C'è un qualcosa di terribilmente umano, viscerale ed emotivamente folgorante nella musica dei Porridge Radio. Dopo anni passati a prendere l'arte e a metterla da parte fra venue ed etichette indipendenti fra Londra e Brighton, il quartetto britannico torna sulla cresta dell'onda con 'Every Bad' il loro primo album professionalmente registrato uscito per Secretly Canadian. Abbiamo fatto due chiacchiere telefoniche con Dana, frontwoman e motore creativo del gruppo, per saperne un po' di più sull'essere un musicista in quarantena, lo scrivere il nuovo disco e di come affrontare l'industria musicale a muso duro.
Come va? Come ti trovi in quarantena?
Sento di essere sempre parecchio impegnata! Ma qualche volta mi trovo ad avere momenti di nulla assoluto, un po’ come molte altre persone penso. Proprio in questo momento sto cucinando un dolce alla cannella! Mi è sempre piaciuto cucinare, ho passato un periodo molto simile proprio l’anno scorso, sono rimasta per molto tempo a casa e ho passato il tempo a dipingere. Sto anche lavorando a un piccolo magazine su come imparare a suonare ‘Every Bad’
Ti tieni impegnata!
Si, é come se recentemente non avessi avuto tempo di fermarmi e dire “oh, non ho un bel niente da fare”, ed una volta raggiunto quel punto ho trovato di nuovo altre cose da fare, per esempio mi sono messa a trasferire tutte le mie foto di famiglia da analogico a digitale, mi sono trovata un nuovo lavoretto! E dopo quello avrò sicuramente un mucchio di altre cose da fare per tenermi impegnata.
Hai difficoltà a creare nuova musica di questi tempi, stando chiusa a casa?
Non ci ho mai pensato, scrivo sempre in maniera quasi ciclica, la creatività va e viene… Faccio sempre cose quando mi sento pronta ad affrontarle a livello emotivo. Uscire mi é sempre molto utile per avere i giusti stimoli, da quando é cominciato l’isolamento mi sono trovata ad avere un sacco di cose su cui voglio scrivere, invece di recente le cose sono rallentate un po’… ho sempre una sorta di piccolo flusso creativo, cerco di non pensare troppo a quando dovrei o non dovrei creare.
‘Every Bad’ é fuori nel mondo! Prima di tutto congratulazioni, secondo, come ti senti a riguardo?
Grazie! Sono stra felice e molto fiera, molto lieta che sia uscito. Mi sento bene! Tu come ti senti a riguardo?
Deve essere stato un po’ deludente non averlo potuto portare in tour e non essere attivi come penso abbiate voluto…
Si certo é un peccato, sarebbe stato bello poter far ascoltare live il disco a chi ha scoperto le canzoni da poco tempo, andare in tour é anche la nostra principale forma di guadagno, non é ideale non avere un lavoro praticamente… ma d’altro canto é una di quelle cose che bisogna realizzare siano più grandi di me, non ho nessun controllo a riguardo, cerco di non pensare a cose del genere come ‘deludenti’. E’ sempre una buona occasione per riposarsi un po’.
So che sai essere molto prolifica nel tuo scrivere pezzi, hai una sorta di processo filtrante che ti rende più fiduciosa in una canzone piuttosto che in un altra?
Una gran parte è una sensazione istintiva, mi capita di scrivere cose che non mi convincono molto, ma che invece piacciono ad altre persone. Cerco di pensare a cosa vorrei ascoltare a livello personale… Diciamo che riesco a riconoscere quello che mi piace molto istintivamente, ma mi piace darmi la possibilità di scrivere e creare anche cose che non mi piacciono, senza preoccuparmi di quanto funzionino alla fine e godendomi il processo creativo. Si possono sempre aggiustare e rifinire in un secondo momento, o decidere di non condividerle mai con nessuno, mi piace che il creare in sé e per sé, e poi tornare sui miei passi. E’ lo stesso per quando si ascolta musica di un altro artista, sai subito quando qualcosa ti piace o no.
Molti artisti sono molto attenti e minuziosi nel non lasciare niente al caso nel significato dei loro testi, mentre nel vostro caso sembrate quasi invitare a un'interpretazione più libera, mi sembra.
Sì, penso sia una parte molto importante della mia musica, mi piace poter essere molto onesta visto che tutto potrà poi essere interpretato in modi diversi, non devo preoccuparmi di star rivelando troppo di qualcosa, o non aver detto abbastanza di qualcos’altro, o di come i miei testi saranno interpretati. Mi da gioia sapere che chi ascolta potrà interpretare come vuole.
Avevi almeno in mente dei temi in particolare quando hai scritto il disco?
