13 gennaio 2023

"Volevamo un album rock 'n' roll": intervista a Kieran Shudall dei Circa Waves

Arrivati al loro quinto album Never Going Under, i Circa Waves sembrano avere le idee chiare su chi sono e che cosa vogliono. È quello che traspare dalla chiacchierata fatta con il loro frontman Kieran Shudall, che ci ha confermato quanto sia stata catartica questa ultima fatica in studio, dopo 3 anni di pandemia e tour rimandati. Un album rock 'n' roll, con le chitarre in primo piano, che ti arrivano in faccia: c'è voglia di reagire alla stasi di mesi e mesi deprimenti. I Circa Waves sono tornati e vogliono farti ballare. Perchè come disse una volta Pete Townshend degli Who: "Il Rock non eliminerà i tuoi problemi, ma ti permetterà di ballarci sopra".

Ho letto che parte del vostro nuovo album Never Going Under è scritto dalla prospettiva di tuo figlio. Da dove nasce questa scelta?

Mi è sempre piaciuto tornare indietro con la mente e rimuginare sul passato. Nei nostri primi dischi ci sono molto rimandi al come ci si sente ad essere adolescenti. Mi piace usare la mia immaginazione e pensare a mio figlio che cresce e provare a vedere il mondo attraverso i suoi occhi. È un buon modo per scrivere canzoni che altrimenti non sarei riuscito a fare. C’è una canzone nell’album intitolata Electric City che parla di come il mondo è cambiato nei prossimi 15 anni e quindi riflette ciò che lui potrebbe vedere. 

Carry You Home, specialmente il video, trasmette grande senso di nostalgia. 

Quella canzone parla proprio della nascita di mio figlio. Ci sono state delle complicazioni ed è dovuto rimanere in ospedale per essere curato. È stato un periodo parecchio duro per me. L’hanno tenuto cinque giorni in ospedale e io continuavo a pensare che volevo portarlo a casa (letteralmente Carry You Home, ndr). Questa nuova sensazione di essere padre, mi ha fatto provare cose mai provate prima, come il desiderio di proteggere realmente qualcuno. Il pensiero di portarlo a casa è stato quello che mi ha fatto andare avanti in quei giorni. Ma quando abbiamo girato il video non volevo filmarmi con il bebè e quindi siamo partiti dal verso I would run for you, che può essere inteso come “farei tutto per te” e l’abbiamo esteso ad altre situazioni. Il nostro chitarrista Joe, che ha diretto il video, mi ha aiutato ad andare in questa direzione, e renderlo un video dedicato all’amicizia. Lui è veramente un bravo regista: è riuscito ad elevare tutto su un piano superiore.

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Com’è stato essere diretto dal tuo stesso compagno di band?

È stato fantastico, mi è piaciuto tantissimo, perchè siamo molto simili e la pensiamo allo stesso modo su ciò che può funzionare ed è figo. Di conseguanza spesso quando mi chiede di fare qualcosa, acconsento perchè mi fido. È una “collaborazione” semplice.

Never Going Under è un titolo parecchio motivazionale: è quasi uno slogan, un’invito a non mollare.

Penso che tutti noi abbiamo dovuto affrontare dei momenti difficili negli ultimi tre anni per via della pandemia, no? Ma siamo qui e ce l’abbiamo fatta. Il titolo esprime questo. Quando ti senti senza speranza, c’è sempre una luce e come esseri umani, insieme, possiamo farcela. È un titolo che vuole essere resiliente e vuole esprime quello spirito combattivo che abbiamo tutti dentro di noi. La title track che apre il disco vuole essere proprio come un risveglio che ti fa dire “Andiamo cazzo! Ce la puoi fare!”.

Avete pubblicato il vostro disco precedente Sad Happy a marzo 2020, uno dei periodi più duri della pandemia. Vi siete pentiti di averlo fatto uscire in un momento di lockdown totale praticamente a livello mondiale, non potendo nemmeno fare concerti?

È stato un periodo molto strano, eravamo pronti a imbarcarci per il tour più grande che avessimo mai fatto da quando siamo una band. E all’improvviso nel bel mezzo di un soundcheck di una delle date ci è stato detto che dovevamo tornare a casa, perchè tutti i concerti venivano sospesi. E ricordo che parlandone con gli altri pensavamo che avremmo cancellato solo tre settimane e poi saremmo potuti tornare in tour. Come puoi immaginare ci siamo sbagliati, visto che quelle tre settimane sono diventate praticamente due anni, prima che tornassimo a suonare dal vivo. È stato un periodo strano, e in parte mi è tornato utile, perchè ho potuto passare un bel po’ di tempo a casa a scrivere nuovi pezzi. Casa mia è lo studio dove mi sento più a mio agio e posso passare il tempo a scrivere, scrivere, scrivere… Suonare dal vivo e creare un legame con il pubblico è qualcosa che abbiamo fatto ininterrottamente per sette anni e questo brusco stop è stato veramente duro. Sono molto felice che siamo tornati a esibirci live.

