23 agosto 2022

"La gente vuole essere più famosa della propria arte": intervista a James Righton

"I just want your extra time and your kiss". Se su questo famoso verso di Prince non resistite ad alzare le spalle a tempo, schioccare le dita e fate fatica a tenere la bocca chiusa in preda ad un improvviso bisogno di ricalcare quel celeberrimo falsetto, allora non potete che schiacciare play sul nuovo disco di James Righton, ex frontman dei Klaxsons: Jim, I'm Still Here, uscito lo scorso 8 luglio. Questo è il secondo lavoro solista del cantante, dopo aver conquistato la scena indie ad inizio 2000 e la breve parentesi Shock Machine, che rimarca il percorso intrapreso con il precedente The Performer: tappeti di drum machine, groove dal sapore anni '80, melodie dance che sembrano essere state create apposta per essere utilizzate ad una festa esclusiva a base di Martini e lustrini. Tutti elementi che concorrono a dar vita ad un disco glamour e modaiolo, specchio sonoro dell'immagine di Righton, non a caso sempre impeccabile in un abito Gucci.

Ho sempre ammirato il connubio immagine - musica di quest'artista (e la meravigliosa coppia che forma con Keira Knightley, mio relationship goal, ma non divaghiamo) e la capacità di fondere l'universo musica e l'universo moda, perciò non mi sono fatta sfuggire l' occasione di intercettarlo su Zoom. Ecco come è andata.

Come è stata l’uscita del disco fino ad ora?

È andata bene! Penso che alla gente sia piaciuto molto il disco, ho ricevuto un sacco di messaggi adorabili dai fan e sono state dette tante belle cose a riguardo. È sempre fantastico quando finalmente un disco viene pubblicato, perchè lì dentro ci hai messo così tanto tempo e impegno, tante riflessioni e affetto, quando è a tutti gli effetti fuori e puoi tenerlo fisicamente in mano senti che esiste per davvero, che è reale e che ne è valsa la pena. 

Personalmente l’ho adorato perchè ha questo mood dance che mi piace tanto!

È l’album più elettronico e dance che abbia mai fatto, assolutamente. È un po’ dance, un po’ funky, un po’ bizzarro. Sono molto felice. Ho avuto diversi responsi positivi al disco e sai, è stato bello parlare con tante persone nelle passate settimane, fare interviste, ho parlato con tanti giornalisti che hanno detto che hanno davvero amato l'album ed è piacevole sentirlo. 

Infatti hai lavorato con i Soulwax, giusto? Come è stato lavorare con loro e com’è iniziata questa collaborazione? 

Sì, beh, conosco Dave e Steph da quella che sembra essere la mia intera carriera musicale. Ero un loro fan da quando ero ragazzo, ero solito andare a vedere i concerti dei Soulwax e dei 2 Many DJs e ci siamo conosciuti anni fa, abbiamo suonato insieme in alcuni festival quando facevo parte dei Klaxsons e loro hanno remixato una delle nostre canzoni, Gravity’s Rainbow, poi siamo semplicemente diventati amici. Quando ho registrato il mio ultimo album avevo bisogno di qualcuno che facesse il mixaggio: semplicemente gliel'ho mandato, gli è piaciuto un sacco e hanno detto “ci piacerebbe tantissimo mixarlo”. Quindi hanno fatto il mix e lo hanno fatto uscire con la loro etichetta. Quindi per questo album, Jim, I'm Still Here, è stata una continuazione del nostro rapporto. È il primo che praticamente produciamo insieme. È bellissimo, lavorare con gli amici è la cosa migliore: loro sono amici di cui musicalmente mi fido e per cui ho così tanto rispetto, mi piace quello che fanno, quindi non è difficile lavorare con persone come loro, perché ci piacciono le stesse cose. Loro sono come degli insegnanti, ogni volta mi mandano la loro musica, le loro playlist e cose a cui dare un occhio ed è adorabile perchè è come avere la tua propria vita musicale curata da due esperti. 

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Loro non sono gli unici artisti presenti qui, perchè c’è anche Benny Andersson degli ABBA nella canzone Empty Room. Come sei finito a lavorare con una leggenda del suo calibro?

