"Beati gli smemorati, perché avranno la meglio anche sui loro errori" è una frase che, anche al massimo per una volta nella vita, dovrebbe appartenerci. Staccare tutto, dimenticare - che è differente dal dimenticarsi - è una giusta aspirazione. Così, come Joel Barish di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (che, nella orrenda traduzione italiana, diventa Se mi lasci ti cancello) riflette su queste parole, Any Other propone allo (smemorato) pubblico il suo terzo album stillness, stop: you have a right to remember.
Sembra una contraddizione, ma non lo è: se gli smemorati sono beati, abbiamo, al contempo, anche il diritto di ricordare. Ragionare circa chi siamo, da dove proveniamo, sul bisogno necessario di autoaffermarsi come individui. Insomma, il nuovo album di Any Other è sia un lavoro di memoria, che un importante progetto di urgenza creativa che getta le basi nel presente, dopo sei anni di silenzio. Ed è proprio in merito a questo lasso di tempo che è iniziata la nostra chiacchierata.
Rompiamo il ghiaccio: torni dopo un lungo periodo di silenzio. È giusto dire che ti sei presa un momento di pausa dalla musica?
No, per niente! Era una provocazione? (ride, ndr.)
Forse…
Di fatto non sono stata ferma un attimo in questi sei anni. Cioè, un pochino sì, perché, come dire, c’è stata una fermata obbligatoria, però, a parte una pausa fisiologica, ho suonato tanto.
Siccome è passato molto tempo, senti ancora tuo il primo disco? Parlo soprattutto a livello testuale, più che di sonorità…
Alcuni pezzi devo dire proprio no, perché, comunque, quando è uscito avevo ventuno anni e, addirittura, alcuni pezzi li avevo scritti anche precedentemente. Ad oggi sono passati più di dieci anni e, tra una cosa e l'altra, sento che il tempo sia passato. Devo dire che comunque per altri aspetti è anche bello riuscire a recuperare o riscoprire certe idee che ho avuto in passato. Direi che è un po' un metà e metà. Non lo sento del tutto mio, però in qualche modo riesco sempre ad agganciarmi.
Parlando delle sonorità, le senti molto distanti?
Direi anche lì, è un po' una via di mezzo. Perché comunque tutto quel materiale, per quanto magari adesso non sia più al 100% mio, è comunque un qualcosa che mi appartiene, anche se in modo diverso. È un piccolo pezzo di ciò che mi compone come artista. E ovviamente c'è anche un legame estetico.
In merito a ciò, volevo farti riflettere sul fatto che la copertina di quest’ultimo disco, rispetto a quella dei tuoi due precedenti lavori, è la prima ad essere in bianco e nero e a non ritrarre figure umane. Addirittura ci sono otto immagini che navigano un po' tra l'essere - ho immaginato - o degli schizzi preparatori o particolari di un'opera più grande.
C'è stata proprio la volontà di "rompere" questa mia micro-tradizione della copertina solo foto, senza scritte. Inizialmente doveva essere una copertina solo di scritte, poi ci sono state delle modifiche fatte nel percorso e sono state aggiunte quelle immagini. Il fatto che susciti l’idea che siano delle immagini di prova è voluta, perché voleva essere qualcosa in divenire. Poi, a mia discolpa devo dire in realtà che nella copia fisica del disco, del vinile gatefold, quando si apre, dentro c'è… un'immagine tutta colorata!
È la prima volta che ti coordini assieme ad un altro artista circa l'arrangiamento e la produzione, per cui ti chiedo com'è stato lavorare con Marco Giudici e perché sei arrivata alla decisione che lavorare a quattro mani su questi aspetti del disco fosse la cosa giusta da fare?
Lavorare con Marco non è stato niente di nuovo. Ormai sono dieci anni che suoniamo assieme e abbiamo cominciato piano piano a scambiarci sempre di più il proprio zampino. Anni fa ho lavorato come coproduttore dei lavori di Marco, mentre questa volta era il mio turno e siamo arrivati ad un punto di condivisione tale per cui condividere questa scelta mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Di sicuro a me è servito tanto, perché mi ha permesso veramente di rilassarmi molto di più rispetto a tutto il processo di lavorazione dei due precedenti dischi. Ho sempre avuto un po' la tendenza a non lasciarmi troppo andare e a a fidarmi poco, ma con Marco è un’intesa che dura da tempo.
Mi hai fatto venire in mente che avevo parlato lo scorso anno con Daniela Pes e lei ha anche questo rapporto molto viscerale con Jacopo Incani (Iosonouncane, ndr.)
Sì, l’importante è avere una persona alle tue spalle, di cui ti fidi anche di più rispetto alla comprensione a livello musicale. C'è tutta una parte artistica alla quale ha contribuito in modo attivo Marco e che lui sa fare e, non ultimo, c'è stato anche un immenso supporto umano.
Cambiamo argomento: personalmente ho sempre associato la tua voce, soprattutto da Two Geography in poi, a quella di Tyler Cride dei Black Country, New Road.
