10 marzo 2021

«Mi sono arresa alla realtà e ho smesso di combatterla» - Intervista a Indigo Sparke

Indigo Sparke è una cantautrice australiana nata nel ventre di Sydney da una famiglia che ha sempre avuto la musica nelle ossa, basti pensare che i suoi genitori (una cantante jazz e un musicista) hanno scelto il suo nome in onore della canzone Mood Indigo di Duke Ellington. Intorno ai 20 anni ha imparato a suonare la chitarra e, negli anni successivi, si è affermata nella scena musicale australiana, pubblicando nel 2016 il suo primo EP, Night Bloom. L'anno successivo è stata scelta come opening act per il tour australiano dei Big Thief, da cui è nato un importante sodalizio artistico e personale con Adrianne Lenker. Insieme hanno viaggiato in giro per il mondo, esplorarono città e vasti deserti, fino ad arrivare in un antico castello incastonato tra le colline del Nord Italia.
Proprio durante questo periodo è nato Echo, il suo primo disco, pubblicato il 19 febbraio per Sacred Bones. Composto da 9 tracce intense, scarne e raffinate, accompagnate da testi tanto intimi e profondi quanto cupi e, a tratti, persino inquietanti, dove amore, morte e dolore danzano perfettamente insieme.

I feel and have often felt a million different women ramble and reconfigure the corners of my mind and soul. I think in my life, I have ricocheted off so many different walls within myself. It's an endless search to understand the mysteries of life and love and history. As soon as you think you've got it, it's gone. Sometimes I feel so thin. Sometimes I feel so robust. I think that comes through the music.

L'album è stato registrato tra l'Italia, Los Angeles e New York e co-prodotto da Indigo, Adrianne e Andrew Sarlo (produttore, tra gli altri, di Big Thief e Bon Iver), mentre la sessione finale è stata mixata da Phil Weinrobe (produttore / ingegnere di artisti del calibro di Leonard Cohen e Damien Rice).

Abbiamo avuto l'occasione di fare due chiacchiere con Indigo a proposito di canzoni, lockdown, astrologia ed estate sulle Dolomiti. Scoprite cosa ci ha raccontato.

Ciao Indigo, come stai? Per cominciare ci tenevo a dirti che ho iniziato a tenere d’occhio il tuo progetto da quando ho ascoltato per la prima volta il singolo The Day I Drove the Car Around the Block e lo apprezzo davvero moltissimo, per cui sono particolarmente contenta di poter realizzare questa intervista per noisyroad.

Sto bene. Un po’ stanca e impegnata, ma sono riuscita a passare qualche ora seduta in spiaggia questo pomeriggio e mi sento fortunata per questo. Mi fa piacere che ti piaccia!

Ti trovi in Australia in questo momento, giusto? Com’è la situazione lì?

Sì! Sono in una piccola cittadina chiamata Bangalow, appena fuori da Byron Bay, nell’entroterra. Sono stata qui per la maggior parte dello scorso anno. Siamo stati molto fortunati rispetto a molti altri paesi del mondo. È stato tutto abbastanza «normale». Ci sono state molte restrizioni quando il Covid è arrivato per la prima volta a marzo, ma qui non ne sembriamo particolarmente influenzati. So che le città lo sentono di più, ad esempio Sydney ha avuto un terribile lockdown e lì puoi sicuramente sentirlo di più. Abbiamo avuto lockdown statali abbastanza presto e continuano a imporli quando si verifica un aumento di casi, penso che questo abbia impedito che il virus si diffondesse come da altre parti.

A proposito del lockdown, per te psicologicamente come è stato?

Beh, il mio anno e tutti i miei piani sono sicuramente andati in pezzi. Penso che ci sia una grande differenza tra i piani scelti e quelli forzati. Deve verificarsi una grande resa psicologica per accettare che in realtà non c'è mai stata alcuna certezza nella vita, e ora lo vediamo più chiaramente che mai, poiché l'illusione della sicurezza e del mondo come una volta lo conoscevamo è stato spogliato lontano, la vita sembra e si sente molto diversa. Mi sono presa il tempo per stare davvero con me stessa, per arrendermi alla realtà in cui mi trovavo, invece di cercare di combatterla, cosa che causa solo più dolore. Penso che questo mi abbia aiutato.
Ho vissuto così tante emozioni nell'ultimo anno. Un sacco di dolore, confusione, un mondo di sentimenti diversi, ma alla fine sento di conoscermi di più ora, in un modo più profondo, in un modo più confortante.

Il tuo debut album, Echo, è uscito il 19 febbraio. Ci tenevo a farti i miei complimenti, l’ho ascoltato moltissimo per prepararmi a questa intervista e la prima parola che mi viene in mente per descriverlo è sicuramente raffinato. Inoltre, mi ha trasmesso un enorme senso di calma. Come ti senti ora che il tuo album di debutto è finalmente stato pubblicato? Com'è pubblicare un disco in un periodo così strano?

