20 luglio 2021

Infrangere il muro della realtà per sentirsi vivi: intervista a Emma Nolde

Canzoni che permettono di immergerti in una realtà parallela ma, allo stesso tempo, ti fanno restare con i piedi per terra per non sognare troppo in grande: questa è la vita raccontata in Toccaterra da Emma Nolde, cantautrice appena ventenne con un amore e un talento per la musica fuori dal comune. Le tinte particolari della sua voce cozzano perfettamente con suoni ricercati, alle volte duri, altre volte leggiadri, che mixano alla perfezione un album intenso, interessante ed originale.

"Toccare terra è un percorso, non tanto un atterraggio. A volte ho avuto la sensazione che questo disco fosse un romanzo programmatico, che avesse la funzione di spiegare quello che faccio. In realtà, ad ascoltarlo ora, mi sembra che dia un’idea di me in modo disinteressato". E se questo riesci a farlo in sole otto tracce vuol dire che qualcosa di speciale lo hai.
Emma Nolde, lo spettacolo è appena cominciato.


Domani (sabato 17 luglio, ndr.) sarai in una suggestiva cornice al Castello di Santa Severa: quali sono le tue aspettative per il Toccaterra Tour?

L'aspettativa è quella di suonare un concerto in cui riusciamo a godercelo in primis noi che suoniamo (e non è cosa scontata in realtà). Vivere il momento senza pensare troppo ai problemi (perché di problemi tecnici ce ne son sempre) e questo è il nostro primo pensiero. Poi spero che le persone riescano a sentire ciò che sentiamo noi.
In generale per il Toccaterra Tour è più o meno la stessa cosa: stiamo portando in giro spettacoli sempre diversi, proponiamo soluzioni di set sempre differenti: a volte siamo in due, altre volte tre e, altre volte ancora, al posto del violoncello c'è la tromba... una volta in quattro. Insomma, abbiamo tante forme diverse e spero che da fuori, anche se magari non si ha la possibilità di vedere più di uno spettacolo, arrivi questa voglia di portare cose diverse, di non annoiare il pubblico ed essere molto interattivi anche con loro. L'obiettivo è anche quello di conoscere le persone che hanno ascoltato il disco, ma anche quelli che non lo hanno fatto e di parlarci post-concerto; di stabilire una connessione, ecco, anche perché sui social di rado lo faccio e la cosa che preferisco è farlo di persona, proprio attraverso i concerti.

Sei stata inserita nella cinquina degli album finalisti alla Targa Tenco: cosa ha voluto dire per te e qual è stato l’album, tra gli altri in gara, che hai ascoltato con più piacere?

Ha significato tanto perché è un premio molto importante e già il fatto di essere solamente entrata nella cinquina mi fa pensare che il disco sia stato apprezzato. Tra gli altri album in gara, penso di aver ascoltato di più quello di Bianconi: l'ho apprezzato tantissimo e dei pezzi mi hanno emozionato e segnato molto.

Gli artwork delle tue copertine mi hanno molto colpito: come mai la scelta del campo nero con immagini apparentemente semplici ma fortemente evocative?

Ci sono delle storie abbastanza particolari dietro queste foto: banalmente, non avendo i mezzi per avere uno studio di fotografia vero e proprio, sono state fatte tutte in posti come, casa di mio nonno (nel caso dell'immagine con la scala), casa di mia zia di notte. Avevamo addirittura preso una luce che stava a cinque metri d'altezza. Per la foto di copertina del disco stessa cosa: eravamo in garage di mio padre e la terra che si vede è il quarzo degli acquari dei pesci! L'obiettivo era comunicare un qualcosa che avesse poco a che fare con la realtà, che fosse molto astratto. Proporre foto dove non si capisse bene il luogo di provenienza, ma che arrivasse soltanto la sensazione visiva che volevo comunicare.
In tutto ciò, la scala e il quarzo sono idealmente collegati, perché, mentre scendo dalla scala, appoggio finalmente le braccia sulla terra, un po' rotta, perché il viaggio è stato complesso e mi accascio su di essa.

Come hai passato l’ultimo anno e cosa significa portare finalmente in tour Toccaterra?

