08 aprile 2020

«Mi piace il dialogo, violento o candido che sia»: intervista a Colombre

Il corallo è la rappresentazione simbolica del secondo album di Colombre, nome d’arte di Giovanni Imparato. Come il raro animale del mare, le parole fanno da ornamento a otto tracce. I rapporti umani, raccontati nelle canzoni attraverso dialoghi rivolti a delle figure con delle personalità tipiche, sono come del materiale prezioso da curare e da tenere costantemente sotto controllo. Il cantautore marchigiano ha descritto così il titolo dell’album, Corallo:

«Non avevo un titolo preciso, ma c’era questa parola che, durante la scrittura, ogni tanto riaffiorava come a volermi suggerire il senso più nascosto delle canzoni. Il corallo lo associo ai rapporti interpersonali che racconto nel disco; misteriosi, profondi, difficili da avvicinare, da trattare e preservare con più delicatezza possibile, data la loro complessità e bellezza».

Nuovo album, nuovo stile. Stavolta la musica non è solo un dolce accompagnamento ai testi, è più predominante e si sofferma sulla tradizione italiana del cantautorato, su effetti da pedaliere che spaziano dai Baustelle ad Alan Sorrenti, su tastiere allegre che rispondono a rullanti decisi, mentre si riconferma il lo-fi estivo di Mac DeMarco e la tenerezza che sa solo regalare la sua chitarra acustica.

Ma Colombre non è solo accostamenti a tecniche già realizzate, è molto di più: lo dimostra la sua ricerca musicale degli ultimi tre anni. Ce l’ha raccontata al telefono, tra una riflessione sulla situazione attuale e una rassegna di artisti da ascoltare.

Colombre, il tuo secondo album Corallo è uscito il 20 marzo. Che reazioni stai ricevendo dal pubblico e dalla critica?

«Sono reazioni molto positive, sto ricevendo messaggi molto belli. Mi scrivono su Instagram e su Facebook, chi l’ha ascoltato è stato toccato e stimolato dal disco. Non è una cosa scontata, soprattutto in questi giorni. Sapere che Corallo è stato prezioso per molte persone in questo momento critico mi rende contento. È il bello della musica, che aiuta ad evadere e a riflettere. Per quanto riguarda la critica, ne stanno parlando molto bene, fortunatamente non ho visto ancora stroncature!»

Possiamo dire che hai passato la prova del secondo album, sempre temuto dalla critica.

«Certamente in questi anni ho riflettuto sul buon successo ottenuto con Pulviscolo, ma quando ho iniziato a pensare ad un secondo disco, non mi sono fatto delle pressioni. Ho fatto le cose a mio modo, con calma, senza fretta, senza timore del giudizio delle persone. È un lavoro prima di tutto personale perché riguarda alcune riflessioni che ho fatto durante la composizione, ma è bellissimo quando le persone si ritrovano nei miei album e la critica li apprezza».

Sono passati tre anni da Pulviscolo, il tuo primo album da solista. Che cosa ti è successo dal 2017?

«Sicuramente sono cambiato: sono cresciuto, ho fatto delle esperienze, ho conosciuto meglio le persone intorno a me e me stesso. Sono cresciuto anche a livello sonoro perché sono riuscito a scoprire nuovi metodi e a migliorare quelli che in passato non riuscivo a fare bene perché mi sentivo acerbo. Ma il modo di fare le canzoni è rimasto invariato. Mi ritaglio i miei momenti dove in maniera abbastanza costante scrivo dei pezzi, alcuni diventano canzoni, altri canzoni da scartare, altri rimangono solamente delle bozze. I temi di Corallo sono quelli che fanno parte della mia poetica, tuttavia questa volta sono voluto andare da un’altra parte. Se prima ero stato nell’aria con Pulviscolo, con Corallo sono andato sott’acqua».

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Nelle tue canzoni dialoghi spesso con te stesso. Ma quali sono le parole che non ti sei ancora detto?

«Forse quelle che metterò nelle prossime canzoni!»

Corallo parla di scambi interpersonali. Hai detto che ogni giorno affini i rapporti con chi ami, affinché queste relazioni diventino sempre più preziose. Un bell’obiettivo, la maggior parte della gente tende a non aprirsi, nemmeno con i propri familiari. Che pensi di tutto ciò?

«Penso che sia importante aprirsi con gli altri, serve a capirsi meglio, accettare e accettarsi. Mi piace il dialogo, violento o candido che sia. È la mia poetica. Nelle mie canzoni parlo delle persone, dei rapporti che abbiamo con esse, di ciò che sentiamo in maniera un po’ più nascosta o un po’ più ragionata. Credo che la musica debba anche affrontare dei temi un po’ spigolosi. Questa è la mia sfida: affrontare alcuni aspetti della vita che magari sono un po’ più difficili da raccontare e scrivere di ciò che è intorno a me».

