Non chiamatelo padre dell'indie italiano, perché non gliene frega niente. Esiste solo un termine che lo possa descrivere, ed è il suo nome: Bugo.
Dopo due anni di silenzio e altrettante partecipazioni al Festival di Sanremo, Cristian Bugatti è tornato a inizio estate con il suo nuovo singolo Un Bambino e un tour estivo che l'ha portato in giro per l'Italia.
Passano gli anni, ma la sua cazzimma è quella di sempre: emerge dalla sua musica e anche dalle sue parole durante quest'intervista senza peli sulla lingua. Tra critiche verso la trap e l'it-pop, pareri sull'intelligenza artificiale, e il litigio (che tutti conosciamo) con Morgan, ecco quello che ci ha raccontato.
Un bambino segna il tuo ritorno: quando me lo sono messo in cuffia lo prima volta, ho pensato subito “che bomba”.
Ne sono felice! L’effetto che deve fare è quello. Parte subito in quarta: o ti irrita o ti gasa. Mi fa piacere che ti ha fatto quell'effetto lì. Dopo due anni di silenzio, dopo tutto il caos che c’è stato, è come se volessi dare una sberla.
Ho avvertito molto le tue radici musicali: gli anni ’90, gli Oasis, i Nirvana…
Volevo tornare dopo Sanremo con qualcosa che fosse completamente diverso. In tutta la mia carriera il disco successivo è sempre uno schiaffo a quello precedente. Non perché non mi piaccia, ma perché mi tiene vivo. In questo momento penso che la gente abbia bisogno di un certo tipo di carica e quindi ho pensato: cos’è che mi ha sempre dato la carica quando avevo 20 anni? Era quella cosa lì: per mio padre erano gli anni ’60 di Hendrix, per me i nomi che hai citato. La musica indipendente italiana degli anni ’90 mi faceva cagare tutta. Per fortuna quella straniera l’amavo e hai citato dei nomi che mi hanno formato. In questo primo singolo volevo che si sentisse quell’irruenza che io avevo avevo a 17-18 anni. Vorrei trasferire tutto questo ai miei fan e alla gente, soprattutto dopo il periodo di merda che abbiamo passato negli ultimi tre anni (chiaramente mi riferisco al caos sociale pandemico).
So che l'ispirazione per questo pezzo è stata una folgorazione, nel senso che un giorno ti sei svegliato con questa melodia in testa e sei corso in studio per registrare tutto in presa diretta coi ragazzi della tua band.
Esattamente. Anche in passato mi era già successo altre volte. Quando mi accingo a fare un disco, non ho mai il materiale completo al 100%, se no sai che noia. Solitamente mi riservo un margine di rischio che è alto, il 50% di quando pianifico il disco non è scritto. E questa cosa sballa i discografici, che mi chiedono “che cosa mi devo aspettare?”. E io rispondo che non lo so, non ho una formula magica. Però questa cosa, il sapere che qualcosa non è scritto, mi tiene molto vivo. Un bambino è nata così: una mattina sono arrivato in studio presto alle 9 - sono mattiniero da sempre nel mio lavoro, la mattina è il mio momento migliore, anche se si pensa che per i rocker sia la notte - e ho iniziato a provare questo motivetto che avevo in testa coi ragazzi della band (neanche al completo, perché mancava il chitarrista che stava arrivando). Ho fatto una melodia, è arrivato il chitarrista e l’ha completata, mi ricordo che era tipo tarda mattinata. Poi li ho mandati in pausa per chiudere il testo, l'ho scritto in 5-10 minuti e nelle due ore successive abbiamo registrato la canzone che hai ascoltato. Certe cose devono venire così. Non è che mi sono messo a interrogarmi se fosse bello o no. Eravamo gasatissimi. A fine giornata ci siamo andati a mangiare la nostra pizza e ci siamo ubriacati perché eravamo tutti molto contenti di questo risultato. E sono contento che l’hai presa così tu e tante altre persone che l'hanno ascoltata.