Lei mi piace molto, ma non ci ho mai pensato. Ha una voce molto espressiva e ha un controllo vocale che definirei imbarazzante, nel senso positivo del termine. Io ci provo, ecco.
Nonostante l'anno sia iniziato da solo due mesi, sono usciti già parecchi lavori interessanti. Hai ascoltato qualcosa che, musicalmente parlando, ti ha fatto cominciare bene l'anno?
Sì e no. Nel senso che un po' lo faccio per scelta, un po' perché sono da sempre una persona caotica negli ascolti, non seguo mai le uscite del momento. Ho questa lista infinita di dischi che voglio ascoltare e visto che sono caotica ma, al contempo, anche estremamente metodica delle cose, ho questa lista di cose che dico di voler ascoltare. Quindi, in realtà, sto ascoltando musica che è nuova per me, ma non che è nuova nel senso che è uscita da poco. Ad esempio, c’è questo disco che si chiama Recomençar, di Tim Bernanes. Bellissimissimo.
Tornando all'album, il titolo fa riferimento alla rimozione dei ricordi quando si subisce un trauma, che sembra poi in realtà, in senso particolare, un richiamo alla trama di Eternal Sunshine of the Spotless Mind. C'è un qualche tipo di filo conduttore?
Non voglio dire che sia una fissazione, però, di sicuro, c’è qualcosa riguardo al tema del ricordo su cui torno spesso. Eternal Sunshine of the Spotless Mind è uno dei miei film preferiti e l’influenza è presente anche su questo disco, sicuramente. Anche tu concordi con l'orribile traduzione in italiano resa in Se mi lasci di cancello, giusto? È tremenda, abominevole (ride, ndr.)
Specificamente per i brani dell'album, Second Thought è quella che, al primo ascolto, mi ha colpito più di tutte. Qual è stata la sua genesi?
Quel pezzo lì era nato come un arpeggio di chitarra con la melodia principale del testo ed era così, non c'era nient'altro. Poi, lavorandoci, mi ricordo che sono andata da Marco e gli ho detto che non stavo cercando un altro arpeggio di chitarra da suonare parallelamente alla melodia, quindi ho iniziato a cercare un po' di mondi che in qualche modo mi facessero sentire accolta e in realtà il mio riferimento principale è stato un pezzo della colonna sonora di The Legend of Zelda, The Great Fairy Fountain. Era esattamente questa la zona di comfort in cui volevo andare e, quindi, abbiamo iniziato a fare questi layer di suono. Una volta impostato quello poi siamo passati ad “arrontondare” le voci. Non avevo idea di dove stessi andando, ma qualcosa di bello si stava creando.
Nell'intero album c'è un largo utilizzo degli archi, molto più che negli altri lavori… Addirittura in Next Three Episodes mi sembrano quasi dialogare con la chitarra. Era il tuo obiettivo?
Più che un obiettivo, è venuto spontaneamente, perché sia nella parte di chitarra che nella parte degli archi ci sono di fatto due melodie che “cantano” assieme e, avendo spesso la tendenza a lavorare in modo melodico, quasi contrappuntistico, comunque con un fattore di interazione di melodie, mi piace farle cozzare assieme. Poi non è detto che io ci riesca sempre. È venuta da sé, devo dire.
Vorrei chiudere chiedendoti di Indistinct Chatter, che probabilmente merita un capitolo un po' a parte… Cosa c'è dietro il pensare un gioco simile? L'ho un po' paragonato ad uno scherzo stilistico, nel senso proprio della musica classica, lo scherzo. È così?
In puro senso stilistico non saprei, però in senso semantico assolutamente sì, perché comunque volevo che ci fosse un po' un doppio livello: da una parte ommettere una cosa quasi un po' sciocca, che facesse capire che comunque non ci si deve prendere per forza sul serio, quasi come dire “sì, ci sono state tutte questi brani pesanti fino ad adesso e, dal momento che sei vulnerabile, adesso ti metto una cosa che non c'entra niente così ti inquieto ancora di più”! Il piano l’ha suonato Giulio Sternieri e la sua interpretazione è estremamente avvolgente e rassicurante. A fine disco volevo mettere un po' di leggerezza, come in un libro quando trovi una postfazione leggera.
Allora, siccome mi hai detto che hai una lista incredibile di album non ascoltati, immagino tu abbia una lista incredibile anche di libri che non hai letto.
Guarda, in realtà di libri no: devo fare questa missione di colpa. Leggo pochi libri. Purtroppo, negli ultimi anni ho perso un po' l'abitudine a leggere di narrativa. Leggo articoli per lo più noiosi e… tanti manga. Dovrei ricominciare. Probabilmente c’è un'ispirazione dal mondo dei manga o delle anime, ma se ti dico cosa leggo ci deprimiamo e basta. Dobbiamo concludere questa intervista con una nota positiva…
Dai, stai iniziando un tour… più bello di così!
Quello e… giocare a Final Fantasy X. Fantastico.