Bene, ora siamo nel futuro e il mio disco è stato pubblicato! Sono felice che sia nel mondo. È una cosa folle guardare il seme di qualcosa che hai piantato crescere, lentamente, ma costantemente, in qualcosa che era solo nella tua mente o nel tuo cuore o in qualche spazio di immaginazione cosmica. È un periodo strano. I tempi sono strani. E niente sembra più come una volta. Non so se esista davvero un momento giusto o sbagliato per mettere l'arte al mondo. Penso che sia ciò di cui il mondo ha bisogno più che mai in questo momento. È triste che così tante esibizioni dal vivo siano state interrotte. È difficile per tutti gli artisti che hanno perso così tante entrate e il loro scopo e devono reinventare il modo in cui possono condividere con il mondo. Abbiamo i social media, ma non è la stessa cosa, niente può sostituire la riproduzione di musica dal vivo con persone reali e la condivisione di quello spazio energetico. È rituale ed è magico. Spero che possa succedere di nuovo. In questo senso, è strano rilasciare qualcosa e poi sentirsi essenzialmente come se mi stessi nascondendo, non c'è alcuna interazione o scambio immediato, quello è il bello di vedere la musica dal vivo.

Quando hai cominciato a scriverlo e quando l’hai finito? Ho letto che lo hai registrato tra LA, NYC e l’Italia, hai qualche ricordo e/o aneddoto riguardo il nostro paese che ti va di raccontarci? 

Non ricordo quando ho iniziato a scrivere alcune delle canzoni del disco. Ne ho scritte alcune anche durante il processo di registrazione. Quindi è stato un processo lungo senza un senso granché lineare del tempo.
Ho registrato Dog Bark Echo proprio in Italia in realtà, a Nord, vicino a Trento. Era come essere in un sogno. Uno dei miei ricordi preferiti - oh ce ne sono così tanti! -  è l’aver raccolto piccoli mazzi di fiori di campo nelle Dolomiti. Amo tantissimo i fiori, soprattutto quelli di campo e non potevo credere a quanti ce ne fossero, a quanto fossero belli e ai colori! Ero così felice. Quelle montagne sono come degli antichi giganti saggi e mi sentivo al sicuro con loro tutt'intorno a me, quasi come fossero guardiani di qualche piano superiore. È stato così speciale. Mi sentivo così lontano dalla tecnologia e dai costrutti delle società lì, così in alto, quasi a toccare il paradiso. Sentivo che sarei potuta restarci per sempre. Persa nel richiamo della montagna.

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Echo è stato co prodotto da Adrianne Lenker (che ha anche suonato in alcuni brani). Sono una grandissima fan del suo lavoro, sia da solista che con i Big Thief, per cui non posso fare a meno di chiederti come vi siete conosciute e come avete iniziato a lavorare insieme.

Adrianne e io ci siamo incontrate durante un tour in Australia, durante il quale facevo l'opening per i Big Thief. Siamo diventate care amiche. Abbiamo avuto una connessione immediata, come se ci fossimo già conosciute prima. Penso che a volte l'universo riunisca le persone in un modo molto sincronistico e magico. Ci sono ruoli che tutti noi recitiamo nelle vite degli altri qui sulla Terra e io e Adrianne abbiamo avuto / abbiamo un ruolo molto particolare da svolgere l'una per l'altra. Qualcosa di profondo. L’aspetto musicale è seguito naturalmente e abbiamo parlato dell'idea di registrare alcune delle mie canzoni per fare un album. Era come essere in un fiume che scorre dolcemente, è sembrato naturale e facile.

La cover del tuo album è una splendida foto scattata da lei. Tra l’altro, sbirciando il tuo profilo Instagram ho visto che ci sono diverse foto che ti ha scattato lei e credo riesca a catturare in maniera particolare la tua bellezza.

Grazie. Sì, quando conosci profondamente qualcuno e gli vuoi particolarmente bene, è facile vedere ed essere visti con una bellezza molto reale e pura. Lei ha visto e catturato la mia essenza sfumata. È molto speciale avere queste immagini di quei tempi.

Come descriveresti il sound di Echo? Quali sono state le tue influenze?

Penso che in gran parte suoni come il suo titolo. Come un'eco nel tempo. Attraverso il tempo. Qualcosa di scarno e tirato fuori. Qualcosa che ritorna. Speravo che suonasse come una chiamata e un grido e un vento nel deserto. Come il cielo. Come la polvere. Adrianne e io abbiamo parlato del fatto che fosse molto spoglia. Penso che in molti casi meno è meglio.
Stavo ascoltando un po' di Robbie Basho, molta musica ambient, come Grouper, tornando anche ad alcuni dei miei vecchi preferiti come i primi Sharon Van Etten e Mazzy Star. Penso che frammenti di tutto ciò siano penetrati nella mia coscienza, ma sembrava che provenisse da un pozzo profondo dentro di me, che non era stato toccato prima in molti modi.

