30 giugno 2023

"Scusate se siamo troppo poco british": intervista ai King Hannah

Hannah Merrick e Craig Whittle prima di essere un duo, sono la definizione vivente di complicità. Un aspetto che al primo ascolto potrebbe sfuggire. Ripensando poi alle combinazioni di chitarra e voce che abitano tutte le tracce di I’m Sorry, I Was Just Being Me (2021), ci si rende conto che sì, i King Hannah non esisterebbero senza quel feeling in apparenza impercettibile. Eppure, la prova definitiva la si ottiene quando nella loro cucina, rispondono alle domande dialogando tra loro e stuzzicandosi a vicenda. C’è Hannah che sostiene che nei testi del nuovo album c’è qualche riferimento a Liverpool, mentre Craig non è convinto e la contraddice ridendo.

Sullo sfondo, appoggiata al divano, c’è la custodia nera di una chitarra, di sicuro piena; sulla destra c'è un’acustica pronta all’uso. Segno che la passione per la musica non li lascia mai in pace e che si stanno preparando per il loro prossimo tour che attraverserà anche l’Italia da nord a sud: tre festival, Sexto ‘Nplugged, TOdays e Ypsigrock, e una data a Sant’Elpidio a Mare nelle Marche.

King Hannah duo promo picChe ricordo avete del pubblico italiano?

Hannah: Oh, ce lo ricordiamo benissimo. Passionale. È molto divertente suonare in Italia.

Craig: Io lo ricordo come uno dei pubblici più rumorosi in assoluto. Non è un caso che torneremo più volte in Italia quest’estate. Voi italiani avete così tanta energia e date proprio l’impressione di amare la nostra musica.

Siete un duo molto affiatato, eppure non vi conoscete da tantissimo tempo. Come sono nati i King Hannah?

C: La prima volta che ho visto Hannah è stata qui a Liverpool, durante una sorta di serata musicale universitaria dove si esibiva un mio amico. Devo dire che quella sera la musica era davvero pessima, suonavano delle cover orrende di Stevie Wonder e roba simile. Poi a un tratto è salita sul palco Hannah che, con una chitarra acustica, ha cantato questo brano folk. Mi sono detto: “Mio Dio, ha una voce incredibile!”.
Due anni dopo, quando ho iniziato a lavorare come cameriere in un locale, sempre qui a Liverpool, la riconobbi. Hannah in realtà era la mia tutor lì dentro, le era stato detto di insegnarmi ad apparecchiare, a pulire i tavolini, a portare il cibo e tutto quel genere di cose. E io ero tipo: “Ehi, mi ricordo di te, sei la ragazza che ha cantato quella sera”. Hannah si imbarazzò molto, ma poi da lì siamo diventati buoni amici. Poi abbiamo scoperto di avere anche gusti musicali simili, così abbiamo iniziato a suonare insieme.

A Well-Made Woman e It’s Me and You, Kid, la prima e l’ultima canzone del vostro album di debutto, sembrano parlare proprio di voi due e della vostra storia.

H: Bom bom bom (canta n.d.r.), abbiamo subito pensato che quell’intro fosse perfetta come apertura del disco. A Well-Made Woman aveva questa chitarra accattivante, per certi versi anche un po’ strana per essere la prima cosa in assoluto che si ascolta del nostro album. Entrambi amiamo le melodie di chitarra non convenzionali. Credo che sia la traccia d’apertura migliore che potessimo scegliere. Invece,  It's Me and You, Kid è come una celebrazione del viaggio musicale e della relazione tra me e Craig, e in un certo senso riassume tutto ciò che si è appena sentito nelle canzoni precedenti. Eh sì, in fin dei conti, tutto parla di me e Craig.

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Hannah tu sei nata e hai vissuto la tua adolescenza in Galles. Come è stato trasferirsi a Liverpool e quale è stato il primo impatto con la città?

H: Mi sono trasferita a Liverpool per studiare all’università, per cui ero molto felice ed eccitata all’idea.  Nonostante sia nata in una piccola cittadina, non sono mai stata una ragazza di campagna. Anzi, direi che sono molto più una ragazza di città. Ad ogni modo Liverpool non è gigantesca, è più a misura d’uomo. È molto piccola in confronto a Londra, per esempio. Per cui ero pronta a trasferirmi ed era un mio desiderio.  Non avevo paura e sono stata subito assorbita nella vita universitaria. L’impatto, quindi, non c’è proprio stato, mi sono abituata rapidamente.

Com’è il vostro rapporto con la scena musicale di Liverpool?

C: Piuttosto strano. Voglio dire, non ci sentiamo molto connessi e semplicemente non sembra neppure esserci in generale una vera e propria comunità. Non so, in parte dipende dal fatto che i locali e le venues chiudono in continuazione. Non sembra esserci una scena musicale come ce ne sono in altre città.

Per questo motivo molti artisti scelgono di spostarsi a Londra, immagino.

