03 maggio 2023

Una rivendicazione della propria identità musicale: intervista a Daniela Pes

Spira è un disco difficile, complesso. Viene reso intellegibile da numerose chiavi di lettura celate, nascoste nei meandri dei brani che non hanno una lingua comune d'appartenenza (quella che i greci definivano la 'koiné dialektós') ma che però, riesce, in qualche modo, ad arrivare subito, a primo impatto. Daniela Pes, con il suo primo album, arriva tutta d'un fiato: in modo impattante, coglie la prima impressione dell'animo umano, rivendica con forza e dolore le sue radici, la sua identità. Coadiuvata da un magistrale Iosonouncane in fase di produzione, Spira è un album multiforme, ma riesce, in qualche modo, a risuonare, fin dal suo primo ascolto, come un qualcosa di onirico, sognante, che non lascia indifferenti. Pochi album che sono usciti quest'anno ci hanno lasciato questa impressione. Con Daniela abbiamo parlato della sua musica e, quindi, per estensione, di com'è la sua personalità narrata attraverso le note musicali. Con alle spalle delle forti e resistenti esperienze passate, Spira è un lavoro lungo tre anni, fatto di numerosi arzigogoli ma che, all'ascolto, risulta arrivare al centro, all'interno di ognuno di noi. E questo è un punto di forza che posseggono in pochissimi.

Ph. Piera Masala

Domanda di riscaldamento base: perché Spira?

Questa domanda è connessa anche al perché ci sono quei titoli lì nella tracklist. Perché anche abbia scelto di fare questo lavoro testuale: è tutto legato al suono fonetico. Dalla prima volta in cui mi sono chiesta quale fosse il nome di un potenziale mio primo album, ho subito pensato al termine 'spira'. Nel tempo ci sono state altre candidate, ma Spira è stato anche un brano che ho lasciato fuori dal disco. Racchiude un po' tutto il mondo che ho costruito in questi tre anni di lavoro e se proprio voglio associare questo nome ad un concetto è come se mi fornisse un senso di ciclicità, di nascita, morte e rinascita.

Quindi anche da un punto di vista fonetico?

È prevalente. Tutto il testo che vedi, titoli dei brani...

Sono sincero, però. Nei titoli dei brani non avevo colto direttamente questo, mi viene in mente Ora...

Sì, però comunque sono parole che fanno parte del processo creativo e del mare magnum che c'è tra le parole, la metrica e il suono in sé.

Com'è nata la collaborazione con Iosonouncane e qual è stata la marcia in più che ha dato al disco?

Gli ho scritto una mail, perché avevo questa esigenza di andare oltre. Gli ho inviato una manciata di brani che avevo tra le mani e lui mi ha risposto con una mail dettagliatissima e approfondita su molti aspetti. Ha compreso perfettamente il tipo di sensazione che dominava il mio stato d'animo; oscuro in quel momento. Prima di rispondere a questa sua mail mi sono fermata per due settimane, l'ho prodotto e riarrangiato da me e gliel'ho mandato e da lì mi ha detto di mandargli tutto il resto.

Per curiosità: qual era questo brano?

È il brano che chiude il disco: A te sola, la suite di dieci minuti che chiude il disco. È il brano che è la sintesi di tutto ciò che c'è nel disco. Una summa.

È stato messo alla fine per un motivo in particolare?

Mi piaceva che fosse alla fine, che fosse la chiusa. L'inizio e la fine di questo percorso per avere poi una nuova via davanti nel futuro.

L'hai chiamata "suite": spiegami meglio.

Musicalmente è divisa in tre parti: la prima è rimasta esattamente uguale al provino, chitarra cruda e voce, la seconda parte è totalmente vocale e una parte mantrica-liturgica in cui si sente molta prepotenza, rinascita. È in generale un disco in cui rivendico più volte la mia identità, anche in maniera violenta.

Ma da quale bisogno nasce la necessità, arrivati ad un certo punto della propria formazione artistica, di provare a destrutturare la forma-canzone, sperimentando universi altri?

Allora non è stata una cosa voluta. È il mio modo di scrivere ed è molto simile a quella di Iacopo, come affinità di scrittura. Scriviamo per sezioni, non per ritornelli o pre-chorus. Questo Iacopo lo ha capito subito ed è una cosa molto bella e rara. È un processo di scrittura compositivo molto faticoso.

Mentalmente penso sia una sfida molto più ardua che fare un brano strofa-ritornello, ad esempio.

Sì, le vie sono molteplici.

La vedi come una libertà positiva il non essere vincolata ai canonici tre minuti di brano?

Allora c'è un doppio lato: da una parte questa via ti regala tanta libertà, ma poi il difficile è selezionare e rinunciare. Tornando ad A te sola, credo ci siano una cosa come cinquanta versioni differenti.

Magari uscirà una versione parallela più avanti?

Chi lo sa, magari!

Di questi tempi, l'anno scorso, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Vieri Cervelli Montel: ci aveva detto di curare vari progetti grafici e ha anche questo ruolo in Spira: qual è stato il percorso di selezione della parte visuale dell'album? L'avete fatto insieme? 

Lo abbiamo fatto insieme, ma in tempi strettissimi. È stato un lavoro brevissimo, giusto poco prima dell'uscita. Ho fatto una grande serie di scatti con Piera Masala, una fotografa sarda molto brava con la quale mi sono conosciuta per puro caso. Abbiamo da subito instaurato un legame intenso e ho selezionato questa foto che appartiene al primissimo shooting, più istintiva e spontanea, correlata alla natura e al processo creativo. È tutto legato al mio istinto.

