La vera domanda è: perché approcciarsi all’indie italiano in questo momento? Non è un mercato già saturo da qualche anno? Una risposta che metta d’accordo tutti non esiste e, soprattutto nella musica, la soggettività e i gusti personali fanno spesso da padrone.
Bisogna comunque riconoscere che non è mai troppo tardi per scoprire questo genere che, almeno in partenza, era definito tale per una produzione legata ad etichette indipendenti scevre da ogni tipo di legame con le major.
“Essere indie” significa anche tenere un certo comportamento, è tutto ciò che c’è dietro il singolo brano che ascoltiamo: dall’atteggiamento che si ha quando si sale su un palco, allo scrivere testi friendly e con giochi di parole. Oltre che come “genere”, l’indie si configura come un vero e proprio stile di vita che caratterizza tutti gli artisti che appartengono a questa categoria.
Noi ne abbiamo selezionati dieci: i must listen, non necessariamente i più bravi, né i più famosi, bensì quelli che hanno fatto breccia nel nostro cuore e da lì non se ne sono più andati.
Se vuoi darti all’indie italiano, questo è l’articolo che fa per te.
Calcutta - Mainstream
Era il 2016. Avevo in mano il mio fidato dizionario di greco ed ero appena uscito da scuola, quando un mio amico mi si avvicina e fa partire Gaetano. In meno di dieci minuti l’avevamo già imparata a memoria. Il mantra: «E ho fatto una svastica in centro a Bologna / Ma era solo per litigare» si era instillato nella mia mente e non si decideva ad andarsene. Così è iniziato il mio rapporto molto personale con l’indie italiano. Oggi, a distanza di quattro anni, se ancora mi chiedete qual è l’album fondamentale, la mia personale pietra miliare dell’indie, vi risponderò con certezza: Mainstream. Risposta troppo… mainstream? Forse, ma in una scena musicale come questa vale tutto.
L’album nella sua interezza racchiude importanti brani, che tutt’oggi fanno la fortuna di Calcutta: da Cosa mi manchi a fare a Milano, passando per Frosinone e Del Verde. Con quell’album Calcutta ha cambiato per sempre la fruizione musicale dell’indie, adesso non più ancorata alla scena underground, bensì molto più vicina alle sonorità pop che contraddistinguono, ad esempio, Oroscopo, ghost track e punta di diamante nascosta della Deluxe Edition.
Il Calcutta pre-Mainstream (per intenderci quello di The Sabaudian Tape e Forse...) è presente in toni solamente accennati: la vera forza del cantante di Latina e l’importanza di Mainstream nell’ambito dell’indie italiano è l’aver invertito la rotta in una scena che da “nicchia per una piccola élite” è diventata fruibile per tutti.
Must.

Motta - La Fine Dei Vent’anni
«Partiti da lontano / E di colpo arrivare / Ad essere contenti» E’ l’estate del 2016 e dopo il successo di Calcutta, si affaccia sulla scena musicale un uragano di suoni molto particolari: è l’indie rock di Motta. Si presenta con quelle parole il cantautore pisano, termini che hanno un sapore di maturità, una tensione a dire qualcosa per necessità. Non a caso La Fine Dei Vent’anni ha vinto la Targa Tenco 2016 come miglior opera prima: presuntuosa (il giusto), accattivante (tanto), violenta (sì, eccome). Della serie: ascoltalo tutto, che qualcosa in fondo ti resta. Di una felicità “metallica”, a tratti gelida, che inquadrano l’ex Criminal Joker come un cantautore nichilistico che vive di canzoni fatte di alti e bassi. Del Tempo Che Passa La Felicità è il nostro consiglio spassionato per iniziare ad ascoltare l’album. Non può essere altrimenti: la fine dei vent’anni va vissuta dall’inizio, dalla prima all’ultima canzone, un climax ascendente di suoni in cui ai giovani si mette in chiaro una cosa: «La fine dei vent'anni / É un po' come essere in ritardo / Non devi sbagliare strada / Non farti del male».
Maturo.