È il tuo primo estratto. Cosa ci puoi dire del nuovo disco?
L’album è completo, l’abbiamo registrato nei primi 7 mesi del 2022. Poi ci sono voluti altri mesi per cambiare etichetta, agenzia booking, tutto sommato siamo stati veloci. In genere quando un accordo viene fatto, passano altri mesi prima che si esca discograficamente. Due anni di attesa è il minimo sindacabile. I pezzi sono tutti diversi l'uno dall'altro. A me non piace fare i dischi monotematici, difficilmente i miei dischi lo sono. Non faccio un album con 10 canzoni d'amore o 10 canzoni rock o 10 canzoni psichedeliche, mi piace raccontare la vita in diverse sfaccettature. L’impronta però sarà quella che senti in Un Bambino. I pezzi sono stati fatti tutti senza sequenze: non c'è niente di elettronico, niente di campionato, niente di quantizzato. Dopo 20 anni ho tenuto anche gli errori. Che poi magari quelli li sento solo io, ma non le sente nessun altro. Sono quelle cazzo di imprecisioni che possono sentire solo le macchine, ma chi se ne frega. L'importante è che nell'insieme tu senti il singolo e dici “cazzo, bello potente!”.
Hai citato le macchine: da artista che rapporto hai con lo streaming?
Partiamo da Spotify, che per me è una gran figata, in più ho anche questa bella chicca: nel 2013 Spotify Italia mi chiamò e fu una sorpresa per me, perché in quel periodo ero fermo e vivevo in India dedicandomi all’arte visiva. Mi contattò una ragazza che cito volentieri, Veronica Diquattro, che ora lavora per DAZN, e in pratica fui uno dei primi a collaborare con loro, facemmo una playlist che tuttora esiste e si chiama RadioBugo. Questo per dirti che questo lato tecnologico, in questo caso Spotify, mi è sempre piaciuto perché riesco a comunicare con i miei fan i miei ascolti, non solo le mie canzoni. Non sono pro vinile o pro Spotify, a me il supporto non interessa. A me interessa la canzone: se è bella, lo rimane a prescindere dal supporto.
E per quanto riguarda l'intelligenza artificiale?
Ne ho ho parlato qualche tempo fa su Twitter. Mi son detto “cazzo, se ora le macchine possono pure imitare le voci, se possono scrivere una canzone, io che cazzo ci sto a fare? Se uno mette tutti gli hashtag di Bugo, i miei gusti e fa una canzone alla Bugo, a che cazzo servo io?" Mi immagino da un lato un futuro dove la maggior parte del mondo pop, chiamiamolo così, sarà dominato dalle macchine. Una cosa tipo i Gorillaz: l'ologramma che canta, che fa i TikTok, e magari dietro c'è l'uomo che lo muove. E poi mi immagino una resistenza di musicisti alla Mad Max, una minoranza ridotta, il 5%, che come dei coglioni diranno cose come “oh 200 anni fa c'era la Stratocaster, ti ricordi?”. Me lo immagino un po' così il futuro, e non ti so dire se è una tragedia o no, ma chi se ne frega: per me conterà sempre quello che scrive la canzone, l'uomo che scrive la canzone. Se lo ascolteranno anche solo i propri familiari e quella cerchia di 10 persone, va bene. Perché noi non dimentichiamo che il blues è partito da quella roba lì: quelli cantavano nei campi per i compagni che erano lì, e basta.
Durante la pandemia si sono fatti un sacco di live streaming.
