30 novembre 2022

Suonare con gli amici di una vita al Su:ggestiva: intervista ad Adriano Viterbini degli I Hate My Village

Quattro amici. Una batteria, una chitarra, una voce, un basso. Ingredienti? "Solo" tanto rispetto e coinvolgimento reciproco. Questo sono, in grandissima sintesi, gli I Hate My Village, supergruppo formatosi nel 2018 dall'incontro di Adriano Viterbini con Fabio Rondanini, Alberto Ferrari e Marco Fasolo (produttore, ma all'opera, saltuariamente, anche come bassista).
Abbiamo raggiunto telefonicamente Adriano che, forte della sua carriera con i Bud Spencer Blues Explosion, ha portato la sua grande conoscenza musicale sul palco del Su:ggestiva Festival lo scorso 27 ottobre. Ci ha raccontato di essersi calato entro un ambiente congeniale, con session di prova aperte al pubblico, ma che come gruppo non avevano mai realizzato prima d'ora. In questo particolare concerto, tra le rovine dell'Appia Antica in una dimensione veramente... suggestiva, gli I Hate My Village erano senza Alberto Ferrari, impegnato in un tour sold out con i Verdena.
Ma i componenti (così come la musica) della band mettendosi in continua discussione, non si abbatte davanti a praticamente nulla. Suoni stoppati, innovativi, rivisitazioni di alcuni pezzi del primo album, inserimento di jam session improvvisate, nuovi orizzonti. Tutto questo e molto altro sono gli I Hate My Village.
Abbiamo iniziato a parlare con Adriano da dove ci eravamo lasciati l'altra volta (in piena quarantena, in diretta su Twitch): l'EP Gibbone, finalmente uscito nella sua interezza. E siccome la chiacchierata è durata un bel po', ci siamo tolti anche qualche sfizio di tipo tecnico riguardante le sue chitarre utilizzate ai live.
I Hate My Village, but I love their music.

Ph. Music Photography Academy

Ci eravamo sentiti in quarantena, perciò non era ancora uscito Gibbone, l'EP. Volevo chiederti come fosse nata la collaborazione con Emanuele Quartarone per il video del singolo.

Devo confessarti che siamo stati proprio fortunati. È nato in modo molto naturale. Il regista (amico di Fabio), tornato da un viaggio a Panama, aveva acquisito questo materiale originale con tutta una sua visione e che avrebbe utilizzato a tempo debito. Quando Fabio gli ha fatto sentire il lavoro che stavamo facendo (un viaggio, anche per noi, in presa diretta, un po' come Ruderi stessa), quindi lo smantellare reiteratamente la forma-canzone, lui, ascoltandolo, ha deciso di fare questo esperimento. Quando ce l'ha mostrato ci ha emozionato, ci siamo divertiti. Per noi, per la nostra idea di musica, era un visual perfetto.

Quindi dietro c'è un lavoro di organizzazione non indifferente nonostante I Hate My Village sia un side project.

Guarda, io non lo vedo come un side. Ma un'opportunità per le nostre vite da musicisti. Dopo aver avuto molta esperienza con il concetto di band (e continua ad esserci, sia chiaro!), trovare questa sorta di "amichetti delle elementari o del liceo" con i quali mi capisco al volo è bellissimo perché c'è una dimensione in cui ci ispiriamo a noi stessi. Con Fabio, Marco, Alberto è come se fosse un intreccio e trovare la quadra è stato, banalmente, trovare un suono nostro, che ci appartiene. Siamo dei privilegiati, che fanno la cosa che hanno sempre voluto fare, non standard, un po' che possa responsabilizzare il concetto di spettacolo e di sensibilizzazione ad un ascolto di musica "altro", che possa far anche un po' riflettere.
È chiaro che quando il tempo non si trova (vedi Alberto ora in tour sold out con i Verdena) cerchiamo sempre di essere camaleontici e organizzarci di conseguenza.

Dal vivo, al Ruderi, vi ho trovato particolarmente duttili: anche quando dovesse mai mancare un componente, non ci sono problemi: si riarrangia, si sperimenta.

Sì, ci si ridisegna costantemente e ci mettiamo spesso in discussione. Credo sia questa la nostra arma vincente.

È stata la prima esperienza di residenza dal vivo?

Sì, soprattutto nel contesto prestigioso entro il quale ci trovavamo. Io ho riascoltato il materiale che abbiamo prodotto in quei giorni, sicuramente pubblicheremo e ne uscirà qualcosa in futuro. È stato troppo figo!