Coma_Cose - Hype Aura
Con Motta sono finiti i vent’anni, con i Coma_Cose, in MANCARSI, sono solo all’inizio e… fanno schifo. Diciamoci la verità: sto vivendo in prima persona il classico “momento di passaggio” dalla fase post-adolescenziale a quella di giovane adulto e quale momento migliore per farsi dire: «Che schifo avere vent'anni / Però quant'è bello avere paura».
I Coma_Cose sono quel duo così tanto incatalogabile che quando li ho incontrati ad un firmacopie questo inverno sembrava fossero così ben amalgamati da essere un unicum. Fausto e Francesca raccontano in Hype Aura la loro Milano, malinconica, emo… “Mi-lamo”, insomma. I continui giochi di parole, doppi sensi e chi più ne ha ne metta sono alla base di ogni loro lavoro, fin dagli esordi. Un ascolto che per molti potrebbe risultare spiazzante e a tratti improbabile ma che ha fatto la loro fortuna (ammetto che un po’ mi vergogno a ridere ogni volta quando cantano: «Mio nonno è tropicale, quindi ho un avo-cado»).
L’indie del duo milanese è molto particolare e personale: un elettropop condito con svariate influenze: dal classico hip hop, fino a toccare tracce in cui la musica elettronica è parte integrante del brano. Scoprirli significa accettare di entrare nel loro mondo e se li capirete fino in fondo quella che salirà sarà solamente l’attesa (“hype”) di vederli live e non la “paura” di avere vent’anni ed essere in ritardo, come canta, invece, il sopracitato Motta.
Ibridi.

Le Luci Della Centrale Elettrica - Terra
Vasco Brondi, il mio artista della quarantena. L’ho riscoperto in modo molto approfondito durante il periodo di lockdown e sono arrivato alla conclusione che il suo progetto Le Luci Della Centrale Elettrica sono un continuo inno indie. Consiglio di ascoltare Terra, il quarto e ultimo lavoro di questo suo progetto, probabilmente perché è l’album più completo, quello in cui si può ascoltare di tutto un po’ senza però perdere in qualità. Sono rimasto visibilmente estasiato quando ascoltavo almeno tre o quattro volte al giorno Stelle Marine, una canzone che, assieme a Chakra, risulta tra le migliori dell’intero disco.
Dicevamo che, oltre ad essere un lavoro completo, è suonato anche in maniera magistrale: le chitarre di accompagnamento, i cori, i sintetizzatori e il pianoforte sono opera di Federico Dragogna de I Ministri, mentre le percussioni sono affidate a Daniel Plentz (Selton e Milano Elettrica).
Prima di approcciarvi all’ascolto dell’intero disco è doveroso riportare ciò che pensa proprio Vasco Brondi di questo lavoro: «È un disco etnico ma di un’etnia immaginaria (o per meglio dire "nuova") che è quella italiana di adesso. Dove stanno assieme la musica balcanica e i tamburi africani, le melodie arabe e quelle popolari italiane, le distorsioni e i canti religiosi, storie di fughe e di ritorni.» In queste poche righe c’è tutto. Non è solo l’introduzione dell’autore all’album, bensì una porta che conduce a comprendere Le Luci nel modo esatto.
Generazionale.

Galeffi - Scudetto
Abitando a Roma sono veramente molto influenzato dalla forte componente della scena indie della Capitale: non a tutti capita di scendere a Trastevere e incontrare in un solo colpo Carl Brave che prende un Gin tonic mentre conversa con Franco126 con in mano un bicchiere di acqua e… Brioschi.
C’è però una scena secondaria, un po’ celata, nascosta, che è quella degli indie che a Roma si definiscono indie… pe’ davero e uno di questi è senza dubbio Galeffi. A tre anni dalla sua pubblicazione, Scudetto è ancora un album “nuovo”, con sonorità al passo con i tempi, ritornelli penetranti e una voce tutta da scoprire. Questo, in breve, è Marco, in arte Galeffi, un ragazzo semplice che con la musica ci sa fare, eccome. Piano elettrico e voce, dieci brani, uno più bello dell’altro, con la particolarità di non annoiare mai.
Il nostro consiglio spassionato è cantare con lui sulle note di Tazza di te, canzone scoperta mentre bevevo una spremuta d’arancia e al tavolo accanto avevo Carlo Verdone, tifosissimo romanista, proprio come Galeffi, ma non come il sottoscritto. Marco, un artista poliedrico ma semplice, coinvolgente ed efficace. Appena lo ascolti e leggi i testi la tua esclamazione sarà una sola: ma quanto è indie?!.
Funzionale.