Per quanto riguarda i testi, invece, da cosa ti sei lasciata ispirare?

Amore. Dolore. Speranza. Morte. Vita.

Quale canzone diresti rappresenta al meglio l’album? E qual è quella a cui sei più legata?

Non penso ce ne sia una soltanto.

Uno dei miei pezzi preferiti di questo disco è sicuramente Bad Dreams, un brano dal sound profondamente scuro, quasi spettrale. Ho amato particolarmente la scrittura cruda e viscerale, amo molto quando le canzoni riescono a dipingere immagini contemporaneamente sporche e poetiche, e penso che versi come «now thereʼs blood on my horizon and Iʼm rotting in the smell» e «you broke all of my ribs in a dream the other night, you said you were not hurting me just trying to hold me tight» ci riescano perfettamente.
Qual è la storia dietro questo testo? In particolare, mi sono chiesta a cosa ti riferissi quando canti «not anything but everything sent me mad inside my head just thinking of those women lying naked in their beds».

Penso che questa canzone sia nata davvero da un sogno o da un incubo. Ho fatto un sogno in cui un amante mi stava schiacciando le costole, era molto viscerale e inquietante. C'è un certo livello di vulnerabilità che deriva dall'amare e lasciare che i muri dentro di te siano visti da un altro essere umano. Sento questo in qualche momento logoro di fragilità, insicurezza o paura, è folle ciò che il tuo subconscio può mostrarti, il modo in cui può parlarti. Sentire la fragilità della mente e della condizione umana dentro di te può essere terrificante. Forse tutto questo mi ha mandato un po’ fuori di testa in pochi istanti, l’analizzare cosa è reale e cosa non lo è. Che aspetto ha l'amore? Come fai a sapere se quello che stai vivendo è vero?

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La cosa più vicina a una canzone d’amore presente in questo disco credo sia quando in Golden Age canti «can I love you in the night, can I watch you with my curious green eyes I need a place to stay, can I wake up on your floor on my birthday» e sul finale di Baby, mentre sussurri «B-a-b-y, youʼre my lullaby».

Penso siano più o meno variazioni di canzoni d’amore.

Nel singolo Colourblind c’è un verso che mi piace particolarmente, ovvero: «and all of our planets all born in a row and nothing not our star signs could show us what the future holds». È una domanda che c’entra poco con la musica, ma toglimi una curiosità: sei appassionata di astrologia? Che segno sei?

Amo l’astrologia! Sono cancro.

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Durante l’estate in Italia il mondo degli eventi ha iniziato lentamente a ripartire e ho avuto l’occasione di partecipare a una manciata di concerti. Per quanto bello ed emozionante devo ammettere che assistere a uno show seduti, senza poter stare sotto palco e dovendo mantenere le distanze dalle altre persone che ti circondano è stato un po’ straniante. Purtroppo, dall’inizio dell’autunno tutto il mondo dei live qui da noi è stato nuovamente bloccato e non si sà bene se e quando si potrà tornare a una vaga forma di normalità.
So che in Australia le cose sono decisamente diverse, ho recentemente visto su Instagram che sono addirittura stati organizzati festival senza mascherine né distanziamento sociale. Proprio qualche giorno fa anche tu hai annunciato un tour di sei date in giro per il paese tra febbraio e marzo; come ti senti all’idea di tornare finalmente sul palco? Come pensi cambierà la concezione di live music dopo tutto ciò che è successo con l’avvento del covid-19?

C’è stato il mio primo concerto giusto la scorsa notte. Sembrava strano, per certi versi. Dopo essere stata in uno spazio piuttosto «introverso» l'anno scorso, stare in gruppi di persone è un po’ fastidioso. Ci vorrà sicuramente del tempo per riabituarsi a suonare di fronte al pubblico.
In relazione al Covid, non credo che il mondo sarà mai più lo stesso. Credo che gli spettacoli non saranno mai più gli stessi. Sento che le cose stanno cambiando, enormemente, a un livello profondo. Immagino che sarà molto difficile fare degli show senza molte procedure e regole per molto tempo. È una cosa triste da affrontare e a cui pensare. Potrebbe volerci del tempo affinché si stabilisca una nuova normalità.

Per quanto in questo periodo sembri impossibile fare piani a lungo termine, c’è qualche obiettivo che ti poni per il 2021?

Spero di registrare un nuovo album! Passare molto tempo nella natura. Scrivere più poesie. Coltivare fiori. Organizzare cene intime con gli amici. Riposare. Sognare. Cucinare. Stare seduta in silenzio e ascoltare. 

Per la traduzione si ringrazia Gaia Bandiziol e Silvia Sanzò.