Con la tua gente sei speranzoso fino alla fine: lo percepisco ascoltando Anche tu Cambierai, l’ultima canzone dell’album. Puoi raccontarmi la genesi di questa canzone?

«Questa canzone la intendo come un mettersi ulteriormente in gioco dopo aver cantato per tutto il disco di alcuni incastri umani che si hanno. L’ho messa per ultima, c’è una parte che dice “Forse sono le persone, si scordano le cose, io non le ho capite mai”. Il mistero quindi continua…»

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Quanto sei cambiato, tecnicamente, da Pulviscolo?

«Avevo registrato Pulviscolo in presa diretta, come stessi scattando una fotografia. Con Corallo ho voluto invece riprendere l’esperienza con la drum machine nei Chewing Gum - il mio gruppo precedente - e ho cercato di dare più solidità alla musica. Non l’ho fatto perché volevo una musica più curata, anche in Pulviscolo c’era una ricerca negli arrangiamenti e nel suono. Sicuramente, essendo cresciuto in tre anni, i suoni di Corallo sono più a fuoco. Faccio un esempio: in Corallo Fabio Rondanini suona la batteria con il click, in maniera più controllata, e se lo ascolti ti dà quella percezione di una canzone che è più in griglia, è più ferma, questo perché è stata registrata in un altro modo rispetto alla batteria di Pulviscolo. Un’altra novità sono gli archi, che non avevo mai usato».

Quali artisti hai ascoltato durante la composizione di Corallo?

«Io ascolto pochi dischi e di continuo, ma sono tantissimi gli artisti che ho ascoltato in questi tre anni e che mi hanno un po’ plasmato. Tendenzialmente ascolto più musica straniera: Steve Lacy, i Khruangbin – un trio texano che fa musica strumentale – poi i Foxygen, Isaac Hayes – un soulman degli anni Settanta».

So che sei un “fan” di Leonard Cohen.

«Da sempre. In questo periodo ho ascoltato tanto The Future».

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Molti associano Corallo a Submarine di Alex Turner, eppure siete due artisti distanti. Ti sei dato una risposta?

«Probabilmente si riferiscono a delle sfumature della melodia, forse hanno individuato una sensibilità e un modo simile di costruire una canzone, il songwriting. Ho ascoltato quel disco, mi è piaciuto il modo diretto ed onesto di Turner di creare una canzone. Quando si parla di influenze, si parla anche di modi di fare le cose, non solo di sonorità. Ritorno un attimo ad Isaac Hayes. Lui è soul, io no. Io mi ispiro a lui con il mio filtro. Prendere le influenze da qualcuno significa andare un po’ più a fondo nelle cose e capire un’attitudine».

I singoli promozionali di Corallo sono 3, quasi la metà dell’intero album. Qual è il motivo di questa scelta? Secondo te, questo modo di fare pubblicità al tuo album ha funzionato?

«Non c’è una ragione segreta o studiata, mi piaceva semplicemente svelare piano piano le cose e dare respiro alle canzoni».

Parliamo un po’ di te. In questi giorni stai facendo molte dirette.

«Le sto facendo per un motivo ben sensato: dare un minuscolo contributo che possa essere a supporto dell’emergenza sanitaria. Attraverso la mia musica, sostengo campagne di raccolta fondi. Credo che le cause siano molto importanti e che esistano persone attente in questo momento di difficoltà comune».

Quindi per ora il tuo pensiero principale è dare una piccola parte in questa crisi, poi quando finirà la quarantena penserai al tour di Corallo.

«Giusto. La mia agenzia sta calendarizzando le date dei concerti entro la fine dell’anno, probabilmente a novembre e dicembre».

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In questo periodo di quarantena, hai riflettuto su di te e sul tuo essere musicista?

«Se aspettassi una quarantena per riflettere su un tema così ampio sarei fritto!»

Hai accompagnato Calcutta nel suo Evergreen tour. Che esperienza è stata, per te? Hai qualche aneddoto simpatico su Calcutta che puoi raccontare ai lettori di Noisyroad?

«Un’ esperienza molto bella sia musicalmente che umanamente. Quando eravamo in furgone e magari c’era traffico o qualche pericolo incombente, si aveva il grande piacere di abbaiare forte».

Attualmente stai pensando a delle collaborazioni future?

«No. Se questa cosa dovesse succedere, sarà spontanea e non pensata a tavolino. Se dovesse venire fuori un featuring con qualcuno, è perché io e quella persona abbiamo delle affinità e delle attitudini simili, perché c’è qualcosa che ci accomuna, anche se facciamo delle cose completamente diverse. Mi interessa collaborare con qualcuno che possa arricchirmi a livello interiore, con nuove esperienze».