Mi hanno chiesto di lavorare con gli ABBA per i concerti della loro reunion, gli show ABBA Voyage, che hanno proprio ora a Londra. Quindi ho dato una mano alla band, ho incontrato Benny e Bjorn e abbiamo passato 3 settimane a Stoccolma passando in rassegna le canzoni per i concerti, alla fine è stato grandioso e ho detto a Benny (avevo quasi chiuso il disco) “c’è una traccia che avrebbe bisogno di qualcuno, ti andrebbe di suonarci sopra?” e lui mi fa “mi farebbe molto piacere”. Gli mandai il pezzo e in un paio di giorni mi mandò la parte che aveva scritto. È stato incredibile, molto figo, lui è il migliore ed è stato un grande, mi piace tantissimo quello che ha scritto.  

Come ti ho detto continuo ad ascoltare il tuo disco da quando è uscito e adoro Release Party: ho detto a tutti i miei amici di ascoltarla perché è super catchy, inizio a ballare ogni volta che la sento. Continuo a pensare “c’è tantissimo Prince in questo brano”. Prince è effettivamente una grande reference? Quali sono le altre in questo disco? 

Ohhh, è un gran pezzo, vero? Prince è stato una grandissima influenza, insieme a tante altre che avevo per questo album. Come ti dicevo, Dave e Steph hanno creato una playlist con le influenze e i dischi che pensavano fosse figo usare come reference e come inspirazione; alcune erano di questa band inglese chiamata Japan, erano una grande band negli anni ‘80, c’era anche qualcosa di Ryuichi Sakamoto, che era famoso per essere parte di una band chiamata Yellow Magic Orchestra, poi c’erano altri beat e spezzoni e c’erano un paio di brani di Prince che non avevo mai sentito prima e ho pensato fossero incredibili. Ho ascoltato tanto questo album di Prince intitolato Parade, con cui non avevo molta familiarità, ma adesso lo amo, è così interessante dal punto di vista musicale, un disco fenomenale. Perciò Prince è stato un enorme spunto, amo la produzione, il groove nelle canzoni di Prince, amo la sua voce. Penso che Release Party sia la traccia che più somiglia a Prince che ho fatto, ma volevo mettere il mio personale tocco, fare in modo, non so, che fosse più inglese, più simile a me. Volevo che avesse un groove più dance, una produzione più moderna, come se Prince stesse ancora facendo musica. Mi piace molto quel tipo di funky lento (odio questa parola), un po’ jam, quel tipo di tracce dance molto lente, questa è abbastanza lenta, ma ti fa venire voglia di ballare perché ha un groove molto forte. Credo che la ripubblicherò perché mi piace troppo. Era una delle mie preferite quando ho ricevuto la versione finale. Con Dave e Steph abbiamo lavorato sulla traccia via mail, ero molto contento del master finale, penso sia una delle cose migliori che abbia mai fatto. Continua a farla sentire ai tuoi amici, mi piace, guarda qual è la reazione se viene suonata durante una festa, di solito fa ballare la gente. 

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Sembra che il tema principale dell’album sia la celebrità, per questo disco hai creato un alter ego che è una rockstar, Jim, il protagonista. Qual è il tuo rapporto con la fama? Visto che tu sei un famoso artista e tua moglie è una famosa attrice (Keira Knightley ndr). 

Ho un rapporto molto divertente con la fama: vuoi tenerla a distanza di sicurezza, non vuoi starci troppo vicino ma non vuoi nemmeno mandarla via, devi quasi vivere una vita molto inscatolata, devi mantenere la tua vita privata molto privata e tenerti i tuoi amici molto stretti e devi costruirti una sorta di personaggio che stia sotto i riflettori, che fa le interviste, i concerti. Ma sai, questo personaggio sei sempre tu, voglio dire, quando vado sul palco sono io sul palco, non so, nella mia testa devo sempre creare un’altra versione di me stesso che sia la persona che va lì sopra perché innanzitutto vuoi proteggere te stesso ma anche vuoi essere in grado di giocherellare con te stesso per essere più estremo. I musicisti che mi sono sempre piaciuti e che ho sempre trovato interessanti e emozionanti ti fanno ipotizzare delle cose, non sono mai prevedibili. La persona che sono il 90% del tempo a casa è molto, molto normale, faccio ciò che fanno tutti, sono un essere umano che fa esattamente le stesse cose, ma poi ho una piccola percentuale della mia vita che è parecchio strana e che amo creare e con cui mi è concesso di giocare. Quella è una parte di me, ma non è davvero me, quindi ci posso scherzare molto e posso anche utilizzare questa percentuale di me per mettermi un freno al vero me, e non essere troppo egoista. È come avere qualcuno, come la tua voce dentro la tua testa, o il tuo psicologo, il tuo personale psicologo. 