Al Parco dei Quintili mi sono ritrovato davanti degli I Hate My Village molto sperimentali, particolari. Il vostro stesso cavallo di battaglia, Tony Hawk of Ghana, è stato pesantemente riarrangiato (vedi anche gli effetti sulla voce), ma, nonostante sia un grandissimo fan della versione originale, ho apprezzato tantissimo anche questa dal vivo. Volevo chiederti, per quanto riguarda dei progetti futuri, anche con qualche inedito, tornerete su quella strada lì? Più di sconvolgimento della forma-canzone?

Guarda, non lo sappiamo. Abbiamo accumulato così tanta musica che non credo che sarà totalmente improvvisato. So che ne abbiamo tanta e quest'anno la continueremo a registrare. Te ne potrò parlare alla fine dei lavori, anche quando avremo soltanto dei brani brevi, ma terminati. Per adesso è un cantiere aperto. Sta germogliando, forse anche dentro di noi, un eventuale prossimo lavoro.

Entriamo più nel merito dei live al Su:ggestiva: quali sono state le differenze tra le due prove e il concerto vero e proprio del 27?

Le prime due prove le abbiamo fatte come se stessimo cadendo da un aeroplano senza paracadute, mentre il 27 un po' sapevo cosa saremmo andati a fare perché erano le esecuzioni delle migliori jam dei due giorni precedenti. Dentro di me mi sono vissuto meglio i due giorni "di creazione da zero", ma riascoltandomi il giorno del concerto vero e proprio mi sono comunque piaciuto, nonostante non mi siano entrate due cose che avrei voluto fare.

Domanda tecnica: ho visto che utilizzavi delle chitarre molto specifiche. Ne ho notata una in particolare, un'acustica elettrificata: è di liuteria?

Allora, è una Stella della Harmony tipo Parlor, in scala corta. Le vendevano negli anni '50 via posta e ho preso il pickup di una mia vecchia chitarra e l'ho inserito nella Parlor stessa, perché volevo avere un suono molto lo-fi filtrato da un humbucker blade super hi-fi, con tantissimo volume e definizione in potenza. Volevo ricercare un suono "stoppato" e una personalità particolare.

Domanda conclusiva: un'esperienza come quella del Su:ggestiva, la replichereste?

Assolutamente. Mi sono sentito nella mia dimensione, ma più che altro mi sono ritrovato a suonare con altre due persone sulla stessa mia lunghezza d'onda, che vivono la musica come me. Non avevamo paura di una soluzione nuova. Quando capita una cosa così (ed è rarissimo) mi emoziono, perché è come se vivessimo e sentissimo la musica "con lo stesso battito" e questa cosa mia accade molto con tutti e tre gli altri componenti. È come se fossimo "incollati", non so se mi spiego...

E tutto questo Marco come lo vive?

Marco è un genio per me. Non so se hai sentito il suono del suo basso... e ha un'umiltà fuori dal comune. Ha deciso di suonare il basso per noi, nonostante sia il cantante e chitarrista della prima band (i Jennifer Gentle, ndr.) che ha firmato un contratto discografico con la SubPop quasi vent'anni fa. È una persona con una grandissima etica del lavoro, coraggioso e soprattutto fedele.

Ma allora chiudiamo il cerchio: dimmi una caratteristica che Fabio, Marco e Alberto ti hanno dato e che prima, sicuramente, non possedevi in quanto musicista

Da loro ho imparato tutto. In primis? Sicuramente il coraggio. Il coraggio di sperimentare, di realizzare musica un po' al di fuori della mia zona di comfort e poi mi hanno dato il coraggio di credere nella mia visione e in quella degli altri. Sai quando hai fiducia completa nell'altro? Ecco, loro mi hanno trasmesso questo. So che, se mai sarò sottotono, loro mi aiuteranno e mi porteranno verso dei lidi più tranquilli. Questa è la prima cosa che mi è venuta in mente, ma ce ne sono sicuramente tante altre...

Quindi prima di conoscerli eri un po' con "il freno a mano tirato"?

Sai, dopo tanti anni che suonavo mi trovavo come in un nucleo e ci stavo bene. Ma suonare con gli I Hate My Village, con i miei amici, mi ha rimesso costantemente in discussione e mi ha tenuto vivo, musicalmente parlando. Collaborare con loro ha colmato, di certo, un vuoto. Credo ci siano vari livelli di amicizia e quello che ho con loro è sicuramente il più alto: quando gli amici con cui condividi qualcosa ti aiutano a migliorare.