C: Penso di sì. Non solo Londra, ma anche città più piccole come Bristol e Manchester dove la musica è rilevante. Noi crediamo che la nostra musica non sia molto britannica nel suono comunque. Rispetto ad altri Paesi, in Inghilterra otteniamo risultati inferiori in termini di ascolti streaming e di numero di gente ai nostri concerti. Sembra che riusciamo ad entrare più in connessione con il resto del pubblico europeo, persino con quello americano. Quindi, forse per questo motivo, non ci sentiamo molto legati a Liverpool o a chiunque altro qui nel Regno Unito, il che è triste. Però in compenso veniamo più spesso in Italia che è un paese bellissimo.

Come nasce una canzone dei King Hannah? Avete un modus operandi o una divisione dei ruoli tra voi?

C: Di solito iniziano con un'idea che ci mostriamo l'un l'altro. Può essere qualcosa su cui uno di noi due ha lavorato in camera da letto, come un pezzettino di chitarra o un testo. Se crediamo che possa funzionare, iniziamo a lavorarci, a fare delle jam e vediamo fino a che punto può essere trasformato e diventare una canzone completa. Non abbiamo, quindi, dei ruoli specifici. Ognuno di noi può proporre un riff o un’idea di testo da sviluppare, sulla quale poi ci si concentrerà insieme.

Un processo istintivo.

C: Esatto. E ormai capiamo quando sta succedendo qualcosa, quali parti funzionano. Riusciamo a sentire le stesse sensazioni. E ci fidiamo l'uno dell'altra. Ti fidi di me?

H: Sì.

C: Ok, bene. (ride n.d.r.)

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Il vostro suono è crudo e spaziale allo stesso tempo. Il vostro primo album suonava più scuro dell’EP precedente. Da cosa deriva quest’evoluzione?

H: Non credo che sia stato fatto apposta. Volevamo che suonasse in modo diverso. Beh, non completamente diverso ma, almeno in alcuni aspetti, differente.

C: C'erano cose che non amavamo nell'EP e che sapevamo di poter fare meglio. E abbiamo anche iniziato ad ascoltare nuovi generi di musica, nel frattempo, prima di registrare il disco. Ascoltavamo molto roba alla Bill Callahan e Smog, band dal suono più oscuro. L'EP era forse un po' più War on Drugs. Abbiamo tentato di andare nella direzione opposta e volevamo che l’album suonasse molto più grezzo e reale. E così abbiamo tolto il tocco scintillante, come i synth che erano molto presenti in passato.

H: Abbiamo anche intrapreso la filosofia del more is less. Abbiamo cercato di fare meno con una maggiore stratificazione.

C: Sì, abbiamo provato ad attenerci alla quantità di strumenti che potevano essere suonati realisticamente sul palco. Nel live si riesce a sentire ogni elemento alla perfezione, puoi comprendere cosa sta accadendo. Per questo motivo c'è molto più spazio nell'album, il che lo rende anche un po' più scuro.

H: E permette alle persone di immergersi un po' di più. Forse è perché puoi sentire il nostro essere umani. Questo è il tipo di musica che amiamo e questo è il tipo di musica che vogliamo fare. Umana.

La vostra musica è influenzata principalmente dagli anni Novanta e Settanta e nel vostro primo album si percepisce una forte componente umana e nostalgica. Cosa rappresentano per voi queste due epoche?

C: Beh, io amo in modo particolare la musica degli anni Settanta. In particolare tutto ciò che possiede quel tocco alla Neil Young. Invece, gli anni Novanta rappresentano l’infanzia. Eravamo entrambi bambini in quegli anni, perciò è impossibile non esserne influenzati. La nostalgia di cui parlavi deriva proprio dal nostro amore per la musica e la cultura di quel periodo. È il momento in cui stavamo crescendo e scoprendo chi fossimo. Sono quelle cose collegate tra loro che ti rimangono incollate addosso per sempre.

H: A livello di musica io associo gli anni Novanta al suono delle chitarre e alla rabbia che traspariva dalle cantanti di quel periodo. Era forse la prima volta che vedevo quel tipo di donne nella musica. Mi colpì proprio quel tipo di artista ribelle e arrabbiata. Quella musica poi, solo melodie semplici. Melodie semplici, ma fantastiche.

Tra queste Hannah, ce n’è una che più di ogni altra rappresenta un riferimento artistico per te? 

H: Sì, la mia preferita è PJ Harvey.  Devo essere sincera, allora non l’ascoltavo molto. Ho imparato ad apprezzarla col tempo e oggi la comprendo totalmente. Anche lei è cambiata negli anni, ma resta sempre enorme.

Uscirà il suo nuovo album (I Inside the Old Year Dying) il prossimo 7 luglio.

H: Sì. Purtroppo, noi saremo impegnatissimi in studio quando suonerà dal vivo qui nel Regno Unito, quindi non potremo andare a vederla in concerto. Peccato, sarà per la prossima volta.

Penso che una delle canzoni più interessanti sia una delle eccezioni dell'album. In Ants Crawling on an Apple Stork è Craig a cantare.