Ph. Piera Masala

Quindi non hai mai pensato prima ad un disco, anche nel mentre che lavoravi ai tuoi brani?

No. Ho scritto tantissimo e poi, soltanto dopo, gli si è data una forma al tutto.

Siccome stiamo parlando di parte visuale, allora dimmi un po' com'è nato il video di Carme e in che modo è stato scelto come unico singolo pre-uscita.

Carme la sentivo, assieme a Iacopo, come se avesse la misura giusta. Non troppo violenta, né aggressiva, né ballata troppo dilatata. Abbiamo detto che Carme è una ballad sognante, onirica: nasceva da un arpeggio di chitarra e le note le abbiamo poi passate in MIDI e suonate sul Juno. Per il videoclip, ci sono state delle riprese fatte da Piera Masala che Alessandro Gagliardo ha miscelato con immagini sue d'archivio. Ogni ascoltatore può trarne ciò che desidera, anche Gagliardo stesso ha dato una sua pure interpretazione. Il video è molto affine all'animo del brano, con immagini eterne, assolute. Per me erano perfette, sembravano un delirio, una conquista un sogno. Di Carme (ma come di tutti gli altri brani), a Iacopo mandavo le pre-produzioni, un indirizzo di produzione di arrangiamento, ma con suoni limitati.

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Ti devo interrompere un attimo: ma non avevi paura che, affidandoti molto ad una figura terza come Iacopo, potesse un po' cambiare la tua idea iniziale?

No, perché Iacopo è stato molto attento a questo aspetto, perché ha lasciato carta bianca sulla composizione finché potevo. Nel senso, non influenzava mai il processo creativo di scrittura a parte due episodi. Ogni cosa che faceva venire il brivido a me, lo faceva venire a lui, quindi siamo stati molto insieme su tutto.

Adesso però mi hai incuriosito: quali sono stati i due episodi che hanno rappresentato l'eccezione sull'influenza del processo creativo?

La parte finale di Arca, quando la coda si apre. Iacopo ha scritto il giro armonico ed è riuscito molto ad aprire quella struttura. E poi Ora, che doveva essere un brano solo sussurrato, parlato. Quelli che canto sono dei versi in gallurese che indicano un atto di rivincita, di rivendicazione identitaria. "Il giorno si imbrunisce/istante nuovo in Terra che mi vede entrare/l'anima varia e viva delle ore e degli istanti/la mia triste vita rinasce/di primavera". Ad un certo punto Iacopo mi dice di far accadere qualcosa all'interno di Ora: mi manda quindi una bozza di tre-quattro accordi ciclici che ci stavano benissimo nella seconda metà della traccia.

Essendo uno studioso del linguaggio anche da un suo punto di vista cognitivo volevo chiederti, in merito anche al particolare uso che fai della lingua/linguaggio cosa rappresentasse per te e quale definizione potergli dare.

Il lavoro che ho fatto con la lingua, con termini sia inventati di sana pianta che plasmati tra varie lingue. Questo linguaggio mi rende libera. Appena prima di iniziare a lavorare a Spira, ho musicato tantissime poesie di un poeta del '700, che scriveva in gallurese arcaico. Questo mi ha fatto crescere e mi ha stimolato molto dal punto di vista della fonetica e della scrittura stessa. Questo musicare le poesie è, poi, col tempo, però, divenuta un limite e ho dovuto trovare un escamotage per uscirne ed esprimermi musicalmente. Ad oggi non ho mai scritto in italiano ed è per quello che mi servivo di parole. La chiave è stata l'avere proprio quel limite lì, così mi ha permesso di sentirmi totalmente libera, utilizzando comunque più ceppi linguistici, ricavandola da dentro me stessa.

Làira ad esempio è una parola totalmente inventata credo.

Esatto. Mi regalano respiro, libertà. Mi piace molto la voce come strumento e la ricerca timbrica musicale. Forse derivante anche dai miei ascolti di musica israeliana strumentale o dal jazz, dove l'improvvisazione gioca un ruolo fondamentale.

Leggo che hai partecipato al RioHarp Festival: com'è stata quell'esperienza, cosa ti ha dato?

Risale al 2015, quindi tantissimo tempo fa. Ero un'altra persona musicalmente parlando. Andare dall'altra parte del mondo con un'arpista è stata una bellissima palestra. Impattante, te la devi cavare totalmente da sola. Abbiamo arrangiato brani complessi per arpa e voce e la performance era un set totalmente inedito, mai suonato live prima. Mi sono ricordata solo ora che in quel particolare concerto suonai qualcosa in sardo e il pubblico venne immediatamente catturato e rimase estasiato. Un mio amico un giorno mi disse: "Essere molto local, significa essere molto global". Quando tu hai un'identità forte, culturale, arrivi di più, esci di più. Quando cerchi di solidificare le tue radici, anziché andare altrove, toccando personalità altre, è sempre una vittoria. Tendiamo spesso a cercare il bello altrove, magari sta nel mio locale, sta dentro di me.

La citazione sembra molto simile ad un libro di Bauman: "Globalizzazione e glocalizzazione". L'hai fatto con cognizione di causa?

Ma davvero?! Assolutamente no. Magari l'amico che mi ha detto questa cosa l'ha tratta proprio da lì!

È previsto un prossimo tour estivo? Se sì, in che modalità di formazione?

Le prime date andrò a suonare in un set parecchio elettronico, ma non so ancora io per bene. Ad ogni modo, ci vedremo sicuramente in giro per lo Stivale quest'estate!

Ph. Piera Masala