È abbastanza complicato.

Sai cosa? Sono molto fortunato. L’ho fatto da quando avevo 21/22 anni, non saprei come altro potrei essere sinceramente, l’unica cosa che so è come fare ciò che faccio, ho sempre fatto musica, questo è ciò che sono. Non ho altri modi di essere se non questo, sono così abituato a questo.

Pensi che nell’industria musicale contemporanea la fame per la celebrità e il successo sia ancora più esacerbata?

Penso ci sia questa cosa molto pericolosa per cui la gente in realtà vuole essere più famosa della propria arte, più di ciò che fanno. La celebrità è un prodotto che puoi comprare derivante da ciò che fai, il focus dovrebbe sempre essere su quello che fai, tu dovresti essere sempre concentrato sulla creazione di questa cosa, non dovrebbe ruotare tutto attorno all’immagine, non dovrebbe essere un fatto legato all’essere conosciuto e amato. Per me tutto riguarda il fare musica, fare canzoni, questo è quello che mi piace fare ed è anche la parte in cui mi perdo quando vado a scrivere canzoni, perché mi perdo tra le parole, mi metto ad usare la mia immaginazione, il tempo vola e in realtà sono solo lì nella mia stanza a scrivere musica, guardo l’orologio e mi rendo conto di essere stato nella mia stanza per 10 ore, non ho mangiato e mi sono completamente perso in quella cosa. Questo è il motivo per cui lo faccio, perché mi piace talmente tanto, per me non c’è cosa migliore al mondo che fare questo. 

Penso che questo concetto sia presente in una delle canzoni del disco, I Want To Live dove dici “I wanna care less about what playlists I’m on or how well a song streams”. Le label ultimamente stanno mettendo molta pressione sugli artisti per performare. Cosa ne pensi? Senti anche tu questa pressione?

È una cosa così brutta, è così frustrante. Guarda, ho fatto questo lavoro per tanto tempo e quando ho cominciato facevi musica, la mettevi online, facevi un po’ di interviste, facevi occasionalmente qualche post su Myspace e questo era tutto, poi andavi in tour. Adesso c’è un’incredibile pressione sulla gente, sui musicisti, sugli artisti che stanno diventando dei creatori di contenuti perciò c’è una sempre maggior richiesta di contenuti e non puoi solo fare musica, devi sempre creare contenuti che facciano like, facciano numeri, alle volte anche prima di scrivere musica, è folle. Sento che non voglio farne parte, sono fortunato perché ho cominciato prima di tutto ciò, penso “non devo giocare a questo gioco” e non lo farò. Faccio piccoli video, faccio cose, non devo rivelare nulla della mia vita privata, non l’ho mai fatto, quello è privato, posso creare altre cose ed è divertente e non è tanto diverso da ciò che faceva David Bowie che creava un personaggio, è la stessa cosa. Penso sia preoccupante che gli artisti debbano fare di più, ad esempio postare con regolarità, credo sia terribile tutta questa sessualizzazione dell’artista per provare ed avere più like, credo sia veramente folle e disgustoso. Il fatto che se mostri più parti del tuo corpo ricevi più like porta la gente a fare cose più controverse, più sensazionali, più post eloquenti per promuovere una canzone che hanno scritto. È malato e così sbagliato e nessuno dei miei post cerca di fare questa cosa perché non c’entra nulla. Continuo a pensare che sia strano che ti dicano di fare tutte queste cose, di fare tutti questi post, ma non credo ci sia una correlazione tra il farlo e la gente che poi va a sentirsi la tua musica, penso siano quasi due mondi separati, non è detto che se fai vedere più foto, hai più like e più gente andrà su Spotify ad ascoltare le tue canzoni. Credo che il mondo sia completamente uscito di testa ed è un gioco a cui non voglio prendere parte. La mia label fin dall’inizio mi ha chiesto di Tik Tok. Non ce l’ho, ed è divertente perché ormai non me lo chiedono nemmeno più perché sanno che la mia risposta è “no, non mi va”. Non lo farò, perché sto provando disperatamente a limitare il tempo al telefono.

Mi sa che è una bolla che prima o poi esploderà perchè non è sostenibile per gli artisti. 