L’ansia e le difficoltà dell’essere umani al giorno d’oggi sono temi che sono a tratti presenti in molti dei pezzi sul disco, erano sensazioni che avevo in mente, ma non è tutto basato su di loro. Non ho cominciato questo processo pensando ‘voglio scrivere un disco su questi argomenti’, ho scritto i pezzi nell’arco degli ultimi due anni, però si sono di certo cose a cui penso spesso, per questo sono uscite quasi naturalmente del disco.
I Porridge Radio non sono esattamente una band nuova di zecca… guardandoti indietro, come pensi di esserti evoluta come musicista e frontwoman?
Abbiamo cominciato la band senza sapere esattamente cosa stessimo facendo in realtà, l’unico a essere stato in una band a tutti gli effetti era il nostro batterista. C’era una sensazione generale fra di noi alla “non abbiamo alcun tipo di esperienza, ci piace fare musica come viene, per divertimento”, non sapevo suonare né cantare, non avevo mai condiviso nulla attraverso un testo… è di sicuro stato un processo, imparare a suonare uno strumento, stare su un palco, come suonare insieme ad altre persone, come farti notare da un pubblico – abbiamo mandato così tante mail copia e incolla a vari promoter locali per suonare alle serate gratis o per giusto £20… era una maniera molto diversa di fare cose, volevamo imparare a essere una band. E' stato il nostro modo di fare fin dall’inizio, non ci importava come ci saremmo riusciti, ma volevamo suonare a tutti i costi. E alla fine sì, abbiamo imparato a suonare e a essere una band e a sviluppare più sicurezza nei nostri confronti, è stato un lungo processo di apprendimento per tutti noi. Siamo proprio cresciuti in 5 anni.
Bisogna credere nel processo….
Certamente, penso che saremmo stati pronti a svilupparci anche in tempi più brevi se avessimo avuto il giusto tipo di supporto fin dall’inizio, ci è servito tempo per capire come funziona l’industria musicale, se volessimo o no un contratto discografico, e soprattutto di come ottenerne uno! E anche capire se avessimo potuto farcela da soli da indipendenti.
Pensi che l’industria possa essere troppo restrittiva e ingiusta nei confronti degli artisti emergenti?
Tutto ha bisogno di tempo, ma penso che talvolta si abbia anche bisogno di capire come funzionino le cose nell’industria, e di avere le conoscenze giuste per aiutarti a ottenere certe cose. C’è molta importanza nel conoscere la persona giusta al momento giusto e farti piacere, qualche volta può sembrare un po’ orribile, ma una volta realizzato che era questo quello che volessimo nella nostra vita e come nostro lavoro abbiamo imparato ad accettare queste parti dell’industria.
Ti fa sentire meglio vederti sulla copertina dell’NME e l’aver ricevuto una brillante recensione su Pitchfork?
Penso che tutta quella roba sia così strana… odio leggere interviste sulla nostra musica, non mi piace non avere il controllo su come chi mi sta davanti mi percepirà e che opinione avranno. Su tutte quelle cose [reviews su NME e Pitchfork, ndr] penso “ok grande!" perchè mi da l’opportunità di far sentire la mia musica a persone che altrimenti non avrebbero avuto accesso a essa, questo è quello che mi piace dell’avere supporto dalle pubblicazioni maggiori e che mi fa apprezzare al massimo essere sotto un’etichetta discografica, riesco a parlare con così tanta gente e a raggiungere persone che andranno poi a sentire la mia musica. Quello è fantastico.
Ti manca niente dei giorni in cui eravate una band DYI emergente?
Adoro la cultura del DYI, le piccole etichette [come Memorials of Distinction, con cui Dana e i Porridge Radio collaboravano all’inizio, ndr] e i piccoli show indipendenti, ma non mi manca così tanto a essere sinceri. E' tutto ancora lì, non è scomparso. Vi consiglio di seguire davvero le piccole etichette e tenere d’occhio le loro uscite, c’è una piccola venue a Londra chiamata Sister Midnight, che è sempre il cuore di tanti show DYI. E’ lì che una band può cominciare a farsi un nome, imparare a suonare e stare sul palco.
Visto che i tuoi testi toccano temi così personali, non sei un po’ intimidita dall’esporti al pubblico, soprattutto di questi tempi in cui la musica è così commercializzata?
Non molto, quando scrivo non mi piace pensare a cosa ne penseranno gli altri, c’è sempre una linea fra quello che sento e la maniera in cui decido di farlo trasparire in una canzone. Diventa quasi un atto di finzione, una performance. E’ come se non mi stessi esponendo direttamente, riesco a separare me stessa dalle mie canzoni.
Ultima domanda. Il titolo dell’album è ‘Every Bad’, ci dai qualche chiarificazione sul suo significato?
Per me rappresenta l’idea di un qualcosa che può andare in qualsiasi direzione, e che può diventare qualsiasi cosa.