Com’è cambiato il vostro sound per questo nuovo album?

Gran parte del sound del disco è stata una reazione al lockdown: la voglia di fare un album rock’n’roll. Ci sono almeno 4 o 5 assoli di chitarra. Tutto è molto più bombastic e rumoroso. Volevo che fosse una release catartica. Il suono ti arriva dritto in faccia, è molto emotivo e personale. Sad Happy era sicuramente un album più gioioso. Questo è più arrabbiato - in senso positivo - rispetto ai nostri dischi precedenti. 

Se dovessi scegliere il tuo brano preferito di Never Going Under?

Direi l’ultimo brano Living in the Grey. Significa molto per me. È probabilmente la canzone più vecchia del disco. Ha a che fare con l’aspettativa versus la realtà dell’essere in una band. Quando ci hanno scritturato la prima volta, ho pensato che da quel momento in avanti saremmo stati felici per sempre. E poi mi sono ritrovato in un bagno di Los Angeles a piangere, perchè non riuscivo a capire perchè non riuscivo più a godermi il fatto di essere in tour o di fare parte della band. Probabilmente ero solo molto stanco. Ha a che fare con questa cosa strana che ti succede quando cresci: una volta che raggiungi quella che per te è la vetta, magari ti accorgi che non sei felice e questa cosa non fa che crearti confusione nella testa. Non avevo mai avuto problemi di salute mentale prima e in quel momento mi stavo sentendo veramente parecchio giù. Allora ho scritto quella canzone, per provare a tirare fuori tutto. 

Una canzone terapeutica insomma.

Si, assolutamente.

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Per quanto riguarda l’artwork del disco, mi ha ricordato subito quello di Parklife dei Blur. È una citazione?

È un’ottima osservazione! L’idea di quei due cani che correvano è stato il punto di partenza del concept. Volevamo trasmettere esattamente quell’idea di resilienza. Ed è stato difficile trovare qualcosa che ci piacesse veramente. Ma sapevamo che volevamo degli animali in copertina. Abbiamo pensato a tigri, leoni, coccodrilli… E poi siamo giunti a quest’immagine di un fantino sul cavallo e abbiamo capito che era perfetta.

Sui vostri canali avete scritto che Never Going Under è il vostro migliore disco. È una frase che si sente spesso dire da tutte le band ogni volta che pubblicano un nuovo lavoro. Voi a questo giro lo pensate davvero?

Si è vero, è una cosa che si tende a fare. Penso però che ci siano artisti che scrivono canzoni incredibili agli esordi, quando hanno 18 anni, e altri che devono invecchiare prima di riuscirci. Io penso di far parte di quest’ultima categoria. Sono convinto che i testi che ho scritto ora, sono i migliori che abbia mai fatto. Quindi lo penso davvero. Poi non si sa mai, magari riascolterò questo album fra un po’ di anni e capirò che mi ero sbagliato. Chi lo sa. 

La scorsa estate avete anche pubblicato il vostro primissimo EP Hell on Earth.

Sì, ci abbiamo messo i pezzi che abbiamo scritto nella stessa sessione per scrivere il nostro ultimo album. E probabilmente pubblicheremo un altro EP quest’anno con altri inediti della stessa sessione.

Nel 2023 sono dieci anni che avete formato la band. Farete qualcosa di speciale per festeggiare questo l’anniversario?

Sì sicuramente. Per il momento parlavamo giusto di farci una vacanza fra amici noi quattro a Maiorca. Ma mi piacerebbe far uscire la reissue del nostro album d’esordio con un bel po’ di demo mai uscite di quel periodo.

Come vedi la scena alternative rock di oggi nel Regno Unito?

Credo che sia in una buona posizione. C’è un sacco di musica buona che continua ad uscire. Mi piacerebbe vedere più band ambiziose che osano di più per diventare grandi. C’è un ritorno a un mood più garage, ma a me piacerebbe trovare i nuovi Killers, i nuovi Kings of Leon. Il tipo di band che un giorno faranno da headliner ai festival. E lo dico perchè faccio anche il producer. Vedo tante band che vogliono rimanere di nicchia, io invece cerco quelli che hanno tanta ambizione. Ce ne sono alcune che secondo me hanno un bel futuro: i Sea Girls, gli Inhaler. C’è bisogno di più band di questo tipo.

A gennaio iniziate il vostro tour in UK e in primavera farete tappa negli USA. Avete in programma qualche data anche in Italia?

Al momento non so se suoneremo in Italia. In effetti non veniamo spesso lì da voi e non so perchè. Il nostro manager è italiano e pensavamo che con lui sarebbero arrivate delle date in Italia. Non ne ho idea. Molto band inglesi si limitano a fare tour in Francia, Germania e Olanda. L’Italia forse è troppo lontana? O magari lì da voi non c’è un grande scena indie rock, non saprei. Ma amiamo l’Italia, il suo cibo e la sua cultura. Speriamo di tornare presto.

Photo credit: Lewis Vorne