Lì ci si è fatti prendere dal fatto che uno non è capace a star fermo. Cioè, dai, c'è una pandemia: a me non me ne frega un cazzo se tu suoni live streaming, non ho voglia di vedere te che suoni, mi sembrava solo un ansia da prestazione. Pure il suonare sui balconi, mentre la gente moriva... Io capisco che la gente aveva bisogno di sfogarsi, però bisogna imparare anche a star fermi: a volte siamo vittime anche del flow della tecnologia, dei social network. Per me il futuro è anche silenzio, che non vuol dire che non faccio un cazzo, ma che uso la testa e resto lucido. Io all'epoca avevo detto sta cosa sui social e m’hanno massacrato. Ma che cazzo volete minchioni se questa è la mia opinione? “Eh ma tu non sai cantare! Sei stonato fai cagare”. Figurati, venivo da Sanremo, i più giovani magari manco sanno che suono la chitarra elettrica, m’han visto con Sincero e con E invece sì e basta, poi è arrivata la pandemia. Mi son detto "Cazzo ho 50 anni, facciamogli vedere come si fa il rock ’n’ roll." Ma non perché devono vedere Bugo, non voglio fare il maestro che è una roba da artista finito. Sono tornato alle origini per dire loro “oh raga! Quanti anni avete? 18? 20? Basta con questa trap di merda, prendete due chitarre e andate per strada. Sfogatevi e trovatevi dei temi vostri." E comunque, quando Morricone mi ha dato ragione riguardo alle riflessioni sui live streaming, mi sono sentito rincuorato (non perché mi sto paragonando a lui, ma perché la pensava come me).
Allora hai toccato molti temi interessanti.
Eh ma io sono un chiacchierone, mi devi fermare! (Ride, ndr)
Citavi la tua passione per i viaggi, del tuo periodo in India... In questi ultimi tre anni hai avuto anche modo di partecipare a Pechino Express. Penso tu lo sappia: i vincitori morali di quell’edizione siete stati tu e Cristian a mani bassissime.
Perché eravamo naturali. Poco fa parlavamo di essere umani e essere macchine. Non dico che gli altri concorrenti erano macchine. Ma a mio avviso li in tanti si sono lasciati prendere dalla gara, dimenticando che Pechino Express è un programma di beneficenza. Per ogni tappa vinta dagli indipendenti (che poi non è mai successo, ma vabbè), si vinceva un gettone che andava ai poveri locali. Mi dicevo: perché cazzo mi devo mettere a fare una gara come un coglione, litigando con gli altri, in un contesto solidale? Noi ci siamo fatti il nostro viaggio, cercando sì di stare sul pezzo, ma entro i limiti. Ho visto delle robe lì che a momenti si accoltellavano per superare una prova. Credo che siamo piaciuti perché eravamo fuori contesto in modo simpatico e molto naturale. Non era per niente costruito, volevamo essere noi stessi.
E direi che quello si è visto alla grande. A livello artistico, invece, quanto ti ha arricchito? Il fatto di viaggiare, sentire la musica di altre culture, conoscere altre usanze...
Pochissimo. Se tu pensi che sono stato in India poi in Spagna... Nei miei dischi c’e’ per caso il sitar? No. È chiaro che quando vado o visito una nazione mi faccio degli amici, ma non è che sono un malato di musica etnica. Poi quando ero in India ho avuto tanti amici musicisti che suonavano il sitar. Sono stato in diversi negozi sitar, tra cui quello dove per la prima volta andarono i Beatles a New Delhi. Mi interessano più quelle cose. Sono andato sulla Lake Boat, una barchetta di legno, dove per la prima volta George Harrison nell’agosto del 66 andò a dormire nel Kashmir. La mia mania per i Beatles è risaputa. Ma da qui a diventare George Harrison psichedelico ne passa. Poi ovviamente mi piace ascoltarla, sono pieno di dischi di quella musica. Ma l’ascolto è una cosa, farla io è un'altra: mi sentirei forzato, ridicolo.
Il fatto di essere riconosciuto come il padre dell’indie italiano ti infastidisce?
