A luci spente che ci fa definitivamente pensare a Simone come ad un Cosmo 2.0 e siamo convinti che per il suo genere unico si farà notare. Il ragazzo prende il cantautorato che parla di serate, sesso e malinconia interiore e lo fonde a beat meccanici e a un'incessante cassa dritta, raccogliendo l'eredità di Marco Jacopo Bianchi e dando linfa a qualcosa che in Italia fanno in... due? Nessuno? Perchè in questo caso non si tratta di semplice e pura elettronica, See Maw produce le ritmiche e scrive di proprio pugno le parole d'accompagnato, che in questo caso vengono cantante in modo "monotono", quasi per rimarcare quella sottile malinconia di fondo, facendo l'occhiolino al cantato della scena trap.
L’ultima casa accogliente degli Zen Circus è un disco incredibilmente figlio dei tempi che corrono e ciò è sorprendente perché, ad eccezione di Come se provassi amore, è stato scritto prima del Covid. Per questa capacità inaspettata di parlare del presente questo album è un piccolo gioiello, quasi un concept da un certo punto di vista, qualcosa di cui si sentiva il bisogno. Ancora una volta emerge in maniera luminosa la grande abilità nella scrittura di Andrea Appino, come sempre oscillante tra autobiografismo e storytelling. Questo undicesimo lavoro tuttavia non è solo cantautorato, ma anche ricerca di suoni nuovi ed inconsueti che la band fonde sapientemente con i propri tratti distintivi. L’ultima casa accogliente è studiato e all’istintività folk-rock del passato sostituisce per gran parte dei trentotto minuti uno stile molto vicino al progressive. Qualcuno potrebbe lamentarsi dell’eccessivo tono compassato e riflessivo, della mancanza di pezzi veloci, aspri e rockeggianti, ma alla fine che importa? Quello che conta è che a distanza di due anni dal precedente e apprezzato Il fuoco in una stanza, gli The Zen Circus si confermano come uno dei capisaldi del panorama musicale italiano.
Tra le novità e le giovani promesse dell'etichetta Woodworm ci sono i Tonno, che ha rivisto nel quartetto toscano i nuovi Fast Animal and Slow Kids. I loro punti di forza sono tutto l'immaginario che si portano dietro: fatto di render 3D, nostalgia e pareti di chitarre. O, come la chiamano loro, musica normale, una novità per la scena emo. Divertimento e presa male, giochi di parole, i loro pezzi sono una specie di sedimentazione di cose che piano piano trovano uno spazio e un senso. I loro orizzonti pop emo con sprazzi punk sono alla base del loro primo disco, Quando ero Satanista, ed è il gemello siamese troppo cresciuto del precedente EP dal titolo Tonno, per restare coerenti con il tema.
Forse l'avete già conosciuto sotto altre vesti, quelle dei Fiori Di Hiroshima, Elia Vitarelli archivia l'esperienza con la band e debutta con un nuovo pseudonimo solista, Toru, in questo strano 2020. L'album piacerà sicuramente a chi si è affezionato al classico cantautorato indie italiano, quello per cui la chitarra acustica è uno strumento imprescindibile e i versi sono sempre personali e creano un immaginario immediato ma poetico. In Domani sono palesi gli echi di Lucio Battisti, tracce come Nello Spazio e Rebus ne sono esempi, con quelle note acustiche, un po' scanzonate, semplice suonate senza troppi fronzoli come se si stesse strimpellando da soli in un momento di relax. Ottimo anche per un road trip estivo, perchè no, in Toscana, terra d'origine del cantautore.
È molto difficile parlare di un personaggio multiforme e duttile come Giorgio (in arte Tutti Fenomeni). Merce Funebre è un album incredibile perché, quest'anno, è uno dei pochissimi lavori che non ha ancora un aggettivo nella lingua italiana per essere definito. E questo è un bene. Più che bene. Perché Tutti Fenomeni ti fa entrare nel suo mondo a piccoli passi, tra una strofa di una canzone e l'altra, ti accoglie, ti fa comprendere il suo particolarissimo gergo e chiude il cerchio con un brano come Trauermarsch, forse l'epilogo indie più sensazionale di questo 2020 in musica. Quale canzone consigliare? Impossibile decidere: partite in ordine cronologico, ognuna scivola e va da sé, si collega all'altra in modo magistrale e originale (vedere chi ha prodotto il lavoro, prego) e vi troverete alla fine dicendo: "ok, tutto questo è completamente surreale e fuori di testa eppure mi è tutto così dannatamente familiare!".
Tastierone anni '80, melodie sintetiche da video game, il riverbero di nostalgia di un tempo che è ormai stato. «Buongiorno amore mio bye bye / Amore mio bye bye»: testi semplici e adolescenzali, tra ragazze che vanno e vengono, serate, Peroni e calcetto, facili da cantare un po' altiggi all'ora dell'aperitivo al Mi Ami. Questi gli elementi essenziali alla base del disco di debutto del romano Carlo Alberto Moretti, in arte Vanbasten, un disco immediato e leggero, senza troppe velleità, spontaneo, suona come se fosse stato fatto con la storica combriccola di amici nel tempo libero. Lo stesso cantante lo ha commentato con queste parole: «Sono un ragazzo abbastanza normale, non semplicissimo, non troppo equilibrato e nemmeno abbastanza conscio di ciò che sto facendo, però brucio per dirvi ‘ste cose e finché brucerò scriverò le canzoni per chi ne ha bisogno, per chi mi smuove dal torpore. Sono un killer sotto al sole, solo a crivellar parole, lasciami restare, lasciami tentar l'immensità».
amor, requiem è il debut album di Voodoo Kid, nuovo talento firmato Carosello Records. Un disco che è un concept album, un progetto ambizioso ma studiato nei minimi dettagli. Dalla ricerca dei suoni, sino alle grafiche curate da Mecna, amor, requiem è un viaggio multisensoriale, nato a metà fra l'Italia ed il Regno Unito, dove l'artista ha vissuto e studiato per anni. Marianna Pluda, questo il nome che si cela dietro al progetto, sembra incarnare perfettamente i valori di una generazione a cavallo fra i millenials e la generazione z: cambiamenti climatici, Brexit e inclusività sono solo alcuni dei temi che emergono dai suoi testi.