L'ultimo anno l'ho passato provando a fare una cosa che non avevo mai fatto: cercare di godermi il giorno che stavo vivendo e non proiettarmi troppo verso il futuro, come fanno tanti, quasi tutti; Personalmente, è stato molto difficile entrare in una modalità in cui "non so cosa farò domani e molto probabilmente farò la stessa cosa di oggi, ma spero di no".
Dal punto di vista musicale non mi aspettavo assolutamente un'estate così densa di concerti e adesso che ci siamo arrivati fa molto effetto. Devo dire è bellissimo, ma è anche difficile essere mentalmente pronti e preparati. Spero di farne tesoro e, al contempo, dimenticarmi quest'anno e l'anno passato, perché non è stato facilissimo. Un po' dimenticarselo e lasciarsi da parte il passato, secondo me, potrebbe far bene.

Sulla tua bio di Instagram leggo: “Diamo forma alla verità con le parole di cui disponiamo”. È una citazione molto particolare, come mai l’hai scelta?

Quella è una frase che disse il mio professore di filosofia in classe che mi è sempre rimasta in testa. Io sono molto affezionata alle parole e ritengo che esse siano l'unico mezzo che abbiamo per infrangere il muro della realtà e quello che vorremmo dire. In un libro di Andrea Marcolongo viene fatto uno studio sulle parole e cita gli abitanti di Tahiti che non hanno termini per esprimere le sensazioni psico-fisiche. Quando conosci e studi queste cose capisci che veramente sono le parole l'unico mezzo che abbiamo per esprimerci e quelle che possediamo sono le verità che abbiamo in mano. Un'altra cosa che diceva il mio professore è che la verità non è cosa da tutti, non si dovrebbe ambire ad ottenerla, non è bella, ma allo stesso tempo è ciò che abbiamo, ciò che ci serve per scolpire la realtà, per farla comprendere agli altri.

Ughi è il brano che mi ha colpito di più, sia dal punto di vista testuale e musicale: qual è il suo significato più profondo?

Ughi è il diminutivo di Ughetta, mia nonna. È una persona molto particolare: ti dico solo che non beve quasi mai l'acqua, ma si idrata con la Coca-Cola o succhi di frutta. Volevo che la musica rispecchiasse questa stranezza ma che, al contempo, fosse dolce. Un'altra storia particolare, è il fatto che lei dice che se prendi un treno, se l'andata va bene, al ritorno si sentirà sicuramente male. C'è questa cosa, quindi, che non può ritornare in treno e quando ho avuto la macchina finalmente abbiamo potuto spostarci con più facilità (ride, ndr.).
Il significato profondo è anche quello di delineare mia nonna come una persona molto elegante e la vedo come qualcosa a cui non posso ancora arrivare.

Quali sono state le influenze musicali (e non) che ti hanno dato l’ispirazione per scrivere Terraferma?

Probabilmente Jack Garratt, Niccolò Fabi, John Mayer, Bon Iver, Mac Miller...
Per quanto riguarda quelle non musicali posso dirti che c'è questo regista che si chiama Bresson e ha fatto un film tratto da Le Notti Bianche di Dostoevskij in cui c'è questo ragazzo ossessionato da Marta, la sua amata, che mi ha segnato molto. Poi posso citarti anche Jean Cocteau, un regista e poeta francese: ha fatto cortometraggi folli, dove, ad esempio, per esprimere il concetto di tempo, lo estremizzava e utopizzava tantissimo...

Toccaterra lo potresti definire un concept album? C’è dietro un filo conduttore che lega idealmente gli otto brani?

Non è assolutamente un concept, ma al massimo un collettivo di canzoni scritte quando mi sentivo più o meno sempre in un certo modo. Una "collection of canzoni" (ride, ndr.). Due le ho scritte a quindici anni, il resto a diciotto ma sono tutte sulla stessa lunghezza d'onda.

Siccome gli hai dedicato una canzone, qual è il tuo rapporto con la città di Berlino?

È un rapporto di sogno, perché non ci sono mai stata. Vivo di racconti fatti da altre persone di questa città o di quelli che mi sono immaginata io.

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Chiudo con una domanda un po' tosta: a quale corrente letteraria assoceresti la tua musica?

Aiuto. Te la faccio un po' paracula, va bene uguale? (ride, ndr.)
Penso all'espressionismo, più riferito alla corrente artistica che letteraria, perché ci sono tutte queste cose fuori dal normale, sognanti, con colori molto accesi. Mi rappresenta molto, anche perché ho scelto di chiamarmi Nolde e lui è un espressionista... così sembra anche che abbia un senso il motivo per cui ho scelto di chiamarmi così!