L’Officina Della Camomilla - Senontipiacefalostesso Uno
C’è sempre un forte distacco quando leggi di un gruppo musicale: «è stato/sono stati…». Come se ora non esistesse più nulla, fosse tutto andato perduto. L'Officina della Camomilla è (stato) un gruppo indie-rock fondato nel 2008 da Francesco De Leo, inizialmente previsto come progetto totalmente solista e strumentale. E’ difficile al giorno d’oggi scoprire tendenze lo-fi, dream pop, tipiche de L’Officina della Camomilla, che già dal nome si propongono come toccasana per le orecchie (e il palato). Senontipiacefalostesso Uno è uno di quegli album discordanti, di difficile interpretazione: ricordo ancora una fortissima dicotomia tra chi apprezzava la band e chi invece la disprezzava in modo anche molto agguerrito. Ho memoria di quando mio padre leggeva Il Mucchio Selvaggio e nel lontano 2008 L’Officina della Camomilla fu definito un progetto “indiesfiga”: «un gruppo con un nome idiota che suona pop banalotto ma pretenzioso, con testi che paiono scritti da un demente ubriaco “cantati” in modo abulico e irritante». Non certo il massimo.
Al di là di ogni dibattito, è innegabile dire che il contributo di questo controverso gruppo sia stato molto importante per l’indie e per la piega che ha preso oggigiorno: le atmosfere calme e pacate di giusto dodici anni fa, hanno lasciato spazio ad un indie più ibrido e influenzato da basi forti e accattivanti, a scapito, molto spesso, di testi banali e superficiali.
L’Officina della Camomilla: sì, no, forse? Noi vi proponiamo Un fiore per coltello poi… ai lettori l’ardua sentenza. Faceva così, no?
Pionieri.

Fulminacci - La Vita Veramente
Tornando un attimo ai ragazzi di Roma. Filippo, come Marco/Galeffi, sembra quel tipo di persona con la quale poterci uscire la sera, bere qualcosa, parlare e aggiornarsi su ciò che ti circonda, salutarlo e scrivergli quando più ti senti di farlo per organizzare una futura uscita. Niente di più. Ma soprattutto, niente di meno.
Siamo spesso abituati a urlare “Bravo!” ad un concerto, ma credo che abbiamo quasi perso la concezione di bravura. Siccome siamo spettatori e vediamo il nostro idolo di fronte a noi, non possiamo che definirlo tale. Ecco, con Fulminacci questo non è possibile, perché è oggettivamente bravo e forse lo sa anche. Definizione pretenziosa? Non credo, perché La Vita Veramente è l’album che serviva all’indie italiano per invertire la rotta e tornare a prendere aria: nove brani che potete ascoltare in treno, in aereo, in metro, in spiaggia, in montagna. Non è necessario avere un particolare tipo di umore per apprezzarlo, perché è come se suonasse per te. Filippo è con te: in camera da letto, seduto su un lettino in spiaggia, davanti ad un caminetto (rigorosamente spento se è estate, mi raccomando) in montagna. Un album così non lo si fa tutti i giorni: è pensato, ragionato, calcolato, perché prima che essere bravo, Fulminacci è intelligente e la sua bravura è far capire questo suo enorme pregio con le canzoni che scrive. Se sano di mente vuol dire padrone, beh… noi tutti siamo felici di essere schiavi da sempre (doveroso l’ascolto di Davanti a Te per comprendere la citazione).
Perché, in fondo, siamo tutti un po’ fulminati, ma pochi possono definirsi Fulminacci.
Ragazzo di tutti i giorni.