Semplicemente non è salutare, è più focalizzato sul proprio io, è egocentrico, è come se più lo fai più ne parlano, non saprei, non è molto altruista. Credo tu possa avere una visione davvero limitata e puoi pensare che tu sia la cosa più importante al mondo e che il mondo ruoti attorno a te. Non è salutare, c’è un intero grande mondo lì fuori.

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Andando indietro ad un era pre-streaming, tu facevi parte dei Klaxsons, che era una delle band principali nei primi 2000. Ti manca essere in una band? 

Sai cosa? Non mi mancava, ma negli ultimi mesi ho iniziato a pensare che mi piacerebbe rifondare una band. È davvero strano perchè non volevo avere niente a che fare con le band ma negli scorsi mesi ho cambiato opinione [ride] e magari farò qualcosa. Ho un amico in un’altra band che mi ha scritto l’altro giorno (anche lui ha un progetto solista ora): “Ti piacerebbe fare una band insieme? Mi manca far parte di una band” e ho pensato “sai, manca anche a me, facciamolo”, perciò ad un certo punto potrei provare a suonare con altri musicisti perché non c’è nulla di male. È fantastico quando sei in una band, non c’è niente di più forte e bello che la sensazione di suonare insieme, ti sembra quasi di prendere il volo, sembra quasi di fluttuare mentre suoni. È una cosa magica da condividere con altre persone, devi solo essere sicuro di suonare con delle persone che ti piacciono.

Non vedo l’ora di sentire qualcosa di nuovo allora!

Magari non succede, quando si parla di musica faccio sempre diverse cose allo stesso momento, faccio roteare diversi piatti e poi mi concentro su un’unica area, le cose iniziano lentamente a formarsi e poi mi dico “questo è quello che farò prossimamente”. 

Qual è il ricordo migliore che hai di quel periodo?

Salire sul palco al Reading Festival, essere headliner dell’Other Stage e vedere un tendone colmo di gente, nessuno era in grado di entrare sotto la tenda e tutti, da chi era di fronte a quelli dietro, sono andati fuori di testa per un’ora. In realtà ne ho anche un altro abbastanza buono: al Festival di Benicassim, è stato folle. Ci avevano cancellato il volo perciò stavamo per perdere il nostro slot al festival ed eravamo distrutti. Abbiamo cambiato il volo e un’altra band ha cambiato il proprio slot per noi quindi noi dovevamo suonare alle 2/2.30 di notte. Quando finalmente siamo arrivati alla location sembrava che dovesse esplodere perchè l’aspettativa era altissima, appunto perchè lo slot era stato spostato poi era stato cancellato e tutti erano prontissimi a vederci. Mi ricordo che la gente si è spezzata le gambe, le braccia, durante il nostro set, è stato abbastanza assurdo.

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Siamo praticamente alla fine dell’intervista, mi piacerebbe tornare un’ultima volta sul disco, in particolare alla prima traccia (Livestream Superstar) dove citi Gucci. Sei sempre stato estremamente stiloso, quanto è importante la moda per te e nella tua musica?

Credo che l’immagine, i vestiti e il mondo in cui presenti te stesso come artista sia molto importante. È l’opposto dell’era dei social media, questo non c’entra con quello; a me piace creare dei personaggi e mi piace creare un look, una sensazione, un intero mondo attorno ad un disco e gli abiti sono sempre una parte enorme in tutto ciò. Tutti i miei artisti preferiti lo hanno sempre fatto e l’ho sempre adorato, ho sempre pensato “per ogni disco che faccio posso immaginare un’immagine a cui voglio che il disco assomigli”. Volevo avere un elemento visivo, una specie di chiarezza e per gli ultimi dischi ho adorato ciò che Alessandro (Michele nrd) ha fatto per Gucci, penso che sia incredibile, la sua visione è sempre scherzosa e chic, divertente e meravigliosa. Credo che i vestiti che fanno sono molto speciali e sono fortunato ad avere una sorta di relazione con loro. Questo è il motivo per cui persino in Livestream Superstar per me Jim si veste in Gucci ed è una superstar, penso che i loro abiti ti facciano sentire come se tu sia in grado di fare qualsiasi cosa, indossi un abito e diventa una forma di escapismo. 

Alessandro Michele è un genio, lo adoro! 

È un mito e un tesoro vero, è un uomo davvero adorabile e brillante.