C: È una canzone a metà. Non è come una canzone completa. Avevo solo in testa quel ritornello e un paio di versi casuali che mi ricordavano l’infanzia e le cose di quando ero piccolo. È una specie di piccola istantanea che somma varie sensazioni: essere giovane e possedere quello sguardo in avanti nei confronti della vita e delle cose, sentirsi triste per non esserlo più e infine provare nostalgia per la giovinezza.

Sono stato anche affascinato da Berenson che somiglia alla colonna sonora di un film. Immagino che anche il cinema vi ispiri durante il processo di scrittura.

C: Noi cerchiamo sempre di dare un’aura cinematografica alla musica che facciamo o renderla tale che si presti a essere inserita in un film. Ci capita sempre più spesso di ascoltare le nostre canzoni preferite nei film o di scovarne altre che ci piacciono. Vogliamo sempre che il pubblico abbia un tipo di reazione emotiva alla nostra musica, come avviene al cinema. Deve condurlo in un viaggio allo stesso modo dei film e fare, in caso, anche riferimento ad essi. Quindi penso che ci influenzi direttamente perché guardare film è una delle cose che amiamo di più.

Avete mai pensato di scrivere una vera colonna sonora? C'è un regista per cui vi piacerebbe lavorare?

C: Certo, credo che lavorerei con qualsiasi regista me lo chiedesse.

H: Craig sarebbe fantastico, io non so se sarei molto capace (ride n.d.r.). Ma a prescindere è una delle cose che abbiamo messo in lista. Prima o poi accadrà.

Ora state lavorando al vostro secondo album. In Italia continuiamo a ripetere che il secondo album è il più complicato della discografia di un artista. Come state vivendo questo periodo? Il successo del debutto vi rende più ansiosi?

H: Procede abbastanza bene. Stiamo lavorando a testa bassa, andiamo avanti e facciamo il meglio che possiamo fare. Tentiamo di non sentire le pressioni esterne anche se ne siamo molto consapevoli, ricordandoci che in fin dei conti la musica è divertimento. È il nostro sogno, si sta realizzando in questo ultimo anno e mezzo e dobbiamo fare di tutto per farlo proseguire. Bisogna rimanere concentrati e essere convinti che andrà tutto bene.

Penso che il divertimento sia fondamentale per fare musica. Negli ultimi due anni molti artisti hanno sofferto di problemi di salute mentale. Sto pensando ad Arlo Parks, Little Simz e altri. È importante divertirsi mentre si fa musica.

H: Sì, e penso anche che da artista tu debba tenere conto della differenza tra qualcosa che hai scritto col cuore e qualcosa che invece hai fatto e che credi solamente di amare, ma non ami. Al secondo album hai un sacco di persone in più da accontentare e in un certo senso tendi a dimenticare di compiacere prima te stesso. Quando cadi nel tranello perdi tempo ad inseguire l’idea che credi giusta, ne diventi ossessionato e perdi di vista ciò che ti piace per davvero. La differenza di sensibilità è come tra la notte e il giorno, qualunque sia il lavoro che stai facendo. Quindi devi divertirti.

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E il sound di questo nuovo album? Sarà più simile alle chitarre ruvide di Go-Kart Kid (Hell No) o più etereo come I’m Not Sorry, I Was Just Being Me?

C: Ora stiamo cercando di provare cose nuove. Anche se, essendo appunto il secondo, abbiamo già un piccolo pubblico di appassionati che non vorremmo disorientare troppo. Quindi si crea questo cortocircuito: da un lato vorresti ricompensare in fan, dall’altro hai voglia di sperimentare un po’. Magari, in questo modo, guadagni qualche nuovo ascoltatore.

H: Sì, vogliamo espandere il nostro pubblico. Credo che tra le due tracce che hai nominato, il nuovo disco sia più affine a Go-Kart Kid.

C: Sì, anche per me. D’altronde, Go-Kart Kid è la mia canzone preferita e quella che mi piace di più suonare dal vivo. Abbiamo passato un anno a fare concerti in giro e sul palco siamo un po' più pesanti ed energici nel suond. Questo sta influendo, stiamo cercando di realizzare un album che suoni come un live, con canzoni un po' più veloci. Stiamo ancora cercando una quadra precisa, ma l’intenzione è questa.

H: L' altra parte difficile di tutta questa faccenda è la naturalezza con cui ascolti nuovi artisti e la repentinità con cui cambiano i tuoi gusti musicali. I’m Not Sorry l’abbiamo scritto due anni fa. I nostri gusti musicali sono cresciuti molto da allora, ora ascoltiamo molti altri artisti, e questo viene fuori quando scrivi. Quindi speri solo di fare la cosa giusta e che quelli che già amano la tua musica continuino ad amarla.

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I King Hannah saranno live in Italia quest'estate:

7 luglio @ Sexto 'Nplugged Festival - Sesto al Reghena (PN)
12 agosto @ Ypsigrock, Castelbuono (PA)
25 agosto @ TOdays, Torino
26 agosto @ Mayday Bonus Track, Sant'Elpidio a Mare (FM)