Eugenio In Via Di Gioia - Natura Viva
Spostiamoci a Torino, sotto quei bellissimi portici che contraddistinguono la città. Immaginate di passeggiare durante una giornata uggiosa e di ascoltare un gruppo scalmanato che canta, suona, balla, fa cubi di Rubik (sì, avete letto bene) durante una canzone e vi strega dal primo istante che ascoltate i loro brani. In breve sono questi gli Eugenio In Via Di Gioia, quattro ragazzi di strada che hanno fatto la loro fortuna rimboccandosi le maniche: la narrazione del “from zero to hero” è quanto di più azzeccato per descrivere non solo il loro carattere musicale, ma anche la pungente espressività che contraddistingue tutti i loro brani.
Consigliamo l’ascolto di Natura Viva in maniera non logica: potete benissimo decidere di iniziare il disco e ascoltarlo dal primo all’ultimo brano, in sequenza, ma anche in modo totalmente casuale. È quello che vorrebbero anche loro: cambiare le regole della musica, inventandosi ritmi allucinanti ma funzionali. Lettera Al Prossimo è la canzone che potrebbe introdurvi alla band: comprende un sound particolare, pungente e un testo attento e interessante.
Gli Eugenio In Via Di Gioia non sono solamente indie, ma hanno reinventato il modo di suonare questo genere, anche perché la “palestra della strada” ha adattato la band a tutte le potenziali occasioni possibili.
Straripanti.

Cosmo - Cosmotronic
E’ sempre difficile parlare di un artista come Cosmo. Una personalità così duttile e in continua evoluzione che si fa fatica a catalogare in un solo genere. L’intento di questa speciale “lista” era proprio definire i dieci album fondamentali per conoscere appieno l’indie italiano e ci siamo detti che era doveroso citare Cosmo anche solo per la sua esclusività così caratteristica. Senza rischiare di essere retorici o poco chiari, diciamo subito che la canzone con la quale iniziare un viaggio-trip emozionale attraverso le note di Marco Bianchi/Cosmo è Sei la mia città: L'autore disse di quest'album: «Una dichiarazione d'amore ideale e utilizzabile da tutti a un punto fermo, un punto di ritorno, che sia la propria donna (o uomo), la famiglia, o proprio la città dove rifugiarsi dopo aver macinato km da un palco ad un altro». Perché la forza di Cosmo risiede nel parlare a tutti anche quando parla solamente di se stesso, il pregio che gli si riconosce è aver spaziato così tanto da rendersi incatalogabile ma con raziocinio, senza perdere di vista l’obiettivo finale: arrivare alla gente. E Marco sta continuando a farlo benissimo.
Duttile.

I Cani - Il Sorprendente Album D’Esordio De I Cani
Esiste una parola tedesca che significa “composizione ad anello” e indica una struttura compositiva circolare, in cui gli elementi iniziali sono ripresi alla fine. Viene spesso usata nei classici o per riagganciarsi ad un elemento letterario narrato capitoli prima; che il lettore ha perso di vista. Il termine tedesco è “ringkompisition” e questo articolo voleva essere così: una struttura che inizia e finisce allo stesso modo: siamo partiti analizzando Calcutta e la chiusura del cerchio non poteva essere che con I Cani, pionieri veri e propri del genere che è divenuto anche stile di vita: l’indie. In effetti, se alla domanda “qual è il disco che definiresti più indie” ho deciso di rispondere con “Mainstream di Calcutta”, non è altrettanto vero per un’altra questione che mi si potrebbe porre: “Chi è l’artista/gruppo più indie?”. In effetti le due cose non possono (fortunatamente) coincidere, perché Calcutta è (stato?) indie ma la personalità di Niccolò Contessa (I Cani) è ancora, a distanza di anni, la più indie possibile. Incredibile pensare che il pioniere del genere, seppur leggermente superato, sia ancora, almeno per me, la figura che più ritengo possa definire con sicurezza e puntualità cosa sia questo genere. Il Sorprendente Album D’Esordio De I Cani è la rivelazione, è l’aver presentato al mondo un genere innovativo senza timori né paure. Contessa definirà l’album: «Un ritratto duro dell’adolescenza, di come sia difficile avere venti anni». Torna tutto. Motta, Coma_Cose e questa difficoltà a superare questo scoglio insormontabile che sembrano essere i vent’anni. Chi canta il loro inizio (Coma_Cose), chi la loro fine (Motta), chi, invece, è nel mezzo e non ha paura di tuffarcisi (I Cani).
Nonostante lo abbia inserito alla fine, è proprio da questo disco che dovete partire per fare amicizia con l’indie e, statene certi, non vi deluderà.
Gold.
