Quando hai la possibilità di fare quattro chiacchiere con Dario e Veronica esci da quella che è definibile come "intervista" come se fossi rinato. Il duo ha quella meravigliosa attitudine a parlare tanto (e bene) che ti dimentichi che siano artisti ormai affermati sulla scena nazionale italiana. E forse anche loro non hanno ancora ben realizzato. E questo è un bene. Come è un bene che, dopo un tira e molla durato circa due lustri, La rappresentante di lista abbia deciso di pubblicare Maimamma (edito da Il Saggiatore) un libro scritto a quattro mani che racconta la storia di Lavinia, una giovane donna che rimane incinta proprio qualche mese prima della fine del mondo. Maimamma affronta temi cari al gruppo, come quelli del corpo, della maternità, dell’ecologia, dell’eredità che lasceremo ai nostri figli. Il romanzo è legato a filo diretto con il disco (MyMamma), con cui condivide la genesi e le tematiche.
Oltre ad aver parlato delle novità in campo editoriale e discografico, abbiamo ampliato i nostri orizzonti, ragionando sulla tematica della vita e, più specificatamente, dei diritti umani e inalienabili che ci legano ad essa in modo indissolubile e inestricabile. Si è parlato dell'affossamento del ddl Zan, del cosiddetto "popolo delle firme", che rivendica i propri diritti ma che, in realtà, fatica ad andare a votare. Quali persone migliori per chiederlo, se non ai rappresentanti di una lista, quella umana, che Dario e Veronica impersonano in modo diretto, semplice e normale, qualità (soprattutto quest'ultima) molto difficile da ritrovare negli artisti e nel campo dell'industria musicale odierna.
Partiamo da una notizia fresca: avete annunciato da poco il nuovo tour e su Instagram lo avete presentato così: “Se fosse un musical sarebbe pazzesco, se fosse un concerto sarebbe la fine del mondo, se fosse una festa sarebbe una rivolta”. Cosa rappresenta per voi ritornare a fare musica dal vivo?
Veronica: Anzitutto, significa riprenderci uno spazio fondamentale, uno spazio di libertà in cui non siamo noi ad essere protagonisti ma chi sta sotto il palco. È un momento di grande condivisione e di scambio in cui effettivamente prende vita quello su cui abbiamo lavorato, ciò che abbiamo immaginato nei mesi di lockdown forzato. La nostra musica e le nostre parole prendono vita, si animano. Dal vivo c'è il coinvolgimento degli occhi, dello spettatore che ti guarda e ti ascolta, ma soprattutto del corpo, che è un elemento fondamentale nella nostra poetica. Inoltre, l'esperienza di un concerto live è un modo per ritualizzare dei momenti, per far passare delle sensazioni, per riempire di senso le parole, il cui significato, spesso, lasciamo molto aperto.
Giusto qualche giorno fa sono stato al mio primo concerto in piedi post pandemia (Eugenio In Via Di Gioia a Roma, ndr.) ed è stato molto molto emozionante. L'ho visto un po' come un nuovo inizio, come un ricominciare direttamente a fare una delle cose che amiamo di più. In merito a questo, non so se avete seguito la polemica nata con Cosmo: se sì, vi sentite di dire che il settore musicale è stato abbandonato e trascurato dalle istituzioni? Vi siete anche provati a dare delle risposte riguardo i motivi di questo potenziale abbandono?
Dario: Credo che in realtà ci sia un grande problema legato alle istituzioni. Tantissimi settori dell'arte (non solo quello musicale), non conosco il motivo ultimo, ma non vengono considerati. Chi fa le leggi e ragiona sulla logica delle regole non ha idea di come funzionino, ad esempio, alcuni circuiti alternativi. Prendi le piccole compagnie di organizzazione dei concerti che sono state assolutamente tagliate fuori dai loro già piccoli spazi. Negli ultimi due anni questo ha significato per molti morte, cioè chiusura totale. La stessa cosa per le discoteche o gli stessi lavoratori dello spettacolo, che sono trattati sullo stesso piano degli stagionali dei balneari. Siamo stati ingiustamente lasciati da parte nonostante la musica leggera abbia un indotto molto ampio. Dal punto di vista economico è una mazzata e alla fine è anche giusto fare rumore per ricominciare.
Sto leggendo il vostro romanzo e mi è sorta spontanea una domanda: se doveste definirlo in tre aggettivi, quali sarebbero e perché?
Veronica e Dario: Abbiamo avuto una lunga diatriba con la casa editrice in merito a ciò! Libera e selvaggia, intuitiva e appassionata, apocalittica... in realtà credo che il romanzo attraversi molte fasi, per cui non esiste un aggettivo che vada bene per l'inizio e per la fine. È un percorso e, in quanto tale, gli aggettivi si adattano alla situazione.