Non è che mi da fastidio, in realtà non me ne fotte un cazzo. In un mio comunicato non vedrai mai l’aggettivo “alternativo” o “indie”: io voglio essere come i miei eroi, che non sono etichettabili. Quando ho iniziato negli anni 90 volevo essere come Rino Gaetano, volevo seguire la mia tradizione come Vasco, Luigi Tenco, Battisti... tutti quegli artisti che sono unici, insomma. Forse può sembrare presuntuoso, ma è molto umile come cosa: quando io parlo dei miei eroi non dico che voglio essere grande come loro (anche se, in quel caso, non ci sarebbe niente male), intendo invece che voglio imparare la loro lezione. E basta. Io non voglio essere il padre dell’indie. Mi stava sul cazzo tutta la musica alternativa italiana e oggi non ho niente a che fare con l’IT Pop, con questa etichetta di merda. Non voglio essere padre, mi sentirei vecchio. Quelli che mi definiscono meglio sono i miei fan, quando dicono che Bugo è Bugo. Quando mi dicono così è tutto.
Sei un noto tifoso juventino e fai parte della Nazionale cantanti. Sei stato felice della vittoria del City sull’Inter? E a proposito di Manchester, saresti contento se ci fosse la reunion degli Oasis?
In realtà non son contento che abbia vinto il City. Tra l'altro quando l’ho vista eravamo via con la Nazionale Cantanti, di cui sono anche consigliere e te lo dico con orgoglio, mi sta dando tante soddisfazioni a livello umano. Quando vedi i bambini a bordo campo, ti dimentichi di tutte le cagatine che puoi avere in quel momento. Comunque ho visto la finale e secondo me l’Inter meritava, nell’ultima mezzora, di fare quei due gol. Alla fine ha vinto il City e ovviamente il giorno dopo ho sfottuto tutti i miei amici interisti, chiaramente (ride, ndr).
Per quanto riguarda gli Oasis, io mi auguro davvero che non tornino insieme: certe storie, se son finite, son finite. Adesso li vedo bene nella loro normalità, bisogna avere la forza di non far rivivere certe cose. So che è difficile, magari pensi: "cazzo, potremo fare una barcata di soldi". Ma questi due non ne hanno bisogno. Te lo dice uno che a fine anni 90 ha visto a Milano la reunion dei Sex Pistols, la mia prima band punk che amavo alla follia. Quando sono andato a vederli che ero felice come un bambino, ma non avevo considerato che dal '77 al '98 erano cresciuti. Vederli vecchi, lenti, appesantiti... "Cazzo, che merda le reunion", ho pensato! (Ride, ndr)
Preferisci Liam o Noel?
Li seguo entrambi, l’ultimo di Noel ad esempio mi piace, però per me gli Oasis sono gli Oasis.
A proposito di cose che finiscono: ti ha stancato ricevere sempre domande su Morgan e Sanremo?
Io la vivo con grande orgoglio, ho fatto una cosa fighissima. Io devo ricostruire la mia immagine per chi non mi conosce, per chi mi ha visto solo lì. Ma anche per quelli che mi han visto solo li, buttalo via! Ho fatto la cosa più figa di tutta la storia della televisione. Andarmene via, come a dire “fate cagare, voi tutti insieme, la TV, questo palco”. Ho azzerato tutto. Non è per fare il figo, però è stato talmente spontaneo il mio gesto che ne vado super orgoglioso. Ben venga che ho fatto una roba superflua così. Mi sono scelto un compagno pazzo, malato (perché è malato). Però me lo sono scelto bene. Non è che ho scelto un coglione palloso e noioso.
È forse un messaggio distensivo nei confronti di Morgan?
Ma stiamo scherzando? Neanche se mi sparo nei coglioni torno a parlare con quello scemo lì. Non è distensivo, volevo solo essere obiettivo. Ma non si può fare pace con uno che il giorno dopo cambia idea perché è un tossico... alcune cose semplicemente non si possono perdonare, altrimenti è come se prendessi per il culo i miei fan. Quella è stata un’infamata. E l’infamata la paghi col mio silenzio. Neanche se si inginocchia voglio far pace, anzi non deve nemmeno farlo, non me ne frega. Io vado veramente orgoglioso di quanto fatto e non ho rimpainti, rifarei la stessa cosa identica.
Assolutamente. Ultima domanda: il nuovo album uscirà quest’anno?
Non lo so. Decidiamo camminando.