Ho letto che il libro affronta trasversalmente anche la tematica della potenziale eredità che lasceremo ai nostri figli. Perciò, per comprendere anche alcune domande che mi sono posto durante la lettura, mi sono chiesto quale possa essere l'eredità che lasceremo tra settanta-ottant'anni.
Veronica: Allora, io credo che la domanda che noi ci poniamo dovremmo iniziare a farcela, in realtà, da molto presto. In effetti questo lo si vede anche con le ultime manifestazioni del Fridays For Future o con la figura di Greta Thunberg. Pongono degli interrogativi che comunque restano lì davanti a noi e quello che ci chiedevamo nel libro, al di là della maternità e della paternità dei figli, è proprio in che modo dobbiamo prenderci cura di quello che ci sta attorno, cosa abbiamo bisogno di portare nel mondo. Soprattutto cosa lasciamo, quale segno (spero, in quanto persone molto legate a questa terra, un segno positivo). Dovremmo tutti aggiornarci sulla sulla Madre Terra.
Ho anche letto che il libro è nato assieme a voi, nel 2011. Come mai, allora, è uscito solamente dieci anni dopo? Era forse questo il momento giusto per pubblicarlo?
Dario: In realtà, l'idea di base nasce nel 2009. È capitato di mettermi a scrivere, così, casualmente, non ricordo esattamente qual è stata la scintilla che mi ha fatto scattare l'idea di questo racconto. La storia ci ha un po' tenuti compagnia in tutti questi anni e potremmo dire che cercavamo una protagonista delle nostre canzoni. Oggi proprio quella protagonista che ha rappresentato le canzoni de La rappresentante di lista si è evoluta. Abbiamo avuto anche molto tempo per lavorarci su: mentre eravamo concentrati sul disco, pensavamo anche al libro, che abbiamo praticamente completato durante il primo lockdown. È stata anche dura, perché sarebbe stato fin troppo facile e, a tratti, scontato far riferimenti a quel tipo di periodo che abbiamo attraversato. Perciò dovevamo vederci un po' lungo, stando sul filo del rasoio, cercando di raccontare qualcosa effettivamente ha a che fare con un futuro strano, che non conoscevamo ma che è diventato realtà.
Nei giorni scorsi leggevo un articolo de L’Espresso che parlava di “democrazia calpestata” riguardo l’affossamento del ddl Zan e del cosiddetto “popolo delle firme” per i referendum come la cannabis, la fecondazione o il fine vita. In quanto artisti attivi in questo campo, che hanno sempre espresso con fermezza la voce a riguardo, che ne pensate? Parliamo effettivamente di calpestare la democrazia e di battaglie che allargano la partecipazione politica scollata dal mondo partitico?
Veronica: Allora, pensiamo che quello che è successo non è nient'altro che una grandissima violenza sociale. Quegli applausi di persone che dovrebbero essere le figure che si prendono carico delle nostre necessità sono stati incommentabili. Paiono naturalmente scollati dalla vita reale, è come se non avessero idea di che cosa succede, di come si muova la gente e, quindi, non riescono proprio a cogliere quelli che sono i dubbi, le paure, i punti di forza. Vivono proprio da un'altra parte e questo è preoccupante.
Torniamo a parlare di musica: quali sono state le influenze musicali (e non) che vi hanno accompagnato nell’arco della composizione di MyMamma e Maimamma?
Veronica e Dario: Ti raccontiamo una storia inedita: quando eravamo in questa follia tra scadenze di chiusura del libro (e disco), abbiamo chiamato una sceneggiatrice bravissima, Heidrun Schleef, che per anni è stata una grande collaboratrice di Nanni Moretti. Quando facevamo le videochiamate ci forniva numerosi stimoli per portare avanti questa storia. Allora, una volta, ci raccontò di questo testo incredibile che si chiamava "Oscar e la dama rosa". È la storia di questa persona che aveva una malattia e sarebbe morto di lì a una decina di giorni. Allora interviene una sorta di infermiera e per fargli vivere appieno queste giornate, trasforma i dieci giorni in dieci anni, o meglio ancora, in una vita intera. Quindi, nel periodo in cui il ragazzo sta in questo ospedale, cresce, si innamora, fa dei figli, compie avventure incredibili, va fuori dal suo paese, viaggia con la mente, con la fantasia, con l'aiuto di questa donna e arriva a questo decimo giorno in cui, in realtà, lui ha 100 anni. Perciò, stanco, si addormenta beato, perché la vita è stata piena. Questo racconto è stato perfetto, perché penso che anche noi, in Maimamma, abbiamo caricato Lavinia un po' delle nostre memorie, dei nostri ricordi, dei nostri desideri... un po' per testimoniare, per lasciarne una traccia, un po' per delineare i contorni di questo personaggio che si è fatto man mano